Di Timothée Parrique e Giorgios Kallis, 10 Febbraio 2021. Traduzione di Susanne Giovannini del Gruppo Internazionale Decrescita
Le persone sembrano comprendere il concetto astratto di “illimitatezza”, ma è più difficile comprendere che il concetto non può e non dovrebbe essere applicato al concetto di crescita. Anche i socialisti devono liberarsi dell’idea che la quantità possa aumentare, quando conta solo la qualità.
Importanti (eco)socialisti hanno di recente criticato il concetto di decrescita. In questo articolo vogliamo argomentare che tale critica è malriposta. Il concetto di crescita è un problema che va oltre e che è al di sopra del capitalismo. Un eco-socialismo che sia sostenibile dovrebbe rigettare ogni forma di associazione all’ideologia e alla terminologia della crescita. I socialisti del 21° secolo dovrebbero iniziare a pensare a come sia possibile pianificare delle società che possano prosperare senza la crescita. Che piaccia o meno, la crescita infatti è destinata a finire. La questione riguarda il come e in quale modo questo debba succedere, a breve o troppo tardi, per evitare disastri a livello planetario.
Ogni forma di crescita senza fine è insostenibile a livello ecologico
La tipica risposta socialista alla questione della decrescita è che il problema, in realtà, è il capitalismo, e la crescita nel capitalismo, non la crescita economica di per sé. Ma questo è il punto: nessuna crescita economica può essere sostenibile. Per ciò, un incremento degli standard materiali di vita richiede più materiali, indipendentemente dal fatto che l’economia in questione sia il capitalismo, il socialismo, l’anarchia o un’economia primitiva. La crescita negli standard di vita materiale richiede la crescita dell’estrazione di materiali e l’emissione di inquinanti (la crescita negli standard di vita in generale non richiede invece questo; ne discuteremo più avanti). Ne risulta che ora – e molto probabilmente anche in futuro – la crescita economica è fortemente correlata con l’uso di energia e di materiali. Questo fatto poi va considerato a livello globale in quanto è l’unico modo per avere un quadro completo in un’economia globalizzata.
Il principale teorico marxista David Harvey definisce l’idea del tasso di crescita composito come la follia della ragione economica e la più letale delle contraddizioni letali del capitalismo (per cui ci stupiamo che dei socialisti dovrebbero perdere il loro tempo per salvaguardare questa follia). Per comprendere quanto sia folle, si consideri la seguente questione: un semplice tasso di crescita annuo del 3% significa una duplicazione dell’economia ogni 24 anni e un’economia dieci volte più grande alla fine del secolo, in rapida crescita verso dimensioni infinite. Si sostituisca il termine economia con quello che preferite (“energia”, “acqua”, “biciclette”, “massaggi”). L’idea dell’infinito è pura follia, un punto fermo. E’ la generalizzazione della logica dei singoli capitalisti che si aspettano di intascare il 3-5% di rendimento annuo qualsiasi siano le condizioni “che piova o che sia sereno”. Questa però non è qualcosa che una società può sostenere a lungo termine.
Nel sogno di qualche socialista vi è un “comunismo nel lusso, in un mondo totalmente automatizzato” (Fully Automated Luxury Communism) in cui le nuove tecnologie permettono il disaccoppiamento totale della produzione economica dall’ambiente. Per ora questo non è affatto accaduto e vi sono molti dubbi sul fatto che in futuro vi possano essere prospettive migliori. Che piaccia o non piaccia, anche le economie devono rispettare le leggi della fisica. Per esempio, la termodinamica ci dice che l’energia non può essere creata, né distrutta, ma solo trasformata e che la sua qualità si trasforma inesorabilmente in uno stato meno fruibile e utile. Questo vuol dire che non esiste una tecnologia che sia miracolosa e che possa rendere l’incremento dello standard di vita materiale, immateriale – l’economia è infatti sostanzialmente radicata all’interno dell’ecologia.
Certo, alcune attività hanno un rapporto più intensivo con la natura rispetto ad altre e, così, sono queste ultime ad avere la potenzialità di crescere per un periodo più lungo senza distruggere la biosfera. Per esempio, i combustibili fossili sono più dannosi dell’energia solare. Questo fatto però non vuol dire che l’energia solare apra le porte a una crescita senza limiti. Una migliore organizzazione della produzione, attraverso nuove tecnologie, può aumentare la produttività e condurre a un disaccoppiamento relativo ottenuto con un minore uso di risorse per prodotto – per esempio, pannelli solari più efficienti. Ma se la quantità di pannelli solari cresce a un tasso di crescita composito senza limiti, ci sarà un giorno in cui inizierà a esercitare una pressione sulla disponibilità di risorse o condurre, invece, a esercitare un danno ecologico. In altre parole, niente di materiale può essere infinito, a prescindere dal fatto che l’economia sia capitalistica, socialista, o qualsiasi altra forma compresa nel mezzo.
D’altro canto, è questione diversa considerare la decarbonizzazione ottenuta attraverso le energie rinnovabili in un sistema energetico che ha la dimensione attuale o che ha la dimensione di un quinto di questa (una riduzione nell’uso dell’energia che gli studi mostrano essere possibile attraverso le misure che riguardano la sufficienza e l’efficienza); altra cosa, però, è decarbonizzare un sistema che è cresciuto a tal punto da diventare dieci volte più grande verso la fine del secolo (si ricordi il 3% annuo).
Un nostro suggerimento è il seguente: la pianificazione democratca socialista deve considerare i requisiti che vincolano l’uso decrescente delle energie e dei materiali. Questo non dovrebbe essere un grande problema perché, come argomenteremo a breve, molte delle attività attuali che utilizzano grandi quantità di energia e di materiali, non avrebbero più ragion d’essere nel socialismo. C’è troppa attività superflua nel capitalismo che non ha altra utilità se non quella di rispondere al bisogno dei capitalisti stessi di ottenere plusvalore e fare profitti. L’obiettivo dovrebbe essere invece un socialismo senza crescita, un socialismo sostenibile in un sistema economico che riesca a soddisfare i bisogni delle persone senza essere attaccato alle idee capitalistiche dell’espansione costante e senza superare di certo i limiti del pianeta.
La crescita richiede l’accumulazione e l’accumulazione si accompagna con lo sfruttamento
C’è poi un altro problema: nella stessa misura in cui la crescita economica si confronta con i limiti ecologici, si confronta anche con I limiti sociali. I capitalisti fanno profiti sfruttando i lavoratori salariati (plusvalore in termini marxisti) e sfruttando anche il lavoro non retribuito di una schiera di persone; in particolare donne che fanno un lavoro di cura e i lavori domestici senza essere pagate, che assicurano gratuitamente la riproduzione socio-naturale della forza lavoro. Il capitale dipende anche dai “doni liberamente concessi dalla natura” (free gifts of nature) (liberi solo dal punto di vista di tale prospettiva) che – a fianco del lavoro di cura e di quello domestico gratuito – mantiene i mezzi di produzione e la forza lavoro a buon mercato permettendo così allo stesso di ottenere il plusvalore richiesto. In effetti, la crescita economica nel capitalismo avviene spesso alle spese del tessuto sociale essendo basato sullo sfruttamento sistematico e sullo spostamento dei costi (cost shifting).
Nel non contabilizzare i fattori riproduttivi come il riposo, l’affetto, la cura, la sicurezza e la necessità di sostentamento, la produzione può, con grande facilità, condurre al loro esaurimento. Per esempio, il lavoro a tempo pieno fa sì che rimanga poco tempo libero per attività che non sono retribuite come quelle che sono importanti per la riproduzione. Quando la produzione aumenta, questa può mettere in crisi la capacità di una società di riprodurre la propria sussistenza. Continuando senza sosta con tale accumulazione, ottenuta attraverso il deterioramento sociale, si finisce per erodere I fattori di riproduzione che sono cruciali per tutte le forme di produzione. Come un serpente che si morde la coda, la crescita economica è limitata perché inevitabilmente legata allo sfruttamento non sostenibile del lavoro riproduttivo e delle risorse dell’ecosistema.
Se la sostanza del socialismo riguarda la fine dello sfruttamento, riguarda anche anche la fine dell’accumulazione infinita. Ribadiamo: questo è socialismo senza crescita. Un’economia socialista genuina non dovrebbe sfruttare il lavoro o le risorse delle altre economie; dovrebbe invece rendere condiviso il lavoro di cura creando una rotazione per i compiti sgradevoli compensando, inoltre, con il dovuto chi lavora nella cura per il lavoro riproduttivo effettuato. Attraverso l’assenza di sfruttamento – dell’umano e del non umano, – tale economia produrrebbe semplicemente i beni e I servizi necessari canalizzando i guadagni derivanti dalla produttività in più tempo libero.
Alcuni socialisti cercano poi di far quadrare il cerchio quando argomentano che il socialismo è in grado come, e ancor più, del capitalismo di far cessare lo sfruttamento e insieme far crescere l’economia. Siamo spiacenti, ma questa è pura fantasia. Se nel socialismo la produzione deve retribuire chi produce per l’effettivo tempo di lavoro e per l’effettivo tempo necessario perché gli ecosistemi si rigenerino e recuperino, o, se il tempo del lavoro umano deve essere considerato una spesa mentre “I doni liberamente concessi dalla natura” (free gifts of nature) devono essere lasciati improduttivi; allora, ci sarà meno eccedenza e meno eccedenza vuol dire semplicemente ridotta crescita della produzione. Ci piace pensare che un socialismo che si possa definire genuino dovrebbe essere anche democratico. La democrazia vera rallenta però le cose (coloro che abbiano partecipato alle assemblee interne alle proprie cooperative locali, sanno a cosa ci riferiamo). Ribadiamo: pensare che tutto questo rallentamento nei tempi possa condurre a un’accelerazione, e non a una decelerazione della produzione, è realmente illusorio.
I valori d’uso non crescono
La buona notizia è che è possibile avere prosperità senza crescita. Infatti, è stato dimostrato empiricamente che I principali indicatori degli standard di vita, che includono benessere, salute e educazione, smettono di crescere dopo il raggiungimento di una certa soglia di produzione. Questo fatto è chiamato da alcuni: il “punto di svolta per il benessere” (Well-being Turning Point). Per esempio, il Portogallo ha dei risultati sociali significamente migliori rispetto agli Stati Uniti nonostante il 65% di PIL pro capite in meno. Ciò è legato al fatto che il benessere dipende dalla soddisfazione dei valori d’uso reali, che sono l’espressione delle necessità umane e non derivano dall’accumulazione illimitata di soldi.
I socialisti lo sanno bene: il PIL non è una misura dei valori d’uso, ma è una misura dei valori di scambio. Non distingue tra attività desiderabili e indesiderabili, ignora tutto ciò che non è monetario (inclusa la natura e il lavoro non retribuito), ignora il valore della ricchezza intangibile e non tiene conto dell’ineguaglianza. Quello che misura in definitiva il PIL è il benessere del capitalismo, non delle persone.
Di certo, la disponibilità di alcuni beni e servizi utili deve incrementare, e dovrebbe incrementare, con il socialismo. Comunque sia, cerchiamo di non parlare di “crescita” nel caso di progressi su questioni come salute, mobilità e educazione. Questi non sono infatti obiettivi quantitativi, ma qualitativi. I bambini potrebbero aver bisogno di un’educazione più libera e più olistica, un’educazione politecnica; questo richiede un numero finito di edifici scolastici, di insegnanti e di penne. I pazienti potrebbero necessitare di più contatto umano e di cura da parte dei loro medici; quello di cui hanno bisogno non è un tasso composito di crescita infinito della cura, ma quanto basta per sentirsi meglio. Le persone che non hanno biciclette hanno bisogno di averne una – non una crescita annua del 3% nella produzione di biciclette per sempre.
Il punto è, quindi, che i valori d’uso non crescono a un tasso composito. l bisogni fondamentali dell’uomo come lo sono la sussistenza, la protezione, la libertà o l’identità, possono essere considerati nell’insieme come le soglie della sufficienza: serve abbastanza cibo per restare in salute, abbastanza spazio abitativo per essere felici, abbastanza mezzi per la mobilità per sentirsi liberi, etc. La storia del consumo senza limiti, per andare incontro a bisogni senza limiti, è un discorso del capitalismo creato appositamente per legittimare l’accumulazione a favore dell’élite. E questa è l’argomentazione principale della decrescita. Gli standard di vita possono migliorare senza che vi sia crescita, se si redistribuisce e si condivide la ricchezza, abbandonando desideri artificiali e beni superflui, appropriandoci del tempo che è destinato a fare profitto, spostando l’attenzione dal dare valore ai beni materiali al dare valore alle relazioni. Ce n’è abbastanza per tutti per una condivisione dignitosa – se la torta non può crescere, allora è tempo di condividerla più equamente.
Conclusioni: la decrescita è tanto anticapitalista quanto sembra
L’ideologia della crescita è diventata il motore del capitalismo moderno. Quindi non comprendiamo perché alcuni socialisti siano riluttanti ad abbracciare la lotta contro un fenomeno che è socialmente divisivo ed ecologicamente insostenibile. Un socialismo senza crescita ma con il benessere. Socialismo e decrescita sono due concetti tra i più importanti che abbiamo per criticare il capitalismo e dischiudere il futuro.
Come ormai è evidente, usiamo molto spesso il termine capitalismo anche se alcuni commentatori marxisti hanno accusato la decrescita di non mettere mai esplicitamente in discussione il capitalismo. Phillips (2015) descrive la decrescita come: “un capitalismo in scala ridotta nello stato stazionario” (small-scale steady-state capitalism). Qualcuno potrebbe pensare che il progetto della decrescita assomigli al film Downsizing – Vivere alla grande (2017) in cui un consumismo esuberante è reso possibile, a livello ambientale, rimpicciolendo le persone ad un’altezza di pochi centimetri.
Allora, cerchiamo di essere chiari: non è un capitalismo miniaturizzato con piccole aziende, piccoli strumenti finanziari speculativi e piccoli accordi di libero commercio. Non è austerità all’interno del capitalismo. E’ un sistema alternativo dell’offerta nel suo complesso – non soltanto più piccolo e più lento, ma differente.
Ci si potrà chiedere perché ci si concentri sulla crescita e non semplicemente sul capitalismo? Ebbene, si cerchi di comparare quante volte appare il termine “crescita economica” rispetto al termine ’”accumulazione dei capitali” nelle notizie. Come Gareth Dale ha argomentato con forza, la crescita economica è l’ideologia che ha trasformato gli interessi specifici del capitale a crescere (per i rendimenti e per mantenere la pace sociale) in un obiettivo sociale assimilato dalla popolazione. Questa non è un’ideologia che andrà facilmente scomparendo se ci si rifiuta di confrontarvisi o la si abbellisce con aggettivi gradevoli. Il fatto che questa ideologia sia sopravvissuta persino alla fine del capitalismo (o almeno a un certo tipo di capitalismo) nei regimi ex-socialisti, dovrebbe essere materia di riflessione. I socialisti che difendono la crescita dovrebbero pensare se non stiano dando una “veste” rossa (redwashing) al capitale ridescrivendo i sogni venduti dal capitalismo come sogni socialisti.
La crescita è figlia del capitalismo, ma il figlio è cresciuto e ha preso il posto al di sopra del capo famiglia. L’interesse del capitalismo per l’accumulazione è promosso e legittimato attraverso la “crescita” e in nome della “crescita”. La critica al concetto di crescita è quindi la più fondamentale critica del capitalismo – una critica non solo ai mezzi usati dal capitalismo, ma agli scopi finali che propaganda. Questo fatto rende decrescita e (eco)socialismo degli alleati naturali, non degli avversari.
Giorgos Kallis è uno scienziato dell’ambiente che lavora nel campo dell’economia ecologica, dell’ecologia politica e nelle politiche sull’acqua. Insegna ecologia politica e economia ecologica all’Università indipendente di Barcellona e recentemente è stato coeditore del libro: “The Case for Degrowth” (Il caso della decrescita).
Timothée Parrique ha conseguito un Dottorato di ricerca in economia presso il Centre d’Études et de Recherches sur le Développement (Centro di studi e di ricerca per lo sviluppo, Università di Clermont Auvergne, Francia) e il Stockholm Resilience Centre (Centro studi sulla resilienza, Università di Stoccolma, Svezia).