nebbia

di Giorgio Nebbia

La maggior parte dei paesi ha sottoscritto, con una grande cerimonia, gli accordi, presi a Parigi nel dicembre 2015, per rallentare il lento continuo aumento della temperatura del pianeta Terra, responsabile dei mutamenti climatici e a sua volta provocato dall’immissione nell’atmosfera di gas, detti “gas serra”, provenienti dalle attività umane (sul reale effetto degli accordi stipulati in Francia leggi La magia di Parigi, ndr).

Per la maggior parte i gas serra sono costituiti dall’anidride carbonica CO2 liberata dalla combustione dei combustibili fossili, carbone, petrolio e gas naturale, che sono le fonti di energia usate in maggiore quantità nel mondo, dall’incendio delle foreste, dalla produzione di cemento. Altro gas serra è il metano che sfiata dai pozzi di gas naturale o che si libera dalla putrefazione di rifiuti agricoli e urbani, e altri gas serra derivano da processi industriali. Nel mondo ogni anno circa 35-40 miliardi di tonnellate di CO2 si aggiungono a quelle già esistenti nell’atmosfera; in Italia circa 400-450 milioni di tonnellate all’anno di CO2 vengono immessi nell’atmosfera planetaria.

Per rallentare il riscaldamento planetario sono previste delle specie di multe (“carbon tax”), tanti euro per ogni tonnellata di gas serra immessi nell’atmosfera da una industria o da un paese, soldi che dovrebbero servire in parte ad aiutare i paesi poveri ad avviarsi allo sviluppo economico e sociale con tecnologie meno inquinanti e rispettando il proprio ambiente.

Trattandosi di soldi, i governi, le banche, le compagnie di assicurazioni, le imprese, enti di ricerca, ma anche associazioni ambientaliste, cercano di prevedere di quanta energia ciascun paese avrà bisogno e quali fonti energetiche poco inquinanti farà bene a utilizzare. In questi ultimi tempi si stanno moltiplicando analisi e previsioni di consumi energetici che prendono il nome di piano, strategia o, più modernamente, roadmap (che sarebbe come dire la strada che occorrerebbe percorrere per ottenere un certo risultato).

Tutti questi piani, al fine di diminuire le emissioni di gas serra per “stare dentro” i vincoli di emissioni imposti dagli accordi di Parigi, prevedono di sostituire una parte dei combustibili fossili con le fonti energetiche rinnovabili: solare, eolico, idroelettrico, con carburanti derivati da prodotti agricoli, con la combustione negli inceneritori (ora chiamati “termovalorizzatori”) dei rifiuti (promossi a fonti rinnovabili), e di diminuire i consumi totali di energia con la ristrutturazione degli edifici, con la diffusione dei servizi informatici, eccetera,

La maggior parte delle fonti rinnovabili però produce essenzialmente energia elettrica che oggi in gran parte è ottenuta bruciando l’inquinante carbone (oltre dieci milioni di tonnellate all’anno solo nelle centrali termoelettriche italiane). Ma l’elettricità prodotta con le meno inquinanti fonti rinnovabili costa di più di quella ottenuta dalle fonti energetiche fossili e i maggiori costi di produzione devono essere rimborsati ai proprietari di pannelli fotovoltaici, di pale eoliche o di termovalorizzatori sotto forma di soldi tratti facendo pagare di più l’elettricità ai consumatori i quali, in un certo senso, devono pagare per quello che sarebbe il loro diritto: respirare aria pulita e non essere alluvionati.

L’energia, sotto forma di calore e di elettricità, ”serve” a produrre merci e ad assicurare servizi: a trasformare il minerale in acciaio, il grano in pane e pasta, a muovere le automobili, a scaldare le case e ricaricare i telefonini, insomma a tutte le cose della vita quotidiana. A modesto parere di un merceologo, per prevedere e indicare di quali e quante fonti di energia avrà bisogno un paese nei prossimi anni e con quale inquinamento, sarebbe bene cominciare dal fondo, cioè dall’analizzare di quali e quante merci e servizi si prevede che un paese abbia bisogno.

Ciascun prodotto o servizio può essere ottenuto, infatti, con diversissime quantità e tipi di energia. Per restare al caso dell’acciaio, che è al centro di tanti problemi in Puglia, la stessa tonnellata di acciaio può essere prodotta con carbone, con gas naturale, o con l’elettricità, con diverse quantità di energia tratte da diverse fonti e con diversi effetti inquinanti. Una persona può percorrere un chilometro con un’automobile economica, con un Suv, con un treno o con un autobus, in ciascun caso con quantità e tipi di energia diversissimi e con diversi inquinamenti, eccetera. La quantità di merci e servizi di cui i cittadini di un paese hanno bisogno dipendono dal numero di abitanti e dalla loro età: gli anziani hanno bisogno di meno motociclette dei giovani e hanno bisogno di maggiori spazi ricreativi e assistenza medica; l’invecchiamento della popolazione impone modifiche nella richiesta di nuove abitazioni e nei relativi consumi di cemento e piastrelle; le mode inducono a modificare la richiesta di alimenti, di tessuti, di mobili. Tutti fenomeni da cui dipende la richiesta di energia.

Nei piani energetici che ho visto in circolazione, in generale mancano le informazioni sulle previsioni dei fabbisogni di merci e servizi, al di là di una generica promessa di chimica o tecnologia “verde”. Per quanto ne so, solo il rapporto 213/2015 dell’Ispra (l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) conteneva le previsioni dei consumi di elettricità, addirittura al 2050, basate sulle previsioni della richiesta e della produzione di alcuni prodotti: acciaio, alluminio, prodotti chimici industriali, prodotti farmaceutici, cemento, laterizi, carta, prodotti alimentari e tessili. Le previsioni sono sempre difficili, ma vanno pur fatte ricordando che in futuro, piaccia o no, le società umane hanno bisogno di oggetti, di energia e anche di cieli meno inquinati.