Alexander Langer (Alex per gli amici) è stato visto come un profeta, o un vulcano, o il più impolitico dei politici, o il padre nobile dei Verdi, o un rivoluzionario mite, o tante altre cose ancora. Vorrei però soffermarmi su Langer profeta: sia in vita che dopo la morte troviamo articoli su di lui che lo definiscono “profeta verde” (lo stesso Alex dirà[1]: nel 1985 mi trovo apostrofato come “profeta verde”), ma anche “profeta inascoltato”, “profeta del nostro tempo” e “profeta della nuova Europa”.

Come ha ben spiegato Marco Boato[2]: “Un profeta a volte contestato e disconosciuto o ignorato, finché è stato in vita: ‘nemo propheta acceptus est in patria sua’, si potrebbe dire, riecheggiando la lezione evangelica. Un ‘profeta’ che, inoltre, su molte questioni ha visto più lontano dei suoi contemporanei, ha anticipato i tempi in modo lungimirante, ma non ha potuto vedere in vita la ‘terra promessa’.”

Alex aveva visto lontano su molti temi, ma mentre su alcuni si stanno aprendo importanti spiragli, su altri, anche se le sue proposte sono ancora di grande attualità, si alternano fasi positive a momenti di oblio.

Nel corso di questi ultimi anni, dapprima al Parlamento Europeo e poi nell’ambito delle attività di alcune associazioni di cui faccio parte, ho avuto modo di seguire, tra gli altri, due argomenti che Alex aveva individuato come temi prioritari: la prevenzione dei conflitti armati, con la proposta di “Corpi Civili di Pace” e la critica all’idea di uno sviluppo solo economico, basato sulla continua crescita.

L’idea di “Corpi civili di Pace” (o con nomi simili) era già stata sviluppata negli anni ’80 da molte organizzazioni pacifiste e nonviolente, sulla scorta del progetto di Shanti Sena (Esercito della Pace/Brigate di Pace) proposto da Gandhi e nel 1990, Alberto L’Abate organizzò un campo di pace a Bagdad dove si riunivano i “Volontari di Pace in Medio Oriente”, provenienti da varie parti del mondo, che cercarono di prevenire la prima guerra del Golfo (poi L’Abate realizzò un progetto simile in Kossovo).

Ma fu dopo la crisi della ex Jugoslavia e soprattutto durante il conflitto in Bosnia che si vide chiaramente la necessità di intervenire con metodi nonviolenti per prevenire la guerra. Infatti l’opzione militare non solo non può prevenire i conflitti, ma non può neppure riportare la pace, tutt’al più può far cessare uno scontro armato e da qui la necessità di istituire strutture riconosciute a livello internazionale di “corpi civili di pace”, con lo scopo di favorire il dialogo tra le parti in conflitto, ripristinare condizioni di reciproca fiducia, sviluppare i valori della convivenza e della coesistenza pacifica, sia per prevenire che per favorire una ricomposizione pacifica dei conflitti. Ma questo non significa utilizzo dei corpi civili di pace come interposizione preventiva prima dell’inizio di un conflitto armato o di utilizzo dei corpi civili di pace addirittura nel momento in cui scoppia la guerra, ipotesi che venne esclusa sia da Arno Truger come da Langer, che scriveva[3]: “Se il conflitto si trasforma in una vera guerra, i civili farebbero meglio a fuggire dal campo di battaglia”.

Su queste basi Alex propose all’inizio del 1995 un emendamento che prevedeva l’istituzione del “Corpo Civile di Pace Europeo” (CCPE) alla Raccomandazione su “L’azione umanitaria della UE” e poi analogo emendamento al Rapporto Boulanges – Martin sulla Conferenza Intergovernativa per la Revisione dei Trattati, adottato dal Parlamento Europeo il 17 maggio 1995, e, in entrambi i casi, il Parlamento Europeo approvò tale proposta.

L’idea non era nuova per Alex, che aveva già proposto nel 1990 a quello che fu definito “Parlamento Verde d’Europa”, riunitosi a Strasburgo dal 3 al 5 luglio 1990 su invito del Gruppo verde al PE, una risoluzione che conteneva questa frase:”l’istituzione di un “corpo di pace europeo” (multinazionale) nel quale giovani di tutti i paesi e di ambo i sessi possano svolgere un servizio di volontariato civile, sociale ed ecologico…”.

Che fine ha fatto questa proposta dopo la morte di Alex? Possiamo affermare che per un certo periodo, a livello europeo, l’ipotesi continuò ad essere presa in esame, in particolare con la raccomandazione, approvata dal Parlamento Europeo il 10 febbraio 1999, sull’istituzione di un Corpo di pace civile europeo. A questo voto fece seguito la Risoluzione del PE sulla Comunicazione della Commissione riguardante la prevenzione dei conflitti, del 13 dicembre 2001, dove si sottolinea la necessità di istituire il CCPE nel quadro del «Meccanismo di reazione rapida» della Commissione, e poi due studi di fattibilità: On the European Civil Peace Corps, a cura di Catriona Gourlay, del gennaio 2004, commissionato dal PE, e Feasibility Study on the Establishment of a European Civil Peace Corps (ECPC), a cura di P. Robert, K. Vilby, L. Aiolfi e R. Otto, del novembre 2005, commissionato dalla Commissione europea. Ma il progetto negli anni successivi non si è concretizzato nella direzione proposta e, nonostante le iniziative e le richieste da parte delle associazioni nonviolente, oggi, con i gravi conflitti in atto, è totalmente trascurato dall’Europa.

Unica eccezione, una recente decisione presa dal Parlamento Italiano su proposta dell’on. Marcon, che ha presentato un emendamento con cui è stato inserito nella Legge di Stabilità del 2014 uno stanziamento triennale (periodo 2014-2016), per nove milioni di euro per l’invio di almeno cinquecento giovani volontari in servizio civile in azioni non-governative di pace, in zone di crisi e di conflitto. Quest’anno il Governo ha poi affermato che, dopo questa fase sperimentale di tre anni, nel 2017, a seguito di un attento monitoraggio svolto da Università e centri di ricerca, verrà deciso se stabilizzare nella legislazione italiana i Corpi civili di pace.

Dunque la proposta di Alex, dopo venti anni, è ancora di attualità, di essa si discute, ma si fa fatica a renderla pratica quotidiana nella politica dei governi europei e tanto meno dei governi a livello mondiale.

Diversa sorte per certi aspetti ha avuto invece l’idea di Alex di un’economia non basata solo sulla crescita. Già nei primi anni ’80 Langer affrontò la questione della crescita economica, intrecciando i temi del lavoro, dell’economia e dell’ambiente. Durante un incontro sindacale tenutosi nel 1982 a Garda, Alexander affermò[4]: “Il problema principale con cui i sindacati dei paesi industrializzati devono fare i conti è se impostare le proprie energie su ipotesi di crescita economica (del prodotto, della produttività, del volume degli scambi, del livello tecnologico, ecc.) ed impegnare le proprie forze in direzione di tale crescita, o prevedere, magari operando in tal senso, che la crescita, l’espansione economica quantitativa tendano ad arrestarsi e ridefinire, di conseguenza, l’intera strategia sindacale?”

E’ un’anticipazione dell’idea di decrescita, che, sebbene presente nell’opera di Georgescu-Roegen[5] fin dal 1971, sarà sviluppata solo in tempi più recenti da Serge Latouche; lo stesso Langer usa questo termine nel 1992, parlando dell’idea di austerità, proposta nel 1977 da Enrico Berlinguer,[6] ” Vediamo dunque se il termine ‘austerità’ può caratterizzare oggi uno stile di vita ed un’opzione sociale accettabile e persino desiderabile, o se invece si tratti sempre e di nuovo di un involucro mistificante per arrivare poi al solito dunque, quello di ri-capitalizzare e di dare impulsi a quella che chiamiamo ripresa economica […]. Accettare oggi la positiva necessità di una contrazione del «troppo» e di una ragionevole e graduale de-crescita, e rilanciare, di fronte alla gravissima crisi, un’idea positiva di austerità come stile di vita compatibile con un benessere durevole e sostenibile, sarà possibile solo a patto che essa venga vissuta non come diminuzione, bensì come arricchimento di vitalità e di autodeterminazione […]”.

In queste parole vi è già un’anticipazione di quanto affermerà, su questo tema, nel 1994, durante i colloqui di Dobbiaco: “La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”. L’idea di decrescita, come rifiuto di un’economia basata sulla crescita, viene definita da Alex come “conversione ecologica”: si badi bene non “riconversione”, ma “conversione”, cioè una svolta spirituale, etica e sociale oltre che economica. Come afferma Guido Viale[7], è un concetto che “rimanda innanzitutto a un cambiamento del nostro stile di vita, dei nostri consumi, del modo in cui lavoriamo e del fine per cui lavoriamo o vorremmo lavorare, del nostro rapporto con gli altri e con l’ambiente.”

Un vero cambiamento di paradigma, dunque rispetto al concetto molto più diffuso di “sviluppo sostenibile, criticato sia da coloro che si rifanno alla teoria della decrescita (come Serge Latouche) che da Langer[8]: ”Molti ecologisti e ambientalisti a vario titolo adesso adottano volentieri la formula “sviluppo sostenibile”, anche perché la nostra esperienza nella vita quotidiana ci dice che ciascuno di noi si ritrova molto dentro il processo di crescita. Sono pochi coloro che riescono a sottrarsi in misura sufficiente ad esso. Basta pensare allo “sviluppo” del nostro reddito e delle nostre aspirazioni di consumo. Molti ecologisti cercano una compatibilità tra crescita ed equilibrio ecologico. E in molti casi, penso, tale compatibilità esiste. Credo invece che ci sia un grande squilibrio tra i popoli. Da questo punto di vista, siamo noi che dovremmo fermarci e vedere se altri popoli possono arrivare ad un livello di soddisfacimento dei bisogni essenziali, prima di decidere di prenderci un’altra fetta della torta e peraltro guastarne il resto. Molti verdi oggi non hanno il coraggio di dire che in certi ambiti dovremmo fermarci e magari tornare indietro per quanto riguarda il livello dei consumi.”

Già nel 1991 Langer affermava[9], in sintonia con una visione di decrescita: “Ci troviamo dunque – in termini netti e semplici – al bivio tra due scelte alternative: tentare di perfezionare e prolungare la via dello sviluppo, cercando di fronteggiare con più raffinate tecniche di dominio della natura e degli uomini le contraddizioni sempre più gravi che emergono (basti pensare all’attuale scontro sul petrolio) o invece tentare di congedarci dalla corsa verso il «più grande, più alto, più forte, più veloce» chiamata sviluppo per ri-elaborare gli elementi di una civiltà più «moderata» (più frugale, forse, più semplice, meno avida) e più tollerabile nel suo impatto verso la natura, verso i settori poveri dell’umanità, verso le future generazioni e verso la stessa «bio-diversità» (anche culturale) degli esseri viventi..” Lo stesso concetto, espresso nel motto «lentius, profundis, soavius» (più lento, più profondo, più dolce), è stato utilizzato da Alexander in più occasioni, fino a diventare il simbolo dell’Associazione «Pro Europa» da lui fondata nel 1994.

Per queste ragioni Serge Latouche[10] ha detto: “Alex Langer aveva identificato benissimo i problemi da affrontare e le vie per risolverli. Quel che è incredibile è che il suo pensiero sia stato totalmente dimenticato, perfino in Italia, dove in pochi oggi parlano ancora di lui. Anche per questo mi sono impegnato nella direzione di una collana editoriale dedicata ai precursori della decrescita”.

Ma Langer non solo ha anticipato quella corrente di pensiero che oggi va sotto il nome di “decrescita”, ma anche molti dei temi che si ritrovano nell’enciclica di Papa Francesco “Laudato si”, basti pensare alla dizione “conversione ecologica” (Capitolo VI, III. La conversione ecologica [216-221] p.164) e al termine decrescita ([193], p. 147), utilizzato nell’enciclica in modo molto simile ad Alex: “Per questo è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti.”

NOTE
[1] Minima personalia, un’autobiografia scritta da Alexander Langer nel 1986 (riportato in http://www.alexanderlanger.org/it/75/55?s=profeta+verde&mode=and )
[2] rivista culturale “Il Cristallo”, Bolzano, n.1 –  2015
[3] Intervento di Alexander Langer pubblicato su Azione nonviolenta nell’ottobre 1995
[4] Atti pubblicati a cura di J. Agnoli, Sindacato Stato Società: il sindacato oggi tra movimento e istituzioni, UIB UIL Materiali a stampa, Cadoneghe, 1983 (riportato in http://www.alexanderlanger.org/it/141/212)
[5] N. Georgescu-Roegen The Entropy Law and the Economic Process, Cambridge, Mass.: Harvard University Press (1971), in Italia Energia e miti economici [scritti 1970-1982], Torino, Bollati Boringhieri. (1998)
[6] Alexander Langer, L’intuizione dell’austerità, “Mosaico di pace”, n.9 – novembre 1992 ( riportato in: http://www.alexanderlanger.org/it/143/2750)
[7] Guido Viale Che cos’è la conversione ecologica, Alfabeta2 27 settembre 2011  (www.alfabeta2.it/2011/09/27/che-cose-la-conversione-ecologica/)
[8] Alexander Langer Noi, fondamentalisti? a spasso per l’Europa; 10.2.1989, Azione nonviolenta, luglio-agosto 1996
[9] Alexander Langer La scelta è tra espansione e contrazione, atti del convegno “Sviluppo? Basta! A tutto c’è un limite”, Verona, 28 ottobre 1990, pubblicato in Azione Nonviolenta, n. 3/91, p. 22
[10] Recuperare il concetto del limite, intervista di Giuliano Battistoni a Serge Latouche, 9 febbraio 2014, http://www.hairbro.com

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