di Peter Boyle, un attivista socialista e scrittore per Green Left ed un organizzatore della conferenza Ecosocialism 2023 dall’1 al 2 luglio a Melbourne in Australia, che ha visto Kohei Saito come relatore principale.
Traduzione a cura del Gruppo Transizione e di Marco Carraro della RES (Rete Ecosocialista). Qui l’articolo originale. Qui la pubblicazione sul sito della RES.
Segnaliamo anche questo nuovo numero di Monthly Review, che rappresenta l’istanza più sostanziale del pensiero socialista della decrescita fino ad oggi.
Anche se il marxista giapponese Kohei Saito non avesse scritto Marx nell’Antropocene: verso l’idea del comunismo della decrescita , la sinistra oggi dovrebbe ancora prendere sul serio l’idea della decrescita. Questo perché, spiega l’economista e antropologo Jason Hickel , “sebbene sia possibile passare al 100% di energia rinnovabile, non possiamo farlo abbastanza velocemente da rimanere sotto 1,5°C o 2°C se continuiamo a far crescere l’economia globale ai tassi attuali .”
Non è solo la dipendenza dai combustibili fossili a mettere in pericolo il pianeta, ma la ricerca cronica della crescita economica da parte del capitalismo. Crescita illimitata significa maggiore domanda di energia. E una maggiore domanda di energia rende più difficile sviluppare una capacità sufficiente per generare energia rinnovabile nel breve tempo rimasto per evitare un riscaldamento catastrofico.
Questo è il motivo per cui la rilettura di Saito dell’opera di una vita di Karl Marx è cruciale per i socialisti di oggi. Come sostiene, l’ecologia non era una considerazione secondaria per Marx, ma al centro della sua analisi del capitalismo. E mentre si avvicinava alla fine della sua vita, Marx si rivolse sempre più alle scienze naturali e si convinse profondamente che la crescita infinita associata al capitalismo non poteva essere sfruttata per scopi umani o ambientali. Piuttosto, come spiega Saito, Marx capì che il comunismo avrebbe portato sia abbondanza che decrescita.
Altro che riscaldamento globale
Oggi, gli attivisti ambientali in genere si concentrano sul riscaldamento globale. Ma il problema è più profondo di questo. Scienziati come James Hansen e Paul Crutzen hanno identificato una serie di “confini planetari” oltre i quali il disastro è quasi certo. Il cambiamento climatico è uno di questi. Tuttavia, esistono anche punti critici quando si tratta di perdita di biodiversità o di terreni boschivi, acidificazione degli oceani, inquinamento chimico, riduzione dell’ozono, carico di azoto e fosforo nell’acqua e esaurimento dell’acqua dolce.
Ad esempio, la concentrazione atmosferica di carbonio non dovrebbe superare le 350 parti per milione (ppm) se il clima deve rimanere stabile – e abbiamo già superato quel limite nel 1990. Ora è di 420 ppm. Allo stesso modo, il disastro minaccia se la proporzione della superficie terrestre della Terra che è coperta da foreste scende al di sotto del 25% o se il tasso di estinzione supera le dieci specie per milione all’anno.
Dalla deforestazione dell’Amazzonia alle estinzioni causate dagli incendi boschivi causati dai cambiamenti climatici in Australia, la causa principale rimane la stessa: un’espansione economica incontrollata.
Per quanto l’evidenza richieda la decrescita, la proposta solleva nondimeno difficili questioni politiche. Ad esempio, i socialisti nei mondi sviluppati e in via di sviluppo sono uniti nel chiedere migliori standard di vita. Ed è difficile immaginare che un movimento di massa contro il capitalismo prenda piede a meno che non possa offrire una vita migliore.
Questi, tuttavia, non sono problemi insormontabili. Come sostengono sia Saito che Hickel, a causa del ruolo dell’imperialismo nel trasferire sistematicamente i costi ecologici al Sud del mondo, la crescita economica deve diminuire bruscamente nei paesi più ricchi mentre può continuare nel Sud del mondo (sia pure con un modello diverso, per non ripetere gli errori di quello attuale, NDT)
Ma questo non significa che la gente comune nei paesi ricchi debba subire un brusco calo della qualità della vita. Ristrutturando radicalmente l’economia per dare priorità ai bisogni sociali e alla sostenibilità ecologica, è possibile migliorare la vita della maggioranza anche riducendo la produzione.
Come sosteneva Saito in Marx in the Anthropocene, più tardi nella vita, mentre Marx approfondiva la sua ricerca nell’economia politica e nelle scienze naturali, questa idea divenne più cruciale per la sua visione di una società post-capitalista. Tuttavia, è una prospettiva che è stata in parte persa dato che Marx non è vissuto abbastanza a lungo per incorporare l’analisi in volumi successivi pianificati ma incompiuti del Capitale. E questa non è solo una congettura. Saito costruisce il suo caso sulla base della sua profonda conoscenza di quaderni e scritti inediti che sono stati ora pubblicati come parte delle nuove opere complete di Marx e Frederick Engels, la Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA) .
Marx, scrive Saito, si rese conto che “lo sviluppo capitalista delle tecnologie non prepara necessariamente una base materiale per il post-capitalismo”. Ciò significa che “Marx non solo considerava le <<fratture metaboliche>> sotto il capitalismo come l’inevitabile conseguenza della fatale distorsione nel rapporto tra uomo e natura, ma sottolineava anche la necessità di una trasformazione qualitativa nella produzione sociale al fine di riparare il profondo abisso nel metabolismo universale di natura.”
Le forze produttive del capitalismo
Saito identifica nell’opera di Marx quattro ragioni per cui le forze produttive sviluppate sotto il capitalismo non possono essere adottate in una società ecosocialista post-capitalista.
In primo luogo, poiché gran parte della tecnologia è progettata in parte per soggiogare e controllare i lavoratori, gran parte di essa è inadatta a una società non sfruttatrice.
In secondo luogo, come spiega Saito, “le tecnologie capitaliste non sono adatte all’esigenza socialista di riunificare ‘concezione’ ed ‘esecuzione’ nel processo lavorativo”. Vale a dire, una società socialista deve garantire che l’utilizzo della tecnologia sia conforme allo scopo per il quale è stata progettata e che questi lavorino insieme per fini umani ed ecologici.
In terzo luogo, secondo Saito, Marx osservava che “lo sviluppo capitalistico delle forze produttive mina e distrugge persino il metabolismo universale della natura”. In altre parole, interrompendo e distruggendo interi ecosistemi, lo sviluppo capitalista inibisce la capacità della natura di rinnovarsi.
E in quarto luogo, Saito sostiene che Marx ha predetto che lo sviluppo di una tecnologia che separa mezzi e fini, come descritto sopra, porterebbe all’ascesa di una “classe burocratica”. Questa nuova classe “dominerebbe la produzione sociale generale invece della classe capitalista” e “la condizione alienata della classe operaia rimarrebbe sostanzialmente la stessa”.
Per questi motivi, sostiene Saito, Marx ha iniziato a mettere in discussione la sua precedente visione secondo cui il capitalismo svolge un ruolo progressista aumentando le forze produttive della società. Di conseguenza, come sostiene Saito, Marx fu “inevitabilmente costretto a sfidare la sua precedente visione progressista della storia”.
Questo cambiamento di prospettiva ha guidato il lavoro di Marx sui successivi volumi del Capitale pianificati ma incompiuti: ha intensificato il suo studio sia delle scienze naturali che delle società precapitalistiche. E dopo il 1868, questo portò Marx a un altro cambio di paradigma mentre abbracciava quello che Saito e altri ora chiamano comunismo della decrescita.
Secondo questa nuova prospettiva, Marx abbandonò l’idea che una società comunista si sarebbe semplicemente appropriata dell’abbondanza ecologicamente insostenibile che il capitalismo ora offre a una piccola minoranza. Invece, offrirebbe una “radicale abbondanza di ‘ricchezza comune/condivisa’”. Secondo Saito, Marx lo chiarisce nella Critica del programma di Gotha , definendolo come “uno stile di vita non consumistico in un’economia post-scarsità che realizza una società sicura e giusta di fronte alla crisi ecologica globale nell’Antropocene. ”
In effetti, se leggiamo l’ultimo lavoro di Marx in questa luce, ci aiuta a capire la sua famosa lettera del 1881 a Vera Zasulich, una rivoluzionaria russa. In esso, Marx suggerisce che i modelli premoderni di proprietà terriera comunitaria trovati nei villaggi di tutto l’impero russo potrebbero essere trasformati in modelli di proprietà collettiva e socialista. Secondo Saito, questa lettera dovrebbe essere “reinterpretata come la cristallizzazione della sua visione non produttivista e non eurocentrica della società futura” e “dovrebbe essere caratterizzata come comunismo della decrescita”.
Il lavoro essenziale ha un’impronta ecologica inferiore
Saito sostiene che una società socialista si sposterebbe verso un lavoro essenziale che produce valori d’uso di base e, di conseguenza, la crescita economica rallenterebbe. Un’economia rimodellata per servire i bisogni sociali avrebbe un’impronta ecologica notevolmente inferiore, aggiunge, e la scarsità artificiale che il capitalismo ha prodotto da quando ha distrutto i vecchi beni comuni potrebbe essere superata.
Ma è vero? C’è una ricerca che suggerisce che lo sia. Lo studio di Hickel sui dati delle Nazioni Unite, citato in Less Is More, ha scoperto che “la relazione tra PIL e benessere umano si svolge su una curva di saturazione, con rendimenti nettamente decrescenti: dopo un certo punto, che le nazioni ad alto reddito hanno da tempo superato, più PIL fa ben poco per migliorare i risultati sociali fondamentali”.
Ad esempio, la Spagna spende solo $ 2.300 a persona per fornire assistenza sanitaria di alta qualità a tutti come diritto fondamentale e vanta anche un’aspettativa di vita di 83,5 anni, una delle più alte al mondo. In effetti, l’aspettativa di vita della Spagna è di ben cinque anni più lunga di quella degli Stati Uniti, dove il sistema privato a scopo di lucro “risucchia l’incredibile cifra di 9.500 dollari a persona, offrendo al contempo un’aspettativa di vita inferiore e peggiori risultati di salute”. E Cuba, molto più povera, ha goduto a lungo di un’aspettativa di vita più alta rispetto agli Stati Uniti grazie alla sua assistenza sanitaria gratuita e universale. Durante la pandemia di COVID-19 questo divario è cresciuto fino a tre anni.
Oltre a questo, Saito sostiene che ci sono altre buone ragioni per cui una società post-capitalista ha bisogno di rimodellare radicalmente l’economia. Ad esempio, sotto il capitalismo, più persone sono costrette a svolgere precari “lavori di merda”, un termine che ha preso in prestito dal defunto antropologo e attivista anarchico David Graeber. Gli esempi includono operatori di telemarketing, controllori di biglietti per parcheggi e trasporti pubblici e la maggior parte dei quadri intermedi. Oltre ad essere privi di significato, perché sono uno spreco, i posti di lavoro contribuiscono alla distruzione ambientale, approfondiscono le disuguaglianze e peggiorano la nostra salute mentale e la qualità della vita.
A un livello più ampio, il comunismo della decrescita accorcerebbe radicalmente la settimana lavorativa e libererebbe la creatività umana, la socialità e la solidarietà sociale nel processo. Per spiegare, Saito osserva che durante il XX e il XXI secolo, il rapido cambiamento tecnologico ha portato a un aumento della produttività. Eppure, l’orario di lavoro non è diminuito, ancora una volta perché il capitalismo richiede una crescita costante.
Alla fine, tuttavia, il punto di Saito è che guadagneremo la libertà di fare scelte su ciò che produciamo collettivamente e su come lo facciamo solo liberando la maggioranza dal “dispotismo del capitale”.
Contro il marxismo deterministico
Questi argomenti significano che Saito fa causa comune con una lunga serie di marxisti – tra cui Rosa Luxemburg, Leon Trotsky, Georg Lukács, Antonio Gramsci e altri – che si sono opposti alle versioni deterministiche del marxismo. Sebbene tali teorie della storia siano contrarie a gran parte del lavoro di Marx, sia iniziale che tardo, ci sono senza dubbio passaggi che danno sostegno al determinismo storico affermando che il capitalismo inevitabilmente si autodistruggerà.
Ad esempio, come scrisse notoriamente Marx nel 1869 in A Contribution to the Critique of Political Economy, “A un certo stadio di sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in conflitto con i rapporti di produzione esistenti… Da forme di sviluppo delle forze produttive questi rapporti si trasformano nei loro ceppi. Quindi inizia un’era di rivoluzione sociale. I mutamenti della base economica portano prima o poi alla trasformazione di tutta l’immensa sovrastruttura.”
Come sostiene Saito, è sbagliato leggere questo come una previsione restrittiva che la crescita economica diminuirà, provocando una grande crisi e la necessaria fine del capitalismo. Al contrario, “semplicemente non c’è alcuna prova empirica che la pressione sui tassi di profitto dovuta ai crescenti costi del capitale circolante provocherà presto una ‘crisi epocale'”.
In effetti, il capitalismo può dimostrarsi resistente alla catastrofe ecologica. Come spiega Saito, “è necessario realizzare zero emissioni nette di carbonio entro il 2050 per mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C entro il 2100. Quando questa linea viene superata, vari effetti potrebbero combinarsi, rafforzando così il loro impatto distruttivo su scala globale, specialmente su coloro che vivono nel Sud globale. Tuttavia, le società capitaliste nel Nord del mondo non crolleranno necessariamente”.
Rispetto alle letture più ottimistiche di Marx, quella di Saito è sobria. Probabilmente, tuttavia, l’effettivo corso della storia dai tempi di Marx – che include crescenti fratture metaboliche – supporta la sua visione. Ed è per questo che l’ultima visione di Marx del comunismo della decrescita può essere una fonte di speranza per la nostra era di crisi multiple, in accelerazione e sovrapposte.