Di Mario Sassi
Il detto «Nel bene o nel male, purché se ne parli» parafrasa un brano de “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde (1890): «There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about».
In realtà “male” di decrescita (felice o meno) se ne è sempre parlato, ma adesso sta accadendo che anche qualche insospettabile comincia a parlarne “bene”, giudicandola giusta o almeno necessaria. Ovviamente si tratta di pochi spunti, spesso molto superficiali e approssimativi se non problematici o contraddittori, per la maniera in cui sono espressi e per la storia delle persone che li pronunciano. In tali recenti pronunciamenti, in realtà, più che di “decrescita” si parla della necessità di diminuire il nostro impatto ambientale; tuttavia, tornando a Oscar Wilde, mi sembra positivo il fatto che di decrescita si stia cominciando di fatto a discutere, anche in ambienti e con persone lontane dai giri e dalle“bolle” della decrescita.
Bisogna però fare molta attenzione al modo in cui vengono usate le parole, distinguendo non solo tra decrescita e recessione (1), ma anche tra un’idea di decrescita come via per una maggiore giustizia ecologica e sociale e una invece a vantaggio e difesa delle attuali èlites economiche e politiche. Così come bisogna diffidare di chi pensa che basti “abbandonare la crescita” o tagliare i consumi di energia del 10%, mentre per una società sostenibile l’impronta ecologica andrebbe abbassata del 75% – come ribadito recentemente anche da Serge Latouche e come spiegato nel nostro “Uscita di emergenza”.
Vediamo allora più dettagliatamente quali sono stati questi recenti interventi, precisando ancora che queste opinioni non sono quelle di chi scrive nè tantomeno dell’Associazione per la decrescita, ma sono riportate solo per dar conto di un dibattito che si sta sviluppando.
Il primo intervento che riportiamo è stato quello del presidente francese Emmanuel Macron che, il 24 agosto, ha dichiarato che “è finita l’era dell’abbondanza“, che la Francia e l’Europa finora sono stati troppo “spensierate” e quindi ora “abbiamo dei doveri, il primo dei quali è quello di parlare francamente e chiaramente”. Ciò ha scatenato la reazione dei sindacati, per i quali questa asserzione “con milioni di disoccupati e precari, è un messaggio fuori dalla realtà”, a conferma del difficile rapporto tra il mondo del lavoro (o almeno una sua parte) e le idee della post-crescita.
Il 7 settembre è intervenuto Vittorio Sgarbi, con un post su facebook (2) in cui ha sostenuto la necessità della diminuzione della nostra dipendenza dall’energia, definendo però ancora la decrescita “una brutta parola”. Ovviamente questo post ha scatenato molte reazioni, in gran parte negative – cosa anche comprensibile, vista la sua audience ed il pulpito da cui proviene la predica.
L’1 ottobre Serena Dandini ha scritto, in un articolo su iodonna.it intitolato “Crisi climatica: siamo ancora in tempo per cambiare rotta”, che “è ancora possibile ritrovare il senso della nostra vita sulla Terra misurando il benessere secondo altri valori. Primo fra tutti l’armonia con l’ambiente, come scrive Serge Latouche nel suo ultimo libro” – cioè L’abbondanza frugale come arte di vivere. Felicità, gastronomia e decrescita (Bollati Boringhieri).
Il 6 ottobre è stata la volta di Piergiorgio Odifreddi che, in un’intervista sull’Huffington Post, ha dichiarato che “le parole chiave del futuro sono popolazione, produzione, consumo. L’imperativo è ridurre”. Odifreddi non menziona la parola decrescita ma afferma la necessità di “drasticamente ridurre la popolazione … la produzione … e i consumi, perché la maggior parte di ciò che consumiamo è inutile, quando non dannoso. E, soprattutto, non contribuisce alla felicità”.
Il 10 ottobre poi Giorgia Colucci su ilfattoquotidiano.it ha ripreso la ricerca di Lily Paulson e Milena Büchs “Accettazione pubblica della post-crescita”, di cui avevamo già scritto il 21 settembre, scrivendo che “il 60% degli europei è diventato più attento alla transizione ecologica grazie all’attivismo, con l’Italia sopra la media” – cioè “favorevole ad una transizione verso un’economia sostenibile, in senso ambientale e sociale (post-growth)”.
Sta insomma forse lentamente girando il vento?
Se avete segnalazioni o riflessioni, potete inviarle a comunicazione@decrescita.it
NOTE:
(1) La decrescita, in estrema sintesi, è un processo ragionato, governato, democratico e selettivo, basato su criteri di giustizia sociale e di rapporto tra benessere e impatto ambientale, sia tra le nazioni che nelle nazioni; al contrario, la recessione è una situazione di grave sofferenza sociale e di impoverimento provocata dalla diminuzione incontrollata e caotica delle attività economiche, in una società che vuole crescere ma non ci riesce
(2) Questo è il testo del post, per chi non potesse o volesse leggerlo su facebook: “Il problema non è solo il costo dell’energia, ma la dipendenza, sempre più forte, dall’energia. Oggi la quasi totalità della nostra vita quotidiana dipende dall’energia. In una casa se manca la corrente non funziona più nulla: nemmeno lo sciacquone. E allora il tema è un altro: ridurre la nostra dipendenza dall’energia. Che vuol dire cambiare stile di vita. Si può vivere con un solo televisore invece di 3. E si può anche rinunciare a elettrodomestici inutili prodotti solo per alimentare l’ansia del “bisogno” del consumatore e quindi la logica del profitto di chi li produce. Per certi versi occorre ritornare al passato, ad una vita più genuina che non sia schiava del consumismo. In quella che l’economista francese Latouche chiama, con una brutta parola, “decrescita”. Ecco, dovremmo abituarci a vivere di poche cose, quelle indispensabili, e ritornare a un rapporto più naturale tra noi e il pianeta che ci ospita. Cosa ne pensate?”