Pubblichiamo la traduzione (a cura di Kino della RES) dell’articolo di John Bellamy Foster che apre il vol.75 n. 3 (01.07.2023) della Monthly Review, che conferma come il dialogo tra decrescita ed ecosocialismo prosegua serratamente. Questa traduzione è stata pubblicata anche su RedongreenAntropocene.

Decrescita pianificata: ecosocialismo e sviluppo umano sostenibile

Tutti i concetti importanti sono dialetticamente vaghi ai margini. – Hermann E. Daly 1

La parola decrescita comprende una famiglia di approcci politico-economici che, di fronte all’odierna crisi ecologica planetaria in accelerazione, rifiutano la crescita economica illimitata ed esponenziale come definizione di progresso umano. Abbandonare la crescita economica nelle società ricche significa passare la formazione di capitale allo zero netto. Con il continuo sviluppo tecnologico e il miglioramento delle capacità umane, la mera sostituzione dell’investimento nella produzione è in grado di promuovere costanti progressi qualitativi  nelle società industriali mature, eliminando le condizioni di sfruttamento del lavoro e riducendo l’orario di lavoro. Insieme alla ridistribuzione sociale globale del prodotto in eccedenza e alla riduzione degli sprechi, consentirebbe enormi miglioramenti nella vita della maggior parte delle persone.

La decrescita, che si rivolge specificamente ai settori più opulenti della popolazione mondiale, è quindi finalizzata al miglioramento delle condizioni di vita della grande maggioranza, mantenendo le condizioni ambientali di esistenza e promuovendo uno sviluppo umano sostenibile.2

La scienza ha stabilito senza dubbio che, nell’odierna “economia del mondo intero”, è necessario operare all’interno di un budget complessivo del Sistema Terra rispetto alla sua portata fisica (throughput) consentita. 3 Tuttavia, piuttosto che costituire un ostacolo insormontabile allo sviluppo umano, questo può essere visto come l’inizio di una fase completamente nuova della civiltà ecologica basata sulla creazione di una società di sostanziale uguaglianza e sostenibilità ecologica, o ecosocialismo. La decrescita, in questo senso, non mira all’austerità, ma a trovare una “prospera via di discesa” dal nostro attuale mondo estrattivista, dispendioso, ecologicamente insostenibile, malsviluppato, sfruttatore, disuguale, gerarchico e di classe. 4

La crescita continua continuerebbe a verificarsi in alcune aree dell’economia, una crescita resa possibile da riduzioni altrove. La spesa per combustibili fossili, armamenti, jet privati, SUV, seconde case e pubblicità dovrebbe essere tagliata per dare spazio alla crescita in aree come l’agricoltura rigenerativa, la produzione alimentare, alloggi dignitosi, energia pulita, assistenza sanitaria accessibile , istruzione universale, benessere della comunità, trasporti pubblici, connettività digitale e altre aree legate alla produzione verde e ai bisogni sociali. 5

Quando i primi sistemi di contabilità del reddito nazionale furono ideati al tempo della seconda guerra mondiale, tutti gli aumenti del reddito nazionale, indipendentemente dalla fonte, furono caratterizzati come costitutivi di crescita economica. Il prodotto interno lordo, o PIL, divenne la misura primaria del progresso umano. 6 Tuttavia, molto di questo era discutibile da un più ampio punto di vista sociale ed ecologico. Secondo il sistema prevalente di contabilità economica nazionale, tutto ciò che fornisce “valore aggiunto”, in accordo con il processo di valorizzazione capitalista, rappresenta “crescita”. Ciò include cose come le spese di guerra; la produzione di prodotti dispendiosi e tossici; il consumo di lusso da parte dei ricchissimi; il marketing (che comprende ricerca sulla motivazione, targeting, la pubblicità e la promozione delle vendite); le sostituzioni del consumo sociale con il consumo privato, come l’automobile privata in sostituzione del trasporto pubblico; l’espropriazione dei beni comuni; le spese aziendali per migliorare lo sfruttamento dei lavoratori; le spese legali relative all’amministrazione, controllo, e valorizzazione della proprietà privata; le attività antisindacali da parte del management aziendale; il cosiddetto sistema di giustizia penale; l’aumento dei costi farmaceutici e assicurativi; l’occupazione nel settore finanziario; le spese militari; e persino le attività criminali.7

La massima estrazione di risorse naturali è considerata cruciale per una rapida crescita economica, poiché attinge al “dono gratuito… al capitale” della natura. 8

Al contrario, la produzione non di mercato e di sussistenza svolta in tutto il mondo; il lavoro domestico svolto prevalentemente dalle donne; le numerose spese per la crescita e lo sviluppo umano (viste come relativamente non produttive); la conservazione dell’ambiente; e le riduzioni della tossicità della produzione sono state tutte viste come “inutili” o è stato assegnato loro un valore ridotto, poiché non aumentano la produttività né promuovono direttamente il valore economico. 9

Oggi la tragedia elementare di questo modello è tutta intorno a noi. È ormai ampiamente percepito che la crescita economica, basata sull’accumulazione continua di capitale, è la causa principale della distruzione della terra come luogo sicuro per l’umanità. La crisi del Sistema Terra è evidente nell’attraversamento dei confini planetari legati al cambiamento climatico, all’acidificazione degli oceani, alla distruzione dello strato di ozono, all’estinzione delle specie, all’interruzione dei cicli dell’azoto e del fosforo, alla perdita di copertura del suolo (comprese le foreste), all’esaurimento dell’acqua dolce, al carico di aerosol e nuovi agenti (come sostanze chimiche sintetiche, radiazioni nucleari e organismi geneticamente modificati). 10 La spinta all’accumulazione di capitale sta quindi generando in questo secolo, una “crisi di abitabilità” per l’umanità. 11

Il consenso scientifico mondiale, rappresentato dal Gruppo Intergovernativo delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (IPCC), ha stabilito che la temperatura media globale deve essere mantenuta al di sotto di un aumento di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali di questo secolo, con un aumento sproporzionato il livello di rischio sarà sempre più elevato, occorre mantenersi “ben al di sotto” di un aumento di 2°C, se vogliamo evitare una catastrofe assoluta determinata dalla destabilizzazione del clima e dalla minaccia (degli irreversibili n.d.t.) meccanismi di feedback positivo. Nel sesto rapporto di valutazione dell’IPCC (AR6, pubblicato su RedOnGreen nelle sue varie parti nel periodo 2021-23 n.d.t.), lo scenario più ottimistico è quello di un aumento di fine secolo della temperatura media globale rispetto ai livelli preindustriali inferiore a 1,5°C. Ciò richiede che il limite di 1,5°C non venga superato fino al 2040, salendo di un decimo di grado a 1,6°C, per poi scendere verso la fine del secolo fino a un aumento complessivo di 1,4°C. Tutto ciò si basa sul raggiungimento di zero emissioni nette (in effetti, zero reali) di carbonio entro il 2050, il che offre una probabilità cinquanta e cinquanta che il confine clima-temperatura non venga superato. 12

Tuttavia, secondo il famoso scienziato del clima Kevin Anderson del Tyndall Center for Climate Change Research, questo scenario è già obsoleto. Ora è necessario, sulla base dei dati dell’IPCC, raggiungere il punto di zero emissioni di anidride carbonica entro il 2040, per avere lo stesso 50% di possibilità di evitare un aumento di 1,5°C. “A partire da ora”, ha scritto Anderson nel marzo 2023, per non superare 1,5°C di riscaldamento sono necessarie riduzioni delle emissioni dell’11% su base annua, che scendono a circa il 5% per 2°C. Tuttavia, questi tassi medi globali ignorano il concetto centrale di equità, fondamentale per tutti i negoziati sul clima delle Nazioni Unite, che concede ai “paesi in via di sviluppo” un po’ più di tempo per decarbonizzare e invita la maggior parte delle nazioni “sviluppate” a raggiungere zero emissioni di CO2 tra il 2030 e il 2035, con le nazioni in via di sviluppo che seguiranno l’esempio entro un decennio dopo. Qualsiasi ritardo ridurrà ulteriormente queste tempistiche. 13

L’Organizzazione meteorologica mondiale ha indicato nel maggio 2023 che esiste una probabilità del 66% che la temperatura globale media annua vicino alla superficie terrestre superi temporaneamente un aumento di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali per “almeno” un anno entro il 2027 14

Gli scenari IPCC esistenti fanno parte di un processo conservativo, progettato per conformarsi ai prerequisiti dell’economia capitalista, che costruisce una crescita economica continua nei paesi ricchi, escludendo qualsiasi cambiamento sostanziale nelle relazioni sociali. L’unico dispositivo su cui si fa affidamento in tale modellazione climatica è quello di ipotizzare cambiamenti nella tecnologia indotti dai prezzi. Gli scenari esistenti si basano quindi necessariamente in larga misura su tecnologie di emissioni negative, come la bioenergia e la cattura e il sequestro del carbonio (BECCS) e la cattura diretta del carbonio nell’aria (DAC), che attualmente non esistono su larga scala e non possono essere istituite entro la tempistica prescritta, pur presentando anche enormi rischi ecologici di per sé. Questa enfasi su tecnologie essenzialmente inesistenti che sono esse stesse distruttive per l’ambiente (data il loro enorme consumo di terra, acqua, e fabbisogno energetico) è stata contestata dagli scienziati all’interno dello stesso IPCC. Pertanto, nell’originale Summary for Policymakers for the mitigation report, parte 3 di AR6, gli scienziati autori del rapporto hanno convenuto che tali tecnologie non sono praticabili in un lasso di tempo ragionevole e hanno suggerito che le soluzioni a basso consumo energetico basate sulla mobilitazione popolare potrebbero offrire meglio la speranza di realizzare le massicce trasformazioni ecologiche ora necessarie. Tutto questo, tuttavia, per precisa volontà dei Governi è stato escluso dal Riepilogo finale pubblicato per i decisori politici, come parte del normale processo IPCC, che consente la censura degli scienziati.15

Le soluzioni tecnologiche indotte dal prezzo (ovvero dal rapporto tra costo/profitto n.d.t.), che consentirebbero una continua crescita economica e la perpetuazione delle attuali relazioni sociali, non esistono su nulla di simile alla scala e al tempo richiesti. Sono quindi necessari importanti cambiamenti socioeconomici nel modo di produzione e di consumo, in contrasto con l’egemonia politico-economica dominante.

“Tre decenni di autocompiacimento”, scrive Anderson, “hanno significato che la tecnologia da sola non può ridurre le emissioni abbastanza velocemente”. C’è quindi un drastico bisogno di soluzioni a basso consumo energetico basate su cambiamenti nei rapporti di produzione e consumo che affrontino anche le profonde disuguaglianze. Le necessarie riduzioni delle emissioni sono “possibili solo riassegnando la capacità produttiva della società lontano dal consentire il lusso privato di pochi e l’austerità per tutti gli altri, e verso una più ampia prosperità pubblica e sufficienza privata.

Per la maggior parte delle persone, affrontare il cambiamento climatico porterà molteplici vantaggi, da alloggi a prezzi accessibili a posti di lavoro sicuri. Ma per quei pochi di noi che hanno beneficiato in modo sproporzionato dello status quo”, insiste Anderson, “significa una profonda riduzione della quantità di energia che usiamo e delle cose che accumuliamo”.16

Un approccio di decrescita/deaccumulazione che metta in discussione la società dell’accumulazione e il primato della crescita economica è cruciale in questo caso. L’approvvigionamento sociale per i bisogni umani e la netta riduzione delle disuguaglianze sono parti essenziali del passaggio a una trasformazione dell’economia a basso consumo energetico e all’eliminazione di forme e scale di produzione ecologicamente distruttive. In questo modo, la vita della maggior parte delle persone può essere migliorata sia economicamente che ecologicamente. Realizzare questo, tuttavia, richiede di andare contro la logica del capitalismo e la mitologia di un sistema di mercato autoregolato. Una trasformazione così radicale può essere raggiunta solo introducendo livelli significativi di pianificazione economica e sociale, attraverso i quali, se portata a compimento, i produttori associati collaborerebbero in modo razionale per gestire il processo lavorativo e produttivo che regola il metabolismo sociale dell’umanità e la natura nel suo insieme.

Il socialismo classico del diciannovesimo secolo nell’opera di Karl Marx e Frederick Engels ha visto la necessità dell’istituzione della pianificazione collettiva in risposta alle contraddizioni ecologiche e sociali del capitalismo, così come a quelle economiche. L’analisi di Engels insisteva sulla necessità della pianificazione socialista per superare la spaccatura ecologica tra città e campagna, mentre la teoria della spaccatura metabolica di Marx, operando a un livello più generale, insisteva sulla necessità di uno sviluppo umano sostenibile.

La pianificazione è stata cruciale per tutte le economie, sia capitaliste che socialiste, in tempo di guerra. Le gigantesche corporazioni monopolistiche hanno esse stesse istituito di propria iniziativa quello che l’economista John Kenneth Galbraith ha definito un “sistema di pianificazione”, pur operando in gran parte all’interno, piuttosto che tra, conglomerati multinazionali.17 Tuttavia, l’intera idea di pianificazione economica è vista, nell’ideologia diffusa, come antagonista al mercato capitalista ed è stata di fatto bandita dalla discussione pubblica – dichiarata impraticabile e dispotica – in seguito al trionfo del capitalismo nella Guerra Fredda e la fine dell’Unione Sovietica.

Questo ora sta cambiando rapidamente. Come ha recentemente notato l’economista francese Jacques Sapir, “piano e pianificazione sono tornate di moda”, a causa delle contraddizioni interne ed esterne del sistema di mercato capitalista.18 È ormai chiaro che, senza il ritorno della pianificazione e della regolazione ambientale-statale dell’economia in un contesto di decrescita/disaccumulazione del capitale, si annullano le possibilità di affrontare con successo l’attuale emergenza planetaria e di assicurare il perdurare della società industrializzata e la sopravvivenza della popolazione umana.

Marx, Engels e la pianificazione ecologica

Marx ed Engels furono sempre riluttanti a fornire quelle che Marx chiamava “ricette… per le cucine del futuro”, delimitando le forme che le società socialiste e comuniste avrebbero dovuto assumere. Per dirla con Engels, «congetturare su come una società futura potrebbe organizzare la distribuzione del cibo e delle abitazioni porta direttamente all’utopia» .19 Tuttavia, essi erano chiari in tutti i loro scritti che la riorganizzazione della produzione in una società di produttori associati avrebbe comportato il lavoro cooperativo organizzato secondo un piano comune.

Ne I Principi del Comunismo , Engels scriveva che nella società futura, “tutti… i rami della produzione” sarebbero “gestiti dalla società nel suo insieme, cioè per conto comune, secondo un piano comune, con la partecipazione di tutti i membri della società.” Lo stesso approccio è stato adottato da Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista, dove hanno individuato la necessità dell’“estensione delle fabbriche e degli strumenti di produzione di proprietà dello Stato; la coltivazione di terreni incolti e il miglioramento del suolo in generale secondo un piano comune.”20 Qui il problema di porre fine alla divisione tra città e campagna attraverso una distribuzione più uniforme della popolazione sul territorio, in modo che non fosse più concentrata nelle grandi città industriali che separano le popolazioni urbane e rurali, era centrale nella loro idea di comune piano.

Gran parte dell’analisi di Marx nei Grundrisse si concentrava sulla necessità dell’”economia del tempo, [che] in accordo con la distribuzione pianificata del tempo di lavoro tra i vari rami” dell’industria, costituiva “la prima legge economica sulla base della produzione comunitaria .” 21 Scriveva a Engels l’8 gennaio 1868: «Nessuna forma di società può impedire che l’orario di lavoro a disposizione della società regoli in un modo o nell’altro la produzione. Tuttavia, fintanto che questa regolazione non è realizzata dal controllo diretto e cosciente della società sul suo tempo di lavoro – che è possibile solo con la proprietà comune – ma dal movimento dei prezzi delle merci, le cose rimangono come le hai già abbastanza opportunamente descritte in Deutsch-Französische Jahrbücher”— riferendosi agli “Schemi di una critica dell’economia politica” di Engels del 1843. 22 Questo primo lavoro di Engels fu molto ammirato da Marx. Nel suo “Riassunto degli ‘Schemi’ di Engels del 1843”, Marx enfatizzò “la scissione tra la terra e l’essere umano” e, quindi, l’alienazione della natura, come base esterna della produzione capitalistica.

Nel Capitale, Marx sosteneva rispetto alla pianificazione che la parte del prodotto sociale destinata alla riproduzione dei mezzi di produzione è propriamente collettiva mentre l’altra parte, destinata al consumo, è ripartita individualmente tra i consumatori. Il modo in cui una data società realizza questa importantissima divisione è la chiave dell’intero modo di produzione e riflette lo sviluppo storico della società stessa. Sotto il socialismo, il tempo di lavoro sarebbe necessariamente ripartito «secondo un determinato piano sociale» che «mantiene la giusta proporzione tra le diverse funzioni del lavoro e le diverse esigenze delle associazioni» del lavoro. Ciò è stato possibile solo quando “i rapporti pratici della vita quotidiana tra uomo e uomo, e uomo e natura generalmente si presentano… in una forma razionale” come risultato dello sviluppo storico,23 Come spiegò Marx in risposta alla Comune di Parigi, le “società cooperative” nella società futura “regolamenterebbero la produzione nazionale secondo un piano comune”. 24 Il fatto che tale pianificazione fosse sia un problema economico che ecologico era chiaro in tutto il suo lavoro.

«La libertà in questa sfera», una società superiore, scriveva Marx nel terzo volume del Capitale, «può consistere solo in questo: che l’uomo socializzato, i produttori associati, governino in modo razionale il metabolismo umano con la natura, portandola sotto il loro controllo collettivo… realizzandolo con il minor dispendio di energia e nelle condizioni più degne e appropriate per la loro natura umana. 25

La documentazione storica della distruzione ecologica causata dall’uomo in forme come la deforestazione e la desertificazione, incarnava per Marx, “tendenze socialiste” inconsce poiché dimostrava la necessità del controllo sociale . 26

Tuttavia, fu Engels nell’Anti-Dühring a fondare in modo più esplicito la necessità della pianificazione in relazione alle condizioni ambientali. Per Engels, erano le esternalità negative della produzione capitalistica, associate alla divisione tra città e campagna, un problema abitativo permanente e la distruzione delle condizioni sia naturali che sociali dell’esistenza della classe operaia, che richiedevano più chiaramente grandi pianificazione in scala. La stessa industria moderna, sosteneva, aveva bisogno di “acqua relativamente pura”, in contrasto con ciò che esisteva nella “città industriale” che “trasforma tutta l’acqua in letame puzzolente”. 27 Estendendo i temi presenti sia in The Condition of the Working Class in England che nel Manifesto Comunista , dichiarò:

L’abolizione dell’antitesi tra città e campagna non è solo possibile. È diventata una necessità diretta della stessa produzione industriale, così come è diventata una necessità della produzione agricola e, inoltre, della salute pubblica. L’attuale avvelenamento dell’aria, dell’acqua e della terra può essere messo fine solo dalla fusione di città e campagna; e solo tale fusione cambierà la situazione delle masse che languiscono nelle città e consentirà di utilizzare i loro escrementi per la produzione di piante invece che per la produzione di malattie… L’abolizione della separazione tra città e campagna non è quindi utopica… nella misura in cui è condizionata alla distribuzione più equa possibile dell’industria moderna su tutto il paese. 28

Organizzare la produzione collettivamente secondo un “piano sociale”, sosteneva Engels, “porrebbe fine alla… soggezione degli uomini ai propri mezzi di produzione” caratteristica della produzione capitalista di merci. 29 Sotto il socialismo, sarebbe ovviamente “ancora necessario per la società sapere quanto lavoro richiede ogni articolo di consumo per la sua produzione”. Dovrebbe allora “organizzare il suo piano di produzione in funzione dei suoi mezzi di produzione, che comprendono, in particolare, le sue forze-lavoro. Gli effetti utili dei vari articoli di consumo confrontati tra loro e con le quantità di lavoro necessarie per la loro produzione, determineranno alla fine il piano”. 30 Ma al di là dell’uso razionale ed economico del lavoro all’interno dell’industria, la pianificazione sarebbe necessaria per superare l’esaurimento del suolo nelle campagne e il relativo inquinamento della città. «Soltanto una società che fa in modo che le sue forze produttive si incastrino armoniosamente l’una nell’altra sulla base di un unico vasto piano», scriveva Engels, «può permettere che l’industria si distribuisca su tutto il paese nel modo più adatto al proprie sviluppo, e al mantenimento e allo sviluppo degli altri elementi della produzione”. 31

Nella Dialettica della Natura , Engels si preoccupava in particolare del fallimento dell’economia politica classica come “scienza sociale della borghesia” nel rendere conto delle “azioni umane nei campi della produzione e dello scambio” che erano involontarie, esterne al mercato, e remote. Il carattere anarchico e non pianificato dell’economia capitalista ha quindi amplificato i disastri ecologici. “Cosa importava ai piantatori spagnoli a Cuba”, ha scritto, che bruciarono le foreste sui pendii delle montagne e ricavarono dalle ceneri fertilizzante sufficiente per una generazione di piante di caffè molto redditizie – cosa gli importava che le forti piogge tropicali in seguito spazzassero via lo strato superiore non protetto del suolo, lasciando dietro di sé solo nuda roccia! In relazione alla natura, come alla società, l’attuale modo di produzione si preoccupa prevalentemente solo del risultato immediato, più tangibile; e poi si esprime sorpresa che gli effetti più remoti delle azioni dirette a tal fine si rivelino del tutto diversi, abbiano per lo più caratteri del tutto opposti. 32

Per promuovere gli interessi della comunità umana nel suo insieme, era quindi necessario compiere “un’azione pianificata” e regolare la produzione in linea con la scienza, tenendo conto dell’ambiente terrestre, cioè secondo le leggi della natura. 33

Marx ed Engels vedevano il socialismo come un’espansione delle forze di produzione in senso quantitativo oltre che qualitativo, ed Engels si riferiva persino nell’Anti-Dühring a come l’avvento del socialismo avrebbe determinato “lo sviluppo costantemente accelerato delle forze produttive e … un aumento praticamente illimitato della produzione stessa”. Tuttavia, il contesto in cui scrivevano non era l’odierna “economia mondiale completa”, ma piuttosto una fase ancora iniziale di industrializzazione. Nel periodo di sviluppo industriale, che va dall’inizio del XVIII secolo fino alla prima Giornata della Terra del 1970, il potenziale produttivo industriale mondiale è aumentato di circa 1.730 volte, il che, in una prospettiva ottocentesca, sarebbe sembrato “un aumento praticamente illimitato .” Oggi, invece, si pone il problema del “superamento” ecologico. 34

Pertanto, le conseguenze ecologiche a lungo termine della produzione sottolineate da Engels sono venute sempre più in primo piano nel nostro tempo. Ciò è simboleggiato dalla proposta di “epoca antropocenica” nella scala temporale geologica, a partire dal 1950 circa, che rappresenta l’emergere della società umana-industrializzata come fattore principale nel cambiamento del sistema terrestre. Da questo punto di vista, ciò che è forse più notevole dell’affermazione di Engels sullo sviluppo delle forze produttive sotto il socialismo è che è stata immediatamente seguita – nello stesso paragrafo e in quello successivo – dall’idea che lo scopo del socialismo non era l’espansione della produzione stessa, ma piuttosto il “libero sviluppo” degli esseri umani, che richiedeva un rapporto razionale e pianificato con “l’intera sfera delle condizioni di vita che circondano l’uomo”. 35

Marx ed Engels, quindi, consideravano la pianificazione come cruciale nell’organizzazione della società socialista/comunista, liberandola dal dominio dello scambio di merci e facendo affidamento su un “piano comune”. Tuttavia, non possono essere rappresentati con la stessa visione del tipo di pianificazione centralizzata sotto un’economia di comando, poiché questa doveva emergere alla fine degli anni ’20 e ’30 nell’Unione Sovietica. Piuttosto, sostenevano che la pianificazione da parte dei produttori diretti sarebbe stata democratica rispetto alla produzione stessa. 36 L’intero sistema del socialismo, come disse Marx, “inizia con l’autogoverno delle comunità” in una società in cui il “lavoro cooperativo” sarebbe “sviluppato in dimensioni nazionali e, di conseguenza… promosso con mezzi nazionali”. 37 L’organizzazione razionale del lavoro umano come lavoro collettivo o cooperativo, inoltre, non potrebbe avvenire senza un sistema di pianificazione. “Tutto il lavoro direttamente sociale o comunitario su scala più ampia richiede, in misura maggiore o minore, un’autorità direttiva, al fine di assicurare l’armoniosa cooperazione delle attività degli individui e di svolgere le funzioni generali che hanno la loro origine in un organismo produttivo totale”, come sistema di riproduzione metabolica sociale . La produzione richiede quindi guida, lungimiranza e gestione, nel senso di un “direttore” di un’orchestra. La visione di Marx di un’economia pianificata, come ha sottolineato Michael A. Lebowitz, era gestita da “conduttori associati” che avrebbero governato razionalmente il metabolismo tra l’umanità e la natura. 38

Come scriveva Marx nelle Teorie del plusvalore , sulla necessità di un approccio non capitalista, e quindi non esaustivo, al lavoro e alla natura, “L’anticipazione del futuro – la vera anticipazione – avviene nella produzione della ricchezza solo in relazione all’operaio e alla terra. Il futuro può infatti essere anticipato e rovinato in entrambi i casi da uno sforzo eccessivo e prematuro e dall’esaurimento, e dalla perturbazione dell’equilibrio tra spese e entrate. Nella produzione capitalistica questo accade sia al lavoratore che alla terra… Ciò che viene speso qui esiste come δίναμις [la parola greca per potere, nel senso aristotelico di forza causale] e la durata di questa δίναμις si accorcia a causa dell’accelerazione spesa.” 39

Il capitalismo, secondo i fondatori del materialismo storico, promuoveva una dialettica negativa e perversa di sfruttamento, espropriazione ed esaurimento/sterminio, la “rovina comune delle classi contendenti”. Ciò che era necessario, quindi, era la “ricostituzione rivoluzionaria della società nel suo insieme”. 40

Questa dialettica negativa di sfruttamento, espropriazione ed esaurimento/sterminio che caratterizza il capitalismo è stata vividamente catturata da Engels nei termini della nozione di “vendetta” della natura, un’espressione metaforica che Jean-Paul Sartre nella sua Critica della Ragione Dialettica trasformerà nel concetto di “controfinalità”. 41 Gli esseri umani, attraverso le loro formazioni sociali di classe, sono diventati anti-physis (anti-natura). Lo si poteva vedere nella distruzione delle foreste e nelle conseguenti inondazioni (Sartre aveva in mente la produzione contadina cinese descritta nell’Histoire de la Chine di René Grousset del 1942), in cui le popolazioni hanno minato la propria esistenza e le proprie presunte vittorie sulla natura, portando a risultati catastrofici. «La natura», scriveva Sartre, «diventa la negazione dell’uomo proprio nella misura in cui l’uomo si fa antifisis » e quindi « antiprassi ». 42 L’unica risposta al problema dell’alienazione della natura per Sartre, come per Marx ed Engels, era alterare i rapporti sociali di produzione che spingono l’umanità verso la catastrofe finale. Ciò richiedeva una rivoluzione della terra sotto forma di una nuova prassi socialista di sviluppo umano sostenibile in cui la vita stessa non fosse più posta come nemica dell’umanità: la riunificazione della natura e della società.

La tradizione del “comunismo della decrescita” all’interno del marxismo risale a William Morris, il quale sosteneva che la Gran Bretagna poteva fare con meno della metà del carbone che utilizzava. 43 Ma può anche essere visto come correlato a quella che Paul Burkett chiamava la “visione complessiva dello sviluppo umano sostenibile” di Marx. Qui, l’accumulazione di capitale doveva essere spostata dai progressi nello sviluppo umano qualitativo e dedicata alla produzione di valore d’uso (piuttosto che valore di scambio) e al soddisfacimento dei bisogni di tutti gli individui, spostandosi dai bisogni più elementari fino alle esigenze umane e sociali più sviluppate, in armonia con l’ambiente nel suo complesso. 44

L’efficacia della pianificazione centrale

Dopo aver preso il potere nella Rivoluzione d’Ottobre nel 1917, “i bolscevichi”, come osservò l’economista marxista Paul Baran, “non avevano alcuna intenzione di stabilire immediatamente il socialismo (e una pianificazione economica globale) nel loro paese affamato e devastato”. 45 Originariamente prevedevano una rigida regolamentazione e controllo del mercato capitalista sotto un governo diretto dai lavoratori e la nazionalizzazione delle imprese chiave, che comprendeva una lunga e lenta transizione verso un’economia pienamente socialista. In effetti, all’epoca non esisteva alcuna nozione concreta di pianificazione centrale o di economia di comando. 46 “La parola ‘pianificazione’”, ha scritto Alec Nove in An Economic History of the USSR , “aveva un significato molto diverso [in Unione Sovietica] nel 1923-1926 da quello che acquisì in seguito. Non esisteva un programma di produzione e allocazione completamente elaborato, nessuna “economia di comando”. Gli esperti del Gosplan… hanno lavorato con notevole originalità, alle prese con statistiche inadeguate per creare il primo “bilancio dell’economia nazionale” della storia, in modo da fornire una sorta di base alla programmazione della crescita… Il punto è che quanto emerso da questi calcoli non erano piani nel senso di ordini di agire, ma “dati di controllo”, che erano in parte una previsione e in parte una guida per le decisioni strategiche di investimento, una base per discutere e determinare le priorità.” 47

Il comunismo di guerra, iniziato a metà del 1918, otto mesi dopo la Rivoluzione d’Ottobre, fu uno sforzo disperato per far fronte al caos e alle devastazioni derivanti dalla guerra civile russa, inclusa l’invasione del paese da parte di tutte le maggiori potenze imperiali a sostegno delle forze “bianche”. Il comunismo di guerra non riguardava la pianificazione, ma le nazionalizzazioni all’ingrosso, la produzione bellica, il divieto del commercio privato, l’eliminazione parziale dei prezzi, le razioni gratuite e la requisizione forzata di rifornimenti e eccedenze. 48 Lo stato sovietico rivoluzionario vinse la guerra civile, sconfiggendo le armate bianche e costringendo le potenze imperiali a lasciare il paese. Ma l’economia fu devastata e il piccolo proletariato industriale, che era stato la spina dorsale della rivoluzione, fu decimato, con solo la metà degli operai industriali nel 1920 rispetto al 1914.49

Nel 1921, di fronte al deterioramento economico, alla carestia e alla rivolta dei marinai di Kronstadt, Lenin organizzò una ritirata strategica, reintroducendo il commercio di mercato nella Nuova Politica Economica (NEP). A partire dal 1920, Lenin prese anche l’iniziativa personale di introdurre un piano per l’elettrificazione entro dieci-quindici anni di tutta la Russia, costruendo centrali elettriche e relative infrastrutture in tutte le principali regioni industriali. Questo si sarebbe rivelato il più grande risultato per quanto riguarda lo sviluppo economico nei primi anni ’20. 50

La NEP è stata vista come un periodo di transizione nel movimento verso il socialismo. Lenin lo definì “capitalismo di stato”. Lo stato sovietico mantenne il controllo dei vertici dell’economia, tra cui l’industria pesante, la finanza e il commercio estero. Nella concezione iniziale di Lenin, la NEP era un’alleanza limitata con il grande capitale con l’obiettivo di trasformare la produzione secondo la sua forma più sviluppata di capitalismo monopolistico, ma sotto il controllo socialista, insieme ad un accordo con i contadini. “Lo stato sovietico”, scrisse Tamás Krausz in Reconstructing Lenin, “ha dato un trattamento preferenziale al capitale organizzato su larga scala e alla proprietà statale orientata al mercato piuttosto che alla proprietà privata anarchica, l’economia caotica incontrollabile del piccolo borghese”. Lenin ha utilizzato il concetto di capitalismo di stato per riferirsi non solo al settore statale in un’economia mista, ma anche a una formazione sociale definita nel movimento verso il socialismo, che costituisce l’essenza della NEP. 51

Fu durante la NEP che fu introdotto per la prima volta nell’economia un livello di pianificazione dello sviluppo. Il Consiglio supremo dell’economia nazionale era stato istituito già nel 1917. Tuttavia, fu sotto la NEP che il Gosplan fu istituito come principale commissione statale per la pianificazione. Gosplan ha sviluppato il primo sistema di bilanci per un’economia nazionale, fornendo figure di controllo per guidare le decisioni di investimento con direttive limitate a pochi settori strategici sotto il controllo statale. Un nascente metodo di tabelle input-output fu introdotto nel 1923-24, ispirato al Tableau économique di François Quesnay e agli schemi di riproduzione di Marx nel Capitale . 52

Nel 1925, la NEP era riuscita a ripristinare l’economia prebellica e la produzione industriale al di fuori dell’agricoltura stava iniziando a stabilizzarsi. Lenin aveva accennato nel 1922 che la NEP avrebbe dovuto rimanere in vigore per molto tempo, con venticinque anni come “un po’ troppo pessimisti”.53 Ma con la sua morte nel 1924 e il successo della NEP nel ripristinare l’economia, sorse un grande dibattito sulla trasformazione e la pianificazione socialista. La teoria marxista classica si era basata sulle rivoluzioni avvenute prima nei paesi sviluppati dell’Europa occidentale. La rivoluzione russa era originariamente concepita come l’innesco di una più ampia rivoluzione proletaria europea, che, tuttavia, non si è mai materializzata. La Russia si è trovata un paese sottosviluppato, principalmente contadino, esistente in uno stato di isolamento politico ed economico e di fronte alla continua minaccia di ulteriori invasioni imperiali.

Tutti i principali partecipanti al Grande Dibattito concordarono sulla necessità di muoversi verso un’economia pianificata socialista, ma sorsero disaccordi sulla natura e il ritmo del cambiamento e sulla misura in cui ai contadini avrebbero dovuto espropriare la loro terra. Alcuni leader bolscevichi, come Nikolai Bukharin, sostenevano quella che allora era la linea dominante, insistendo su un approccio di crescita più lento ed equilibrato basato sulla continuazione della NEP come periodo di transizione. Al contrario, quelli come l’economista EA Preobrazenskij, identificato con l’”opposizione di sinistra”, erano favorevoli a un passaggio molto più rapido a un’economia pianificata centralmente e all’espropriazione dei contadini attraverso un processo di accumulazione primitiva socialista.54

I maggiori esponenti di entrambe le opposizioni di sinistra, inclusi Preobrazhensky e Leon Trotsky, e quella che Joseph Stalin avrebbe definito la giusta opposizione, associata a Bukharin (con cui Stalin era stato allineato durante il Grande Dibattito), furono tutti eliminati uno dopo l’altro, lasciando Stalin solo al comando. 55

Con l’ascesa al potere di Stalin nel 1928, fu adottato un rapido corso di industrializzazione in linea con le proposte originariamente avanzate dall’opposizione di sinistra, a cui lo stesso Stalin si era inizialmente opposto. L’obiettivo divenne quello di costruire il “socialismo in un solo paese” data la posizione isolata dell’URSS. Ciò, tuttavia, prese la forma di una brutale accumulazione socialista primitiva e di un’economia di comando burocratica dall’alto verso il basso, a partire dal primo piano quinquennale nel 1929. Nel 1925-26, sotto la NEP, il settore statale costituiva il 46% dell’economia; nel 1932, questo era salito al 91%. 56

La tragedia della pianificazione sovietica risiedeva nelle terribili circostanze storiche in cui sorse, portando a ciò che il noto storico dell’URSS, Moshe Lewin, chiamò “la scomparsa della pianificazione nel piano”. 57 La produzione industriale nel 1928-29 sotto la NEP era cresciuta a un tasso del 20%. Eppure questo non era considerato sufficiente. Bucharin si è espresso contro i piani costruiti da “pazzi” che cercavano un tasso di crescita economica annuale doppio rispetto a quello fornito dalla NEP. Il processo progettuale è stato quindi concepito fin dall’inizio su basi irrealistiche. Sorse un sistema di pianificazione centrale che assunse la forma specifica di un’economia di comando, con tutte le direttive sull’allocazione del lavoro e delle risorse, gli input nella produzione, gli obiettivi specificati e così via che vengono determinati burocraticamente dall’alto. Ciò è stato accompagnato dalla perpetuazione del carattere fondamentale del processo lavorativo capitalista con l’incorporazione di tecniche di gestione scientifica tayloriste, eliminando la possibilità di forme di organizzazione dal basso o di controllo operaio, come originariamente previsto nei Soviet dei lavoratori.

Le direttive tracciate nel primo piano quinquennale erano al di là di ogni possibilità di adempimento, con la conseguenza che il piano fu di fatto accantonato fin quasi dall’inizio. Il sistema di comando che emerse era amministrato centralmente e burocraticamente, mentre la pianificazione razionale era appena in evidenza. Nel frattempo, il “supertempo” dell’industrializzazione significava la massiccia confisca delle proprietà contadine e la collettivizzazione forzata, colpendo milioni di persone. Come scrisse Lewin, “l’impulso anticontadino di Stalin fu un attacco contro le masse popolari. Richiedeva una coercizione su così vasta scala che l’intero stato doveva essere trasformato in un’enorme macchina oppressiva”. In tali circostanze, la dura irreggimentazione della popolazione era inevitabile.58

Tuttavia, con tutte le sue carenze e barbarie, l’economia di comando rozza, goffa e burocratica che sorse nell’Unione Sovietica ebbe un enorme successo nei suoi effetti sullo sviluppo. È stata in grado di dare la priorità agli investimenti nell’industria pesante in un modo mai visto prima. Il tasso medio annuo di crescita della produzione industriale per gli anni 1930-40 era ufficialmente del “16,5 per cento”, che, nelle parole di Lewin, era “certamente una cifra impressionante (e non molto meno impressionante anche se si preferiscono valutazioni minori da parte degli economisti occidentali). ” 59 L’Unione Sovietica è passata all’industrializzazione, espandendo anche i trasporti e la produzione elettrica, anche se con l’agricoltura in ritardo. Altri grandi miglioramenti si sono verificati nell’istruzione e nell’urbanizzazione. 60 Tra il 1928 e il 1941 furono costruite circa ottomila imprese massicce e moderne.

Nel 1928 l’Unione Sovietica era ancora un paese sottosviluppato. Con la seconda guerra mondiale era emersa come una grande potenza industriale. Non c’è dubbio sul duro realismo di Stalin quando affermò, nel 1931, “Siamo indietro di 50-100 anni rispetto ai paesi avanzati. Dobbiamo percorrere questa distanza in dieci anni. O ce la faremo o verremo schiacciati”. 62 I suoi calcoli erano corretti.

La Wehrmacht tedesca invase la Russia esattamente dieci anni dopo, nel 1941, con più di tre milioni di truppe dell’Asse, organizzate in divisioni corazzate e dispiegate su un fronte di 1.800 miglia, le forze d’invasione si trovarono di fronte a una grande potenza industriale e militare del tutto diversa dalla Russia che aveva affrontato nella prima guerra mondiale. Le forze sovietiche portarono avanti una resistenza straordinaria che superava di gran lunga qualsiasi cosa concepita da Adolf Hitler e dai suoi consiglieri. La storia del mondo moderno si sarebbe svolta proprio su questo fatto, portando alla sconfitta della Germania nazista. 63

Tuttavia, le debolezze dell’economia sovietica, con la sua produzione amministrata e pianificata a livello centrale, avrebbero perseguitato il sistema dopo la seconda guerra mondiale. Pur mantenendo tassi di crescita piuttosto impressionanti e, nell’era post-stalinista, in particolare all’inizio di Leonid Brezhnev, in grado di fornire armi e burro nel contesto della Guerra Fredda, si trovò di fronte a una controparte molto più grande e aggressiva, gli Stati Uniti: le debolezze del sistema sovietico divennero sempre più evidenti. 64 L’economia pianificata burocratica aveva portato a una concentrazione di potere e all’emergere di una nuova classe dirigente di capi burocratici, o nachal’niki, derivanti dalla nomenklatura (esercizio del controllo sulle candidature ai vertici del Partito), che hanno pesato sul sistema, impedendo le necessarie modifiche.65 Nonostante i suoi primi sviluppi nell’analisi input-output, l’economia di comando sovietica non ha mai integrato i metodi della cibernetica e le possibilità di una pianificazione più ottimale emerse con la nuova rivoluzione informatica nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, nonostante alcuni movimenti in questa direzione.66 Un’enfasi eccessiva sui nuovi progetti di investimento ha portato a trascurare gli investimenti di sostituzione, con il risultato che la produzione è stata portata avanti con attrezzature obsolete con conseguenti numerose interruzioni del lavoro.67 La proletarizzazione del lavoro, unita alla piena occupazione e ad altre garanzie, ha ridotto le possibilità di coercizione economica all’interno del sistema rispetto al capitalismo, portando a problemi di incentivi materiali per i lavoratori.68

Il sistema sovietico di gestione d’impresa, come riconobbe acutamente Che Guevara, era basato sul capitalismo pre-monopolio, non sul capitalismo monopolistico, e quindi si basava maggiormente sulle transazioni interaziendali piuttosto che intraziendali. Ciò significava che le imprese dipendevano dai prezzi esterni, con l’ironico risultato che le relazioni di mercato indebolivano la pianificazione a livello aziendale in modi che non si verificavano all’interno di quello che Galbraith aveva definito il “sistema di pianificazione” delle società monopolistiche in Occidente. Allo stesso tempo, la produzione in fabbrica era organizzata secondo il vecchio modello Ford Motors in cui ogni divisione o sindacato produceva tutti i componenti, in contrasto con il sistema di produzione capitalista monopolistico più sviluppato con più fornitori, che preveniva i colli di bottiglia. 69 La cosa più importante è che l’economia di comando sovietica faceva affidamento fin dall’inizio su uno sviluppo estensivo, piuttosto che intensivo, attraverso l’arruolamento forzato di manodopera e risorse, in contrasto con la coltivazione di efficienze dinamiche.70 Di conseguenza, una volta che la manodopera e le risorse iniziarono ad essere scarse, anziché abbondanti, l’economia entrò in stagnazione, creando carenze diffuse. 71

Tuttavia, anche allora l’economia continuò a crescere, anche se più lentamente, fino al caos dell’era Gorbaciov, fornendo anche ampi servizi di assistenza sociale alla popolazione, invidiabili dal punto di vista della maggior parte del mondo, privi di consumismo di massa e beni di lusso. 72 Alla fine, fu la direzione presa dall’estremità superiore della gerarchia sociale associata al sistema della nomenklatura , che aspirava allo stesso opulento stile di vita delle alte sfere in Occidente, a segnare il destino del sistema sovietico. 73

Come spiegarono Harry Magdoff e Fred Magdoff in “ Approaching Socialism ”, “Le carenze dell’economia sovietica, che divennero evidenti non molto tempo dopo la ripresa dalla seconda guerra mondiale, non furono il risultato del fallimento della pianificazione centrale, ma del modo in cui la pianificazione era condotta. La pianificazione centrale in tempo di pace non ha bisogno del controllo da parte delle autorità centrali su ogni dettaglio della produzione. Non solo, il comandamento e l’assenza di democrazia non sono ingredienti necessari della pianificazione centrale, ma sono anzi controproducenti per una buona pianificazione. Ironia della sorte, è stato il carattere di classe del sistema sovietico e la corruzione dilagante che hanno portato alla sua fine. 74

Il periodo dell’economia di comando della Cina, dopo la rivoluzione del 1949, fu molto più breve, durando essenzialmente dal 1953 al 1978. Ha lanciato il suo primo piano quinquennale basato sul modello sovietico nel 1953, con la sua fase di pianificazione che è durata fino a quando non ha istituito le “riforme di mercato” un quarto di secolo dopo. Durante il suo periodo di pianificazione centrale, quando dovette fare i conti anche con la minaccia statunitense e quindi fu costretta a dirottare le maggiori risorse necessarie alla difesa nazionale, la Repubblica Popolare Cinese registrò comunque risultati impressionanti, ponendo la base industriale e sociale per l’ancor più impressionante sviluppo economico che sarebbe seguito con l’apertura dell’economia cinese e la sua integrazione controllata con l’economia mondiale.

Non c’è dubbio che il record dell’economia di comando cinese nel suo periodo di pianificazione iniziale fosse irregolare. La pianificazione centrale, come istituita in Cina, aveva molte delle stesse debolezze che aveva in Unione Sovietica, portando a squilibri e allo stesso fenomeno della “scomparsa della pianificazione nel piano”. Tuttavia, sono stati raggiunti enormi risultati. L’agricoltura è stata posta su una nuova base con i collettivi e la proprietà sociale. 75

“Poche persone ne sono consapevoli”, ha scritto Fred Magdoff nella sua prefazione a The Unknown Cultural Revolution: Life and Change in a Chinese Village di Dongping Han, “della visita in Cina nell’estate del 1974, durante la Rivoluzione Culturale, di una delegazione di agronomi statunitensi. Hanno viaggiato molto e sono rimasti stupiti da ciò che hanno osservato”, come descritto in un articolo del New York Times (24 settembre 1974). La delegazione era composta da dieci scienziati che erano “esperti osservatori delle colture con una vasta esperienza in Asia”. Come ha affermato il vincitore del premio Nobel Norman Borlaug: “Dovevi cercare attentamente per trovare un campo sbagliato. Tutto era verde e bello ovunque viaggiassimo. Ho sentito che i progressi erano stati molto più notevoli di quanto mi aspettassi. Il capo della delegazione, Sterling Wortman, vicepresidente della Fondazione Rockefeller, ha descritto il raccolto di riso come “…davvero di prim’ordine. Campo dopo campo, riso buono come qualsiasi cosa tu possa vedere”. Sono rimasti anche colpiti dall’aumento dei livelli di abilità degli agricoltori nei comuni. Wortman ha dichiarato: “Sono stati tutti portati ad un livello di abilità superiore. Tutti condividono le informazioni disponibili su come migliorare il proprio lavoro”. Una descrizione dettagliata delle loro osservazioni sull’agricoltura in Cina è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista Science nel 1975 dal Dr. Sprague. Gran parte del progresso nell’agricoltura cinese dopo la Rivoluzione Culturale è stato reso possibile dai progressi di quel periodo. Anche l’aumento dell’uso di fertilizzanti verificatosi tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 è stato reso possibile dalle fabbriche appaltate dalla Cina nel 1973 76

La crescita del potenziale industriale in Cina sotto Mao Zedong è stata “relativamente rapida” rispetto a quasi tutti gli altri paesi in via di sviluppo. 77 L’alfabetizzazione e l’aspettativa di vita media sono state completamente trasformate, ponendo la Cina alla pari con i paesi a medio reddito in termini di fattori di sviluppo umano alla fine degli anni ’70, nonostante il suo reddito pro capite era ancora estremamente basso. L ‘”impatto netto della pianificazione” è stato un enorme aumento del “tasso di progresso tecnico”. Come ha scritto Chris Bramall nella sua opera principale del 1993, Elogio della pianificazione economica maoista, “Se si crede che le capacità siano un indicatore migliore dello sviluppo economico rispetto all’opulenza, sia la Cina che il Sichuan [provincia] si erano sviluppate molto prima della morte di Mao. Che la Banca Mondiale scelga di porre maggiormente l’accento sull’opulenza è una decisione del tutto normativa”. 78

Dopo il 1978 la Cina è passata rapidamente da un’economia interamente pianificata centralmente a un sistema economico misto simile alla NEP di Lenin. Potrebbe essere visto strutturalmente, in termini marxisti, come ha notato Samir Amin, come un “capitalismo di stato” sotto la guida del Partito comunista cinese (sebbene siano stati usati anche i termini “socialismo di mercato” e persino “socialismo di stato”). 79 Ciò significava che c’era stata una brusca svolta nel mercato, mentre il settore statale rimaneva enorme, dominando i vertici dell’economia e guidando l’intero sistema, sotto il “socialismo con caratteristiche cinesi”. Il PIL cinese è cresciuto di trenta volte tra il 1978 e il 2015, superando di gran lunga tutti gli altri “miracoli economici” storici rispetto all’industrializzazione. 80

La terra, in particolare nelle zone rurali, è rimasta per la maggior parte di proprietà statale/collettiva. La Cina, attualmente, ha circa 150.000 imprese statali, di cui circa 50.000 sono di proprietà del governo centrale e il resto dei governi locali. Le imprese statali rappresentano circa il 30% del PIL totale (circa il 40% del PIL non agricolo) e circa il 44% del patrimonio nazionale. 81 Queste aziende sono strettamente controllate dal governo (con i direttori generali delle imprese statali nominati dal dipartimento centrale dell’organizzazione del partito). Sono integrati con il mercato ma ricevono sostegno e sussidi statali e si prevede che soddisfino gli obiettivi del governo oltre alla massimizzazione del profitto, fornendo allo stato anche eccedenze economiche, pari al 30% dei loro profitti. Durante la pandemia di COVID-19 il Partito ha conferito alle imprese statali un ruolo significativo. 82

La Cina continua a introdurre piani quinquennali in cui il suo controllo sul settore statale è il principale punto di leva per guidare l’intera economia. 83 Nel 2002, c’erano sei imprese statali cinesi nella Global Fortune 500. Nel 2012, questo numero era salito a sessantacinque. È esplicitamente riconosciuto dal Partito Comunista Cinese che il mercato è una forza senza cuore e senza cervello, che richiede che lo stato svolga un ruolo diretto nella guida dell’economia. Ciò ha preso la forma di quella che è nota come “regolazione statale (ovvero regolazione pianificata)” e del principio di “coproduzione” di stato e mercato. 84

Come ha osservato Yi Wen, economista e vicepresidente del Consiglio della Federal Reserve di St. Louis, “la Cina ha compresso i circa 150-200 (o anche più) anni di cambiamenti economici rivoluzionari vissuti dall’Inghilterra nel 1700-1900 e dagli Stati Uniti nel 1760-1920 e il Giappone nel 1850-1960 in una sola generazione”. 85 Un aspetto importante dell’economia cinese, che conserva un settore statale trainante, e quindi una capacità molto maggiore dello Stato di regolare l’economia – e, in effetti, di pianificare i cambiamenti nell’allocazione del lavoro e delle risorse – è una molto maggiore immunità alle crisi economiche, generalmente limitate a perturbazioni locali della produzione. 86 Tuttavia, le contraddizioni centrali del “socialismo con caratteristiche cinesi” si trovano a un livello di disuguaglianza che ha ormai quasi raggiunto proporzioni statunitensi, e nell’estremo sfruttamento della manodopera migrante dalle aree rurali impiegata nella produzione di esportazione per le multinazionali straniere. Queste sono diventate le principali aree di preoccupazione. 87

La fine dell’Unione Sovietica e l’apertura della Cina all’economia mondiale sono state universalmente accolte in Occidente – in particolare all’interno dell’economia ortodossa come nucleo ideologico del sistema – come una prova definitiva che la pianificazione economica era impraticabile e destinata a fallire fin dall’inizio. inizio. Il socialismo si identificava interamente con la pianificazione, che, si diceva, portava all’inevitabile fallimento. Implicito in questo era il “presupposto che la pratica sovietica riveli la natura essenziale di un’economia pianificata centralmente”. 88

Tuttavia, una condanna così categorica della pianificazione centralizzata in tutte le sue forme e circostanze, avulsa dall’analisi concreta, non aveva un vero fondamento teorico ed era contraddetta dalla realtà. Le stesse economie capitaliste avevano spesso fatto ricorso alla pianificazione centrale di emergenza in tempo di guerra. Durante la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti, ad esempio, istituirono un vasto sistema di pianificazione nazionale, gestito dal War Production Board e da altre agenzie, che spostavano le risorse e la produzione mentre istituivano il razionamento e il controllo dei prezzi. La produzione automobilistica civile, che costituiva il settore industriale centrale del paese, fu rapidamente convertita nella produzione di armamenti, carri armati e aerei. C’era un disperato bisogno di produrre navi da guerra e navi mercantili. I beni militari erano necessari non solo per gli Stati Uniti ma anche per i loro alleati.89 Ciò richiese anche una massiccia espansione e importanti cambiamenti nella forza lavoro, poiché milioni di uomini furono attinti dal servizio militare. L’occupazione retribuita delle donne è cresciuta del 57% durante la guerra; nel 1943, le donne costituivano il 65% della forza lavoro nell’industria aeronautica. 90 Tutto ciò richiedeva una pianificazione centrale, comprese le agenzie di pianificazione, le direttive dello stato e i controlli fiscali e monetari. La ricerca del governo in scienza e tecnologia è stata potenziata, il più famoso nel Progetto Manhattan. Il surplus economico generato dalla società è stato massicciamente reindirizzato per facilitare la produzione bellica, mentre l’industria doveva essere coordinata per massimizzare specifici beni militari al momento e al ritmo giusto. 91 La pianificazione centralizzata, come l’ha definita Michał Kalecki, “abbraccia il volume della produzione, il fondo salari, progetti di investimento più ampi, nonché il controllo sui prezzi e la distribuzione dei materiali di base”. La pianificazione americana in tempo di guerra si adatta in larga misura a questa definizione, dimostrando che un’economia mista non era sempre incompatibile con la pianificazione centralizzata.92

Senza una pianificazione sociale ed economica, gli obiettivi del socialismo volti all’uguaglianza sostanziale e alla sostenibilità ecologica sono impossibili da raggiungere. La logica e l’esperienza storica mostrano che senza un sistema di pianificazione di qualche tipo che operi a vari livelli, da quello lavorativo a quello locale a quello nazionale, non esiste un modo concepibile per affrontare efficacemente l’emergenza ecologica planetaria o garantire “buen vivir per tutte le persone . 93 Questo semplicemente non può essere raggiunto in una società di “Accumula, accumula! Quello è Mosè e i profeti!” 94 La pianificazione, tuttavia, deve essere democratica se vuole ottenere risultati socialmente ottimali. “Non c’è niente nella pianificazione centrale” in sé, Fred e Harry Magdoff hanno osservato in “Approaching Socialism”, “che richiede comandismo e limitazioni di tutti gli aspetti della pianificazione alle autorità centrali. Ciò si verifica a causa dell’influenza di particolari interessi burocratici e del potere sovrastante dello stato. Progettare per le persone deve coinvolgere le persone. I piani delle regioni, delle città e dei paesi richiedono il coinvolgimento attivo delle popolazioni locali, delle fabbriche e dei negozi nei consigli dei lavoratori e delle comunità. Il programma generale, in particolare decidere la distribuzione delle risorse tra beni di consumo e investimenti, richiede la partecipazione delle persone. E per questo, le persone devono avere i fatti, un modo chiaro per informare il loro pensiero e contribuire alle decisioni fondamentali”. 95

Un’economia pianificata unificata e sfaccettata, che comprenderebbe più livelli e coinvolgerebbe la “democrazia dell’intero processo”, non richiede l’eliminazione dei mercati di consumo o della libertà dei lavoratori di lavorare dove vogliono (e quindi un mercato del lavoro in questo senso) . 96 Richiede, tuttavia, il controllo degli investimenti in beni strumentali e della finanza, e quindi controlli sociali che consentano la mobilitazione del surplus economico in modi che vadano a beneficio della popolazione nella sua interezza (comprese le generazioni future), assicurando condizioni egualitarie, fondamentale basi dello sviluppo umano per tutti gli individui e la protezione dell’ambiente naturale.

Nel suo saggio “In Defense of Socialist Planning” del 1986, Ernest Mandel sosteneva che il vantaggio principale della pianificazione economica è che le decisioni sull’allocazione delle risorse e del lavoro vengono prese ex ante e poi corrette per tentativi ed errori, piuttosto che ex post attraverso la forza mediatrice del mercato delle merci (e del suo “razionamento al portafoglio”). La pianificazione consente quindi di prendere decisioni direttamente sulla base di ciò che Marx chiamava la “gerarchia dei … bisogni”. Ciò non richiede che tutte le decisioni siano prese da una burocrazia centralizzata; è coerente con una democrazia socializzata basata sulla “istituzionalizzazione della sovranità popolare”. I parametri fondamentali della produzione sarebbero stabiliti dai produttori associati in una società organizzata sul principio della cooperazione. Una tale società “crescerebbe in civiltà piuttosto che in mero consumo”. 97

Stati socialisti e ambiente

C’è un’idea ampiamente diffusa, che è diventata quasi universalmente accettata dopo la fine dell’Unione Sovietica, secondo cui il record sovietico sull’ambiente era molto peggiore di quello dell’Occidente, e che questo era attribuibile al socialismo e alla pianificazione centralizzata. 98 È vero che il record dell’URSS sull’ambiente è stato deplorevole sotto molti aspetti. Basti pensare a Chernobyl e al lago d’Aral. Nell’era di Stalin, molti dei pionieri ecologisti sovietici furono epurati, con gravi conseguenze per lo sviluppo sovietico. Tuttavia, la visione dominante cancella i successi ambientali sovietici, manifestati nelle sue cinture verdi intorno alle città, i suoi famosi zapovedniki (riserve ecologiche scientifiche), le sue massicce campagne di rimboschimento/imboschimento, il suo ruolo guida nella promozione di accordi ambientali a livello internazionale e le sue potenti organizzazioni ambientaliste, che hanno esercitato pressioni sul governo. La Società tutta russa per la Conservazione della Natura, in gran parte guidata da scienziati, contava trentasette milioni di membri nel 1987, rendendola la più grande organizzazione di difesa della conservazione del mondo.99

Man mano che l’Unione Sovietica si industrializzava e si modernizzava mentre affrontava la necessità di alti livelli di spesa militare data la minaccia della Guerra Fredda dall’Occidente, convergeva naturalmente con i livelli occidentali di distruzione ambientale. Come l’Occidente, alla fine ha risposto, anche se non senza contraddizioni, ai suoi movimenti ambientalisti. La protezione e la conservazione dell’ambiente sono state incorporate, anche se in modo inadeguato, nel suo sistema di pianificazione generale. L’Unione Sovietica disponeva di un sistema molto esteso di leggi ambientali, che tuttavia non erano sufficientemente applicate. Sono stati gli scienziati sovietici, presto seguiti da quelli statunitensi, a lanciare per primi l’allarme sull’accelerazione del riscaldamento globale. 100 Grandi sforzi sono stati compiuti anche nel settore della conservazione del suolo. 101 Negli anni ’80, il concetto di “civiltà ecologica” è sorto per la prima volta in Unione Sovietica ed è stato presto adottato in Cina, dove è diventato un aspetto centrale della pianificazione generale, come si evince dai piani quinquennali della Cina. 102 Eminenti economisti sovietici, come PG Oldak, sostenevano una trasformazione radicale della contabilità del reddito nazionale sovietico per integrare misure dirette di distruzione ambientale. “‘Di più’”, ha sostenuto, “non è affatto sempre ‘meglio’”. 103

Il record ambientale dell’Unione Sovietica per quanto riguarda l’inquinamento, sebbene poco soddisfacente, è stato generalmente favorevole rispetto agli Stati Uniti, con popolazioni più o meno uguali. Le emissioni pro capite di anidride solforosa, protossido di azoto, particolato e anidride carbonica dell’Unione Sovietica erano tutte molto inferiori a quelle degli Stati Uniti, mentre le sue emissioni pro capite di anidride carbonica sono effettivamente diminuite negli ultimi anni. L’impronta ecologica pro capite dell’Unione Sovietica, la misura più completa dell’impatto ambientale, era di gran lunga inferiore a quella degli Stati Uniti, con un divario in aumento negli anni ’80, poiché l’impronta ecologica pro capite degli Stati Uniti continuava a crescere mentre quella del L’URSS si è stabilizzata. Inoltre, questo era vero anche se gli Stati Uniti sono stati in grado di “scaricare i danni ambientali su molti altri paesi”.104

Sebbene la pianificazione sovietica e quella di altre società postrivoluzionarie fossero state dirette alla crescita economica, imitando in una certa misura il capitalismo sotto questo aspetto, la spinta interna, basata sulla classe, all’accumulazione di capitale non è una caratteristica strutturale intrinseca di una società socialista e pianificata. Per questo motivo, Paul M. Sweezy ha sostenuto nel 1989 che le economie pianificate attualmente esistenti offrissero la migliore possibilità per l’umanità in termini di rapide trasformazioni nella produzione e nel consumo necessarie per affrontare la crisi ambientale globale. 105

Cuba, sebbene sia un paese povero di fronte a un blocco economico perpetuo da parte degli Stati Uniti, è stata a lungo riconosciuta come la nazione più ecologica della Terra, secondo il Living Planet Report della World Wildlife Federation . Cuba è stata in grado di dimostrare che un paese può essere valutato molto in termini di sviluppo umano pur avendo una bassa impronta ecologica. Ciò è dovuto al fatto che ha posto lo sviluppo umano per la popolazione nel suo complesso, comprese le condizioni ambientali, in prima linea nella sua pianificazione. 106

La Repubblica popolare cinese, nel frattempo, ha fatto passi da gigante nella direzione della “civiltà ecologica”, nonostante il suo tentativo di portare il reddito pro capite della sua popolazione al di sopra del livello attuale, che attualmente è meno di un quinto di quello della Stati Uniti (in termini di cambio di mercato), che richiedono alti tassi di crescita economica. 107 Ciò è stato però accompagnato da una continua, seppur ridotta, dipendenza dalle centrali a carbone come principale fonte di energia. Tuttavia, la Cina è andata avanti nelle tecnologie sostenibili, dove è leader mondiale; nella rapida riduzione dell’inquinamento; e nei livelli globali di rimboschimento/imboschimento. 108

Nell’attuale clima ecologico, Cina e Cuba, insieme ad altre economie miste, dirette dallo stato e semi-pianificate, come il Venezuela, con i suoi tentativi, attraverso la sua Rivoluzione Bolivariana, di costruire uno stato comunitario e le sue straordinarie conquiste nella sicurezza alimentare e sovranità alimentare – offrire la speranza di scoperte ecologiche nell’attuale emergenza planetaria, attualmente carenti nell’opulento mondo capitalista. 109

Pianificazione dello sviluppo umano sostenibile

La decrescita pianificata o il deaccumulo e il passaggio a uno sviluppo umano sostenibile sono ormai inevitabili nei paesi più ricchi, le cui impronte ecologiche pro capite non sono sostenibili su base planetaria, se si vuole che la civiltà organizzata sopravviva. La portata e il ritmo della necessaria trasformazione ecologico-energetica, come sottolineato nei rapporti scientifici sui cambiamenti climatici e altri confini planetari, indicano che per evitare il disastro deve essere attuata una trasformazione rivoluzionaria dell’intero sistema di produzione e consumo secondo il principio ” Meglio più piccolo ma migliore”. 110 Quindi, i principali paesi capitalisti/imperialisti, che costituiscono la principale fonte del problema, devono cercare una “prospera via verso il basso”, concentrandosi sul valore d’uso piuttosto che sul valore di scambio. 111

Ciò richiede di spostarsi verso livelli molto più bassi di consumo energetico e di gravitare su quote globali pro capite uguali, azzerando contemporaneamente le emissioni di carbonio.

Allo stesso tempo, i paesi più poveri con una bassa impronta ecologica devono potersi sviluppare in un processo generale che includa la contrazione della produzione di energia e materiali nei paesi ricchi e la convergenza del consumo pro capite in termini fisici nel mondo come Totale. 112 Il ridimensionamento delle economie ricche richiederà un massiccio passaggio a tecnologie sostenibili, tra cui l’energia solare ed eolica. Ma nessuna tecnologia esistente da sola può avvicinarsi alla soluzione del problema climatico nella tempistica richiesta, per non parlare dell’affrontare l’emergenza planetaria nella sua interezza consentendo la continua accumulazione esponenziale illimitata e la cattiva distribuzione richieste dal capitalismo. 113

Ciò che è oggettivamente necessario a questo punto della storia umana è dunque una trasformazione rivoluzionaria dei rapporti sociali che governano la produzione, il consumo e la distribuzione. Ciò significa un drammatico allontanamento dal sistema del capitale monopolistico, dello sfruttamento, dell’espropriazione, dello spreco e dell’incessante spinta all’accumulazione. 114

Al suo posto, un’umanità rivoluzionaria basata sulla popolazione lavoratrice – un proletariato ambientale emergente – dovrà esigere una nuova formazione sociale che provveda ai bisogni fondamentali di tutta la popolazione, seguiti dai bisogni della comunità, compresi i bisogni di sviluppo di tutti gli individui. 115 Ciò sarà reso possibile da miglioramenti qualitativi nel lavoro, un’enfasi sul lavoro utile e sul lavoro di cura, insieme alla condivisione dell’abbondante ricchezza sociale, essa stessa il prodotto del lavoro umano. Un rapporto sostenibile con la terra è un requisito assoluto senza il quale non può esserci futuro umano. Tutto ciò richiede di andare contro la logica dell’accumulazione capitalista nel presente. La pianificazione economica dovrà essere riproposta, non per la crescita economica o la guerra contro altri paesi, ma per creare una nuova serie di priorità sociali finalizzate alla prosperità umana e a un metabolismo sociale sostenibile con la terra.

Una “visione socialista degli Stati Uniti”, ha scritto Harry Magdoff nel 1995, richiederebbe una diminuzione dell’uso di energia, della produzione di auto civili e dei sussidi governativi alle aziende distruttive per l’ambiente. “Nei paesi ricchi sarebbe necessario uno stile di vita molto più semplice per preservare la terra come luogo dell’esistenza umana”. Per raggiungere questo obiettivo, “la crescita dovrebbe essere ridotta o controllata”. Sarebbe essenziale in un tale sistema concentrarsi sui bisogni fondamentali, come un alloggio adeguato e dignitoso per tutti. Le spese di guerra orientate all’imperialismo dovrebbero cessare e le restrizioni all’immigrazione dovrebbero essere eliminate. Tutto ciò richiede una pianificazione sociale ed economica. Niente di tutto ciò potrebbe essere ottenuto affidandosi principalmente al sistema dei prezzi di mercato, che invariabilmente promuove disuguaglianze, distruzione ambientale, guerre,116 Come ha scritto il sociologo britannico Anthony Giddens in The Politics of Climate Change , “la pianificazione di qualche tipo è inevitabile” di fronte all’attuale crisi planetaria. 117

Negli Stati Uniti e in altri paesi ricchi esistono già attualmente i mezzi per una trasformazione così massiccia e qualitativa della società in linea con le priorità sociali e i bisogni della classe operaia oppressa, allontanandosi dall’imperialismo e dall’oppressione globale del “miserabile della terra”. Ciò può essere facilmente visto indicando il budget militare ora di trilioni di dollari, che potrebbe essere riutilizzato per realizzare quei cambiamenti nell’infrastruttura energetica necessari per la sopravvivenza umana. Ma può anche essere visto nei livelli crescenti di espropriazione del surplus dei produttori diretti. Uno studio della RAND Corporation ha stimato che tra il 1980 e il 2018 sono stati espropriati 47 trilioni di dollari (in dollari del 2018) dal 90% più povero della popolazione statunitense, calcolato sulla base di ciò che avrebbero ricevuto se il reddito fosse cresciuto equamente all’interno dell’economia nel periodo. Ciò supera l’intero valore attuale del patrimonio immobiliare statunitense, che nel gennaio 2022 era di $ 43 trilioni di dollari.118 Alla base di questo enorme surplus sociale c’è il lavoro sociale, che deve essere allocato su base economica ed ecologica, e non più sulla base dell’accumulazione privata. 119

Anche l’esame più superficiale del più ampio spreco e sfruttamento nel sistema solleva quello che Morris chiamava il problema del “lavoro utile contro fatica inutile”. 120 L’enorme surplus economico derivante dal lavoro sociale – misurato non solo da profitti, interessi e rendite, ma anche dallo spreco, dalla cattiva distribuzione e dall’irrazionalità elementare del sistema – è già molte volte superiore a quello che è necessario per realizzare i vasti cambiamenti necessari per creare una società di sviluppo umano sostenibile. È il capitalismo stesso che impone la scarsità e l’austerità alla popolazione per costringere i lavoratori a sacrificare ulteriormente la propria vita per un sistema di sfruttamento, che ora minaccia una crisi di abitabilità planetaria per tutta l’umanità insieme a innumerevoli altre forme di vita.

La maggior parte delle strategie di decrescita, anche quelle promulgate dagli ecosocialisti, rimandano all’ideologia imperante, preferendo non sollevare la questione della pianificazione, anche di fronte all’emergenza planetaria. In effetti, c’è la tendenza a fare marcia indietro rispetto a misure così ovvie come la nazionalizzazione delle società energetiche e il taglio obbligatorio delle emissioni alle società. I teorici della decrescita invece generalmente propongono un menu di “alternative politiche”, come un Green New Deal in stile keynesiano, un reddito di base universale, una riforma fiscale ecologica, una settimana lavorativa ridotta, una maggiore automazione e così via, nessuna delle quali entra in conflitto diretto con il sistema, o avvicinarsi ad affrontare l’enormità del problema, in quelle che sono considerate riforme non riformiste. 121

Le proposte per una drastica riduzione dell’occupazione, non solo per un orario di lavoro più breve, sostenute in molti schemi di decrescita da un reddito di base garantito, cercano di aggiustare i parametri del capitalismo, piuttosto che trascenderli, in un approccio che genererebbe il tipo di condizioni distopiche descritte nel romanzo di Kurt Vonnegut, Player Piano . 122 Come scrissero Leo Huberman e Sweezy quando la nozione di un reddito di base garantito fu lanciata per la prima volta negli anni ’60, “la nostra conclusione può essere solo che l’idea di redditi garantiti incondizionatamente non è il grande principio rivoluzionario che gli autori di ‘The Triple Revolution’ evidentemente credono che sia. Se applicato nel nostro sistema attuale, sarebbe, come la religione, un oppiaceo delle persone che tendono a rafforzare lo status quo. E sotto un sistema socialista… sarebbe del tutto inutile e potrebbe fare più male che bene”. 123

Alcuni socialisti della non-decrescita, di fronte al cambiamento climatico, hanno ceduto al feticismo della tecnologia, proponendo pericolose misure di geoingegneria che avrebbero inevitabilmente aggravato la crisi ecologica planetaria nel suo complesso. 124 Non c’è dubbio che molti a sinistra vedano l’intera soluzione oggi come consistente in un Green New Deal che espanderebbe i posti di lavoro verdi e la tecnologia verde, portando a una crescita verde in un circolo apparentemente virtuoso. Ma poiché questo è solitamente orientato a un’economia di crescita keynesiana e difeso in quei termini, le ipotesi alla base sono discutibili. 125 Una proposta più radicale, più in linea con la decrescita, sarebbe un People’s Green New Deal orientato al socialismo e alla pianificazione ecologica democratica. 126

Sotto il capitale monopolistico-finanziario di oggi, interi settori della professione assistenziale, dell’istruzione, delle arti e così via sono colpiti da quella che è nota come la “malattia del costo di Baumol”, dal nome di William J. Baumol, che introdusse l’idea in il suo libro del 1966, Performing Arts: The Economic Dilemma . 127 Questo vale quando i salari aumentano e la produttività no. Così, come la rivista Forbes dichiara, senza traccia di ironia: “La produzione di un quartetto [d’archi] che suona Beethoven non è aumentata dal XIX secolo”, sebbene il loro reddito sia aumentato. La malattia del costo di Baumol è considerata applicabile principalmente a quelle aree di lavoro in cui le nozioni di aumenti quantitativi della produttività sono generalmente prive di significato. Tuttavia, come si misura la produttività di un infermiere che cura i pazienti? Certamente non dal numero di pazienti per infermiere, indipendentemente dalla quantità di cure che ciascuno riceve e dai loro risultati. Il risultato di obiettivi incentrati sul profitto nell’economia altamente finanziarizzata di oggi è il sottoinvestimento e l’istituzionalizzazione di bassi salari proprio in quei settori caratterizzati come soggetti alla cosiddetta malattia del costo di Baumol, semplicemente perché non favoriscono direttamente l’accumulazione di capitale.

Al contrario, in una società ecosocialista, dove l’accumulazione di capitale non è l’obiettivo primario, sarebbero spesso quelle aree ad alta intensità di lavoro nelle professioni assistenziali, nell’istruzione, nelle arti e nelle relazioni organiche con la terra che sarebbero considerate più importanti e integrate nella pianificazione sociale. 128 In un’economia orientata alla sostenibilità, il lavoro stesso potrebbe sostituire l’energia dei combustibili fossili, come nella piccola agricoltura biologica, sostenibile e più efficiente in termini ecologici. 129

Scrivendo in The Political Economy of Growth nel 1957, Baran ha sostenuto che il surplus economico pianificato potrebbe essere intenzionalmente ridotto nella pianificazione socialista, rispetto a quanto era allora possibile, al fine di garantire la “conservazione delle risorse umane e naturali”. Qui l’enfasi non sarebbe semplicemente sulla crescita economica, ma sul soddisfacimento dei bisogni sociali, compresa la riduzione dei costi ambientali; ad esempio, scegliendo di tagliare “l’estrazione del carbone”. 130 Tutto ciò significava, in effetti, dare priorità allo sviluppo umano sostenibile rispetto a forme distruttive di crescita economica.

Oggi l’eliminazione dei combustibili fossili, anche se questo significa una riduzione del surplus economico generato dalla società, è diventata una necessità assoluta per il mondo in generale, che si trova di fronte a quella che Noam Chomsky ha definito “la fine dell’umanità organizzata”. 131

Nelle parole di Engels e Marx, è necessario rilasciare la “valvola di sicurezza bloccata” sulla locomotiva capitalista “che corre verso la rovina”. La scelta è tra socialismo o barbarie, “rovina o rivoluzione”. 132

 

NOTE

  1. Herman E. Daly, Oltre la crescita (Boston: Beacon Press, 1996), 2.
  2. In termini marxisti, la decrescita rappresenta un passaggio dalla riproduzione allargata in termini di rendimento materiale alla riproduzione semplice. Vedere Paul M. Sweezy, The Theory of Capitalist Development (New York: Monthly Review Press, 1970), 75–95. Il teorico preminente di un’economia di stato stazionario (mirata alla semplice riproduzione nel contesto di un’economia del mondo intero) è il defunto Herman E. Daly in opere come Beyond Growth e Steady-State Economics. Daly era un aspro critico dell’economia capitalista esistente e spesso si serviva di Marx nella sua analisi. Tuttavia, il suo approccio all’economia dello stato stazionario è stato originariamente ispirato dalla concezione dello “stato stazionario” di John Stuart Mill e, come Mill, ha cercato, nelle parole di Marx, di “riconciliare gli inconciliabili” di capitale e lavoro, vedendo un’economia senza crescita in quanto compatibile con il capitalismo o almeno con un sistema di mercato, e implementato dalla politica, dalle licenze e dai limiti del governo. L’irrealismo di ciò è stato in parte riconosciuto da Daly, che ha affrontato l’implementazione di un’economia senza crescita come una questione di fede, concludendo la sua grande opera Beyond Growth with God and a “Creation-centered economy”. Tuttavia, la sua analisi era profondamente critica e persino radicale. Vedere Herman E. Daly, Oltre la crescita(Boston: Beacon Press, 1996), 216–24; Herman E. Daly, Steady-State Economics (Washington, DC: Island Press, 1991); Herman E. Daly e John B. Cobb, Jr., Per il bene comune (Boston: Beacon Press, 1989). Per una critica ai tentativi di riconciliare un’economia senza crescita con il capitalismo, vedi John Bellamy Foster, Capitalism in the Anthropocene (New York: Monthly Review Press, 2022), 363–72.
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  86. L’apparente capacità della Cina di evitare le principali oscillazioni del ciclo economico non significa che la società sia esente da crisi in un senso più ampio di trasformazione. Vedi Wen Tiejun, Ten Crises: The Political Economy of China’s Development (1949–2020) (New York: Palgrave Macmillan, 2021); John Ross, ” Perché l’economia socialista cinese è più efficiente del capitalismo “, MR Online, 6 giugno 2023.
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  88. Magdoff e Sweezy, “Perestrojka e il futuro del socialismo – Parte seconda”, 1; Mandel, “In difesa della pianificazione socialista”, 9.
  89. Si veda l’articolo di Martin Hart-Landsberg su “Pianificazione di un’economia ecologicamente sostenibile e democratica” in questo numero. Sulla pianificazione britannica in tempo di guerra, vedi Cockshott, Cottrell e Dapprich, Economic Planning in an Age of Climate Crisis , 63–75.
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  96. Lange, “Sulla teoria economica del socialismo”, 72-73. Il termine “democrazia popolare dell’intero processo” è intrinseco alle concezioni cinesi contemporanee di come la democrazia possa essere resa più significativa. Nonostante le limitazioni su come questo è stato applicato nella stessa Cina, il concetto è di fondamentale importanza nello sviluppo della democrazia socialista. Xi Jinping, Il governo della Cina , vol. 4 (Pechino: Foreign Languages ​​Press, 2022), 299–301.
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  98. Un’opera chiave nell’attacco ideologico alla documentazione ambientale sovietica fu Murray Feshbach e Arthur Friendly Jr., Ecocide in the USSR (New York: Basic Books, 1992). La tecnica utilizzata era quella di mettere in scena la distruzione ecologica sovietica, ignorando il fatto che molte delle stesse condizioni ecocide esistevano e spesso su scala più ampia in termini pro capite e impatto globale in Occidente.
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  108. Foster, “Civiltà ecologica, rivoluzione ecologica”; Barbara Finamore, La Cina salverà il pianeta? (Cambridge: Polity Press, 2018); 156–58.
  109. Ana Felicien, Christina M. Schiavoni e Liccia Romero, “ The Politics of Food in Venezuela ”, Monthly Review 70, n. 2 (giugno 2018): 1–19; Owen Schalk, ” La legge sui semi del Venezuela dovrebbe essere un modello globale “, Dimensione canadese , 16 gennaio 2023. Sul Venezuela e la decrescita, vedere Chris Gilbert, “‘ Where Danger Lies… ‘: The Communal Alternative in Venezuela”, in questo numero. Vedi anche John Bellamy Foster, “ Chávez and the Communal State ”, Monthly Review 66, n. 11 (aprile 2015): 1–17.
  110. Uno degli ultimi articoli di Lenin era “Meglio meno, ma meglio”. Baran in seguito scrisse un saggio intitolato “Better Smaller But Better”. Entrambi avevano a che fare con ritirate politiche strategiche. Ma entrambi riflettevano anche un modo di pensare che riconosceva che i cambiamenti qualitativi sono spesso più importanti dei cambiamenti quantitativi per ottenere progressi significativi. Vedi VI Lenin, “Meglio meno ma meglio”, in Lewin, Lenin’s Last Struggle , 156–76; Baran, La prospettiva più lunga , 203–9.
  111. Odum e Odum, Una prospera via verso il basso , 139.
  112. Erald Kolasi, “ The Ecological State ”, Monthly Review 72, n. 9 (febbraio 2021): 23—36; Tom Athanasiou e Paul Baer, ​​Dead Heat: giustizia globale e riscaldamento globale (New York: Seven Stories, 2002).
  113. Il rapporto di consenso degli scienziati originale trapelato sulla mitigazione, prima che fosse censurato dai governi prima della pubblicazione, indicava che l’aumento della cattura e sequestro del carbonio (CCS), la bioenergia con cattura e sequestro del carbonio (BECCS) e le tecnologie nucleari erano tutti poco pratici e incapaci di svolgere altro che un ruolo minore nella mitigazione del cambiamento climatico. Vedere Leaked Scientist Consensus Report on Mitigation, AR6, parte 3, B4.3. Vedi anche Mathilde Fajardy, Alexandre Köberle, Niall MacDowell e Andrea Fantuzzi, “BECCS Deployment: A Reality Check”, Grantham Institute, Imperial College London, Briefing Paper n. 28, 19 gennaio 2019; Julian Allwood, ” La tecnologia non risolverà il problema del cambiamento climatico “, Financial Times , 16 novembre 2021.
  114. Sullo spreco ecologico ed economico del capitale monopolistico, vedi Foster, Capitalism in the Anthropocene , 373–89.
  115. Sul proletariato ambientale, vedi Foster, Capitalism in the Anthropocene , 483–92.
  116. Harry Magdoff, “ Una nota sul socialismo di mercato ”, Monthly Review 47, n. 1 (maggio 1995): 12-18.
  117. Anthony Giddens, La politica del cambiamento climatico (Cambridge: Polity Press, 2011), 95; Andreas Malm, Fossil Capital (London: Verso, 2016), 382; Sui vari modi di combinare piano e mercato si veda Alec Nove, Planned Economy, in Problems of the Planned Economy , eds. Eatwell, Milgate e Newman, 195–97.
  118. Fred Magdoff e John Foster, “ Grand Theft Capital ”, Monthly Review 75, n. 1 (maggio 2023): 19–20; Carter C. Price e Kathryn A. Edwards, “ Trends in Income from 1975 to 2018 ,” RAND Corporation Working Paper WR-A156-1, Santa Monica, 2020, 12 (fig. 2), 40; “Il mercato immobiliare statunitense ha raddoppiato il suo valore dalla Grande Recessione, guadagnando 6,9 trilioni nel 2021”, Cision PR Newswire, 27 gennaio 2002.
  119. Sul calcolo del surplus economico, vedi Michael Dawson e John Bellamy Foster, “The Tendency of the Surplus to Rise, 1963–1988,” in The Economic Surplus in Advanced Economies (Brookfield, Vermont: Edward Elgar, 1992): 42– 70.
  120. William Morris, Segni di cambiamento (London: Longmans, Green, and Co., 1896), 141–73; Foster, Il ritorno della natura , 103–105
  121. Schmelzer, Vetter e Vansintjan, Il futuro è la decrescita , 240.
  122. Kurt Vonnegut Jr., Pianoforte (New York: Dell, 1974).
  123. Leo Huberman e Paul M. Sweezy, “ The Triple Revolution ”, Monthly Review 16, n. 7 (novembre 1964): 422; Robert W. McChesney e John Nichols, People Get Ready (New York: Nation Books, 2016), 80–81; Giorgos Kallis, “ The Degrowth Alternative ”, Great Transition Initiative, febbraio 2015, org .
  124. Si veda la critica offerta in Foster e Clark, The Robbery of Nature , 269–87.
  125. Vedi, ad esempio, Noam Chomsky e Robert Pollin, Climate Crisis and the Global Green New Deal (London: Verso, 2020). Pollin, le cui opinioni sono in qualche modo distinte da quelle di Chomsky a questo proposito, è un forte oppositore delle alternative di decrescita, insistendo sul fatto che il disaccoppiamento assoluto sulla scala richiesta può essere raggiunto a un costo minimo senza che la crescita economica si contragga attraverso un quadro di “politica industriale” con tasse verdi, finanziamenti statali e incentivi di mercato.
  126. Max Ajl, Green New Deal popolare (London: Pluto, 2021).
  127. William J. Baumol e William G. Bowen, Performing Arts: An Economic Dilemma (Cambridge, Massachusetts: MIT Press, 1968).
  128. Varun Ganapathi, “Capire la malattia dei costi di Baumol e il suo impatto sull’assistenza sanitaria”, Forbes , 8 aprile 2022; Aaron Benanav, Automazione e futuro del lavoro (London: Verso, 2020), 57–60.
  129. Magdoff e Williams, Creazione di una società ecologica , 251–57; Herman Daly, “Post scriptum”, in Economics, Ecology, Ethics: Essays Toward a Steady State Economy , ed. Herman E. Daly (San Francisco: WH Freeman, 1980), 366.
  130. Paul A. Baran, The Political Economy of Growth (New York: Monthly Review Press, 1957), 42.
  131. Noam Chomsky, “ The End of Organised Humanity ”, Climate Damage, video di YouTube, 19:24, 12 aprile 2023.
  132. Marx ed Engels, Opere complete , vol. 25, 145-46, 153, 270; Marx ed Engels, Il manifesto comunista , 2; Karl Marx e Frederick Engels, Ireland and the Irish Question (Moscow: Progress Publishers, 1971), 142. Vedi anche Walter Benjamin, Selected Writings , vol. 4 (Cambridge, Massachusetts: Harvard University Press, 2003), 402; Michael Löwy, Allarme antincendio (London: Verso, 2016), 66–67; John Bellamy Foster, “ La dialettica della natura di Engels nell’Antropocene ”, Monthly Review 72, n. 6 (novembre 2020): 1–3.

 

Fonte: https://monthlyreview.org/2023/07/01/planned-degrowth/

 

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