Condividiamo la recensione di Marco Reggio di “Eva virale”, il nuovo libro di Angela Balzano, in cui l’autrice propone una riflessione sulla crisi ambientale, prospettive tranfemministe e antispeciste. Per noi (sostenitori dell’idea di una società della decrescita) è molto importante che ambienti culturali e movimenti come quelli femminista ed ecofemminista trovino argomenti per una interlocuzione positiva con il pensiero della decrescita, per una discussione seria, argomentata, positiva.

Stringo tra le mani il libro di Angela Balzano recentemente uscito per la collana Culture radicali di Meltemi editore. Leggo Eva virale. La vita oltre i confini di genere, specie e nazione nelle montagne delle valli del Canavese, mentre la prosa dell’autrice evoca in modo insistente il mare.

Il mare come forza rigeneratrice, come antidoto alla produzione umana di anidride carbonica, come habitat di specie antiche, esperte nella cura dell’ambiente circostante e di tutto il pianeta; luogo di socialità, di elaborazione culturale, di comunicazione di capodogli, delfini, alghe, batteri che si relazionano da milioni di anni in un equilibrio dinamico vitale. Il mare, per Balzano, è innanzitutto quello siciliano, da dove scrive cercando di tessere i fili di una possibile risposta al disastro ecologico in corso; un mare minacciato dalle raffinerie, dalla turistificazione, dal Ponte sullo Stretto. Ed è anche per amore del mare messinese che Eva virale propone una decrescita femminista.

Per un’ecologia umida

Eva virale è un’ecologia umida. Ed è strano scriverne da qui, da 1400 metri di altezza sul livello di quel mare che l’autrice ci esorta a difendere, invitandoci ad allearci con i suoi abitanti contro l’antropocentrismo e il capitalismo. Ma qui, dove vivo alcuni mesi all’anno, l’umidità, la potenza dell’acqua è ben visibile, sia quando se ne sente la mancanza, sia quando, come quest’anno, i torrenti sono finalmente pieni (e l’anno prossimo?).

La si vede nei licheni, nei muschi, nei funghi, e purtroppo la si vede anche negli eventi straordinari che sono sempre più ordinari, in quelle che i nostri mass media chiamano catastrofi naturali e che di naturale non hanno proprio nulla. E infatti si intensificano. Qui, in questi giorni, i fiumi esondano, gli alvei cedono, i paesi restano isolati.

Come leggere la crisi climatica? Come rispondervi? Angela Balzano è convinta che sia necessaria una lente materialista ed ecofemminista, un pensiero che tenga insieme le modalità di produzione delle merci e il grande tema della riproduzione dell’umano, il tema che va dalle lotte per il diritto all’aborto alla difesa della razza italica, passando per l’ingiunzione alla maternità. E perché sia necessario questo approccio lo spiega molto bene, ma una considerazione in particolare mi ha colpito:

Se il lavoro riproduttivo non fosse ricaduto sulla capitalizzazione della vita delle donne, la plastica avrebbe invaso in modo così pervasivo il pianeta? Le donne sono ricorse alla plastica come materia in grado di liberare tempo delle loro vite, perché ancora oggi ci pare che il tempo per i gesti che quotidianamente ci tengono in vita sia il tempo cui diamo meno valore”. (Eva virale, p. 151)

Farla finita con la natalità

Proseguendo il lavoro sulla riproduzione iniziato con il precedente Per farla finita con la famiglia, Balzano valorizza le alleanze nascenti fra movimenti per la decrescita e critica transfemminista, mantenendosi ben distante sia dalle fughe in avanti (o indietro?) del primitivismo sia dalla tecnofilia acritica di un certo transumanesimo. Si tratterà allora di promuovere un nuovo approccio alla decrescita che, più che occuparsi di ridurre la produzione di beni, si interessa alla redistribuzione dei lavori di cura. Eva virale propone una decrescita femminista.

Proprio in questi giorni, hanno fatto un certo scalpore le dichiarazioni dell’Assessore al Welfare della Regione Lombardia, Guido Bertolaso, secondo il quale “L’inverno demografico è drammatico e non ci aiuta, anzi rischia di far scomparire la razza italica”.

Non potevamo assistere a un modo migliore di mostrare la connessione fra l’ingiunzione alla maternità (patrimonio soprattutto delle destre, ma evocata spesso anche a sinistra) e il nazionalismo per cui le esistenze migranti non sono vite degne di essere vissute, o quantomeno di essere conteggiate nelle statistiche.

Su questo punto, Balzano decostruisce punto su punto il non detto delle statistiche nazionali che si presentano sempre come neutre, la prospettiva colonialista e al tempo stesso maschilista dei discorsi sul calo della nascite. L’obiettivo è la riproduzione della specie dominante a qualsiasi costo, anche quello dell’estinzione di massa. E la specie dominante non è semplicemente quella umana: si tratta in realtà di un prototipo di umano ben definito, bianco, abile, maschio, cisgender.

Ma non solo. Questa prospettiva postumana affonda le radici nel lavoro di una lista di autrici ormai lunga, che va da Donna Haraway a Lynn Margulis, da Alexis Pauline Gumbs a Stacy Alaimo. Una compagine che ha intrattenuto un rapporto complesso con la scienza, spesso abitandone le pratiche dall’interno per poi costruire paradigmi epistemologici situati, trasformativi, non maschili.

Per questo, Balzano è consapevole che la scienza neutra non esiste, e che occorre rompere con il posizionamento egemone che ne detta i principi, individuandone gli elementi centrali: la bianchezza, il razionalismo cartesiano, l’eterosessualità, ma anche lo specismo.

Parentele transpecie per una decrescita femminista

La credenza che la nostra specie costituisca l’apice dell’evoluzione costituisce infatti il nucleo della supremazia umana, con la convinzione che noi siamo l’unica specie pensante, e che ciò che conferisce valore e dignità a un individuo sono le sue capacità cognitive. Il che, peraltro, come fa notare l’attivista antispecista disabile Sunaura Taylor, ci ricorda che abilismo e specismo sono legati a doppio filo. Homo sapiens è parte di una naturacultura da pochissimo tempo, e ignora, letteralmente, i mondi esistenziali di un’infinità di specie, che non hanno certo meno ragione di esistere. Per questo, la postura umana è pura arroganza. La cultura dei capodogli, per riprendere un esempio citato nel libro, contiene la memoria storica dei mari: eppure, “il sapiens, nel più grande cervello del regno animale, ha visto solo l’olio con cui accendere le proprie lampade”.

Non possiamo dunque che aprirci alle parentele e alla giustizia transpecie, superando le tassonomie di una scienza antropocentrica ed estrattivista, che esclude dalla protezione accordata a una minoranza tutto il mondo non umano e buona parte della stessa umanità.  Come dice Angela Balzano, 

Possiamo immaginarci parte di una specie che non si nomina come la sola sapiente mai conosciuta sulla Terra? Non sono affatto affezionata a questa nomenclatura. Non sono homo e mi ritengo modestamente ignorante al cospetto di intelligenze artificiali e gatte. Cosa ancora più importante, so che milioni di persone umane non hanno mai avuto accesso ai diritti che si è ascritto biologicamente/ giuridicamente/ economicamente l’homo sapiens. (Eva virale, p. 163)

 

Recensione pubblicata il 10/07/24 su Rewriters. Foto di Roman Kogomachenko da Pixabay.