Di Renata Puleo. Pubblicato anche su comune-info.net
Con più di un anno di iniziative e confronti alle spalle, la Rete educazione ecologica – un gruppo eterogeneo per formazione politica, retroterra culturale, professione svolta in scuole di diversi ordine e grado, per variegata partecipazione all’attivismo politico ed ecologista – si è incontrata a Bologna, nella Casa di quartiere Katia Bertasi per il seminario “Per una scuola ecologica. Parole, concetti, idee, orizzonti”.
Dopo oltre un anno di lavoro condotto in un gruppo eterogeneo per formazione politica, retroterra culturale, professione svolta in scuole di diversi ordine e grado, per variegata partecipazione all’attivismo politico ed ecologista, si è svolto il 15 settembre a Bologna, nella Casa Cittadina Katia Bertasi, il seminario dal titolo Per una scuola ecologica. Parole, concetti, idee, orizzonti1. ll giorno precedente, nella stessa sede, il gruppo afferente alla rivista Quaderni della decrescita aveva organizzato un incontro che, ricordando i vent’anni di esistenza del movimento per la decrescita, dava conto della possibilità che il pensiero di molti intellettuali e attivisti anti-sviluppisti (termine che poco dice della vastità degli approcci e dei contributi pratici) contamini la dimensione educativa, ai diversi livelli e luoghi in cui essa si manifesta, istituzionali e non2. Alcune sinergie fra le due giornate erano evidenziate dalla partecipazione di alcuni di noi a entrambi gli incontri.
La Rete Educazione Ecologica, nata come “Alfabeti Ecologici”, denominazione prestata dal testo di Laura Marchetti così titolato, ha provato a emanciparsi da padri e madri ideologici e, da un alfabeto/alfabetiere ancora sillabato, ha tratto dei discorsi, delle elaborazioni originali.3
Nelle nostre discussioni bi-settimanali di questo ultimo anno, non tutto e non tutti siamo andati nella stessa direzione interpretativa dei processi in atto, fra giustizia sociale e giustizia ecologica. Le due locuzioni creano non pochi problemi: intrecciano minimalismo e massimalismo politico, le svariate accezioni politiche e pratiche della decrescita, il luddismo riflessivo, una visione “tragica” dell’impatto della tecnica come tecnologia del progresso senza limiti, il socialismo, le diverse modalità comuniste di uscita dal modo di produzione capitalista 4.
Vengo al punto della nostra giornata del 15 settembre: la scuola. Che fosse il sistema istituzionale, il complesso degli istituti fisici e giuridici che compongono l’universo della educazione, istruzione, formazione statale e pubblica, il centro di interesse e di azione del nostro gruppo, era apparso evidente fin dai suoi esordi (anche se fra i partecipanti non tutti sono insegnanti o dirigenti scolastici) 5. Luogo di penetrazione delle idee distorte di sviluppo economico, di governo politico delle cosiddette misure di sostenibilità e, con inverso movimento, una pluralità di spazi e di relazioni da cui irradiare all’intorno, nei territori di vita delle creature piccole, e nel consorzio sociale, una nuova praxis6. Relazione ricorsiva fra elaborazione teorica e azione diretta, capace di contrastare l’egemonia di un pensiero tecnologico e politico distruttivo, guerriero, a carattere fortemente anti-umanista, estraneo alla complessità tipica delle forme di vita e dalla stessa materia inerte. Siamo stati sempre consapevoli che contrastare un potente, per dispiegamento di mezzi materiali e ideologici, sistema distruttivo della biodiversità, di attacco alla differenza fra le culture, indifferente verso i Diritti della natura giuridicamente intesi, fosse un compito immane, ben oltre le nostre forze. Abbiamo così cercato una metodologia che ci permettesse di far penetrare pensieri, approfondimenti teorici, esperienze/esperimenti nel lavoro di insegnamento, di avvicinare nelle nostre scuole anche coloro che più se ne dicevano lontani o scettici. Alzare il livello di consapevolezza sul fatto che, sempre e comunque, un docente lascia un segno, invia segni, e può raccoglierne dai più piccoli e dai più giovani. Insomma, la tessitura delle lezioni ecologiche come esempio virtuoso, anche quando imperfetto, forse proprio per questo. Trama e ordito, perché le lezioni si sono spesso fra loro contaminate nelle tematiche, nell’approccio, nella produzione documentale. E da esse è scaturito nuovo dibattito, nuovo pensiero collettivo, e nuova capacità di stare in classe, insegnando la propria disciplina-materia, piegandone il programma ai bordi, individuandone cioè i lati di ombra, quel che nella loro storia epistemologica ha peccato di antro ed euro centrismo, nella necessità di ragionare sui paradigmi di fondo su cui sono basate. Compito anche questo oltre le nostre forze, probabilmente. Ma il lavoro di erosione della quotidiana versione libresca, manualistica della lezione, l’ascolto di paure e speranze espresse dai più giovani, le loro domande e la loro spesso passiva adesione al mondo così com’è, ci hanno permesso di gettare sassi nello stagno, di recuperare vecchie pratiche didattiche, di esplorarne di nuove, di lavorare ai nostri pregiudizi di soggetti supposti sapere. Lezione, sì, nella sua accezione classica, canonica: un adulto responsabile e ineguale rispetto ai suoi giovani interlocutori, offre un approccio, o lo raccoglie da esigenze nate nel gruppo-classe e mette a disposizione quel che sa, si arrischia a cercare quel che non sa. Discussione sì, dunque in buon italiano, verso la sua etimologia dis-cussiva che, a differenza del debate ormai di moda, non fa uscire vincitori e vinti, ma suscitando conflitto, esplora percorsi laterali, minoritari, elabora e non teme la dissidenza, anche la più banale, volgare, a cui sempre prova a dare dignità. Confronto oltre le mura della classe, sì, ovvero incontri non solo con l’expertise accreditata nella formazione politicamente corretta (quella ministeriale, di fatto!), ma nell’ascolto della gente che vive e lavora in altri ambiti, nell’attenzione verso il modo delle cose, degli oggetti, della terra (con la lettera minuscola).
Parole?
”Chiesero a Confucio che avrebbe fatto per prima cosa se gli avessero affidato il governo della società e lui rispose: “Conferirei ai nomi il loro vero significato” Ignoto
L’ordine dei lavori prevedeva dopo l’introduzione (Federico Calò Carducci e Sabina Magagnoli), la presentazione da parte di due Maestre (Lisa Domenichini e Barbara Bertani) di primaria, la buona, vecchia scuola elementare, ovviamente attaccata con accanimento riformatore dall’alto e poco considerata dai professori, di cosa significa “fare una lezione ecologica…che dura tutto l’anno!”. Si è successivamente passati al cuore della giornata con la costituzione di tavoli di lavoro intorno a parole, da proporre all’interno di tre macro-temi: stili d’insegnamento, tra pedagogia e didattica, la nostra prospettiva, come suggeriva il sottotitolo del seminario parole, concetti, idee, orizzonti. Parole capaci di essere generatrici, provocatorie, spurie. Perché, è da felici o sbandate abduzioni che si costruiscono apparati concettuali, corpus di idee anche meta-stabili, di equilibrio precario. Queste parole hanno avuto la presunzione di aprire fra chi ci ascoltava a dubbi, diverse declinazioni come si è evidenziato nel ricco dibattito, ma soprattutto a orizzonti a cui guardare con pre-occupazione, mai aliena alle nostre paure e responsabilità.
Ciascuna delle persone che hanno parlato, cinque per ogni tavolo, ha accettato la sfida di donare al pubblico, in soli 5’, una parola. Un dono che, come sempre, contiene il debito, proprio nell’esigenza dell’accoglimento e della restituzione. Parole che sono state continuamente al centro dei nostri discorsi, delle lezioni svolte a scuola, delle discussioni intraprese con altri. Chi ascoltava le ha in qualche modo adottate, con l’atteggiamento tipico di quando si accoglie, magari generosamente, ma anche in modo riluttante o dubbioso7.
Noi, del gruppo di lavoro organizzativo, non sapevamo in anticipo esattamente perché i portatori di parole avessero scelto proprio quella e come essa avesse suscitato in loro suggestione e attinenza al tema. Lo abbiamo tutti appreso grazie ai lacci tesi dai moderatori tra un intervento e l’altro, e durante il dibattito.
Sguardo prospettico?
Ciò che il bruco chiama fine, noi chiamiamo farfalla. Lao Tze
Come ho detto, la cornice del lavoro svolto in questo anno dalla Rete, consiste in un’apertura dei nostri contenuti e della nostra metodologia verso tutto ciò che, intorno alla scuola “fa mondo”, su cui si declina la nostra prospettiva. L’aggettivo possessivo nostra/o sta a indicare un’appartenenza a valori, ideali e modalità di ricerca e non è un significante di chiusura comunitaria.
Nella presentazione del terzo tavolo abbiamo precisato che non avremmo dato alcun ricettario i cui contenuti servissero a spostare insegnamento e scuola verso una sorta di sensibilità ecologica, per ora o per i tempi a venire. Nelle lettere scritte dal nostro gruppo nel 2023, indirizzate ai docenti, agli universitari, al ministero, formulavamo l’auspicio che si raccordasse la ricerca dal basso alla missione di ricerca, di insegnamento e formazione svolta dai dipartimenti universitari, fino ad arrivare a una revisione delle Linee Guida di Educazione Civica. Ma abbiamo capito quasi subito, che solo continuando a lavorare sul campo, in classe, era possibile produrre una spinta verso l’alto. Provare, dunque, a dare finalmente – di nuovo, in modo nuovo – fiato alla ricerca, alla creatività, alla postura desiderante di futuro che deve ancora albergare in ciascuno di noi educatori. Del resto, verso cosa viri la formazione in accesso e in itinere dei docenti lo vediamo ogni giorno. Ne vediamo forme e contenuti nelle sconclusionate e costose manovre del PNRR, in cui è dominante la spinta verso il digitale, verso la ricerca tecnologica (le discipline matematiche e scientifiche, il gruppo dell’acronimo STEM), senza attenzione, che non sia ipocritamente definita sostenibile, al consumo di terre rare, allo sfruttamento del lavoro umano, allo smaltimento (né decrescita, né sobrietà)8. Come il MIM abbia inteso rinnovare il curriculo di Educazione Civica, lo troviamo esplicitato nelle pagine del testo delle Linee Guida appena licenziato: si riduce l’attenzione ai temi della giustizia ecologica a scarne formulette rituali. Al ministro e ai suoi consiglieri premono l’amor patrio, i vessilli, nella palese ostilità verso ogni manifestazione di estraneità, di differenza.
Per questo abbiamo la presunzione di aver trovato un metodo, una possibilità di progettare, di delineare piste di lavoro, soprattutto di guadagnare nel lavoro di gruppo il gusto del tempo perso, apparentemente improduttivo, oggi che l’efficienza aziendalistica perpetra su tutti un continuo furto del tempo personale, di vita. Tre aspetti salienti: 1. disorganizzare e riorganizzare le discipline dissacrandone l’epistemologia rigida e, spesso, complice dei danni ecosistemici; 2. pensare ai contesti, ai territori, ai luoghi in cui viviamo come patrimoni di ricchezza culturale ed ecosistemica e, nella stessa mossa, de-territorializzarsi per non fermare lo sguardo su piccoli egoistici, identitari, micromondi; 3. riorganizzare la riflessione sul tempo scuola, non solo come servizio, ma come tempo lungo, fluido, in cui può emergere la spiritualità adulta e quella infantile, come meraviglia, incanto del conoscere/rsi.
E in quest’ottica rientrano i temi relativi a come e cosa insegnare, in quella postura che chiamiamo stile-docente. Oggi è in atto una paradossale inversione: la didattica, quella meramente strumentale, dei dispositivi digitali, delle piattaforme, ha soppiantato la ricerca sui valori dell’educare e dell’insegnare. Non solo, la didattica si è fatta lo strumentario burocratizzato delle pratiche, delle procedure, dei percorsi delineati fuori dai contesti reali. Lo stile, si è fatto canone ministeriale, nel paradigma dello status quo neoliberista. Per noi, nella nostra rete, lo stile è peculiarità, scelta espressiva, complesso dei comportamenti e delle azioni che caratterizzano un soggetto e/o un gruppo. Mi piace ricordare che la parola stile viene da stilo, lo strumento con cui si vergavano le tavolette, più in generale con cui si grava su un supporto un segno. Quel segno richiamato più su, quell’atto che, intenzionale o spontaneo, caratterizza la relazione fra un adulto e una creatura piccola, giovane, qualcuno a cui vogliamo donare qualcosa di un nostro sapere e/o abilità e da cui ci aspettiamo un ritorno, adesso, domani, Spesso, mai, verificabile, affidato ai temi lunghi dell’età evolutiva e di quelli di vita di ciascuno.
Molto, moltissimo lavoro resta da fare e da ri-fare. Soprattutto sappiamo, ormai con chiarezza politica che niente ci verrà dall’alto delle istituzioni scolastiche, così come sappiamo che dalla ricerca messa la servizio del capitale, del profitto ad ogni costo, può arrivarci solo qualche iniziativa di risciacquatura verde, molta pubblicità sulle mai davvero avviate riconversioni, e la più angosciante entrata nei mondi paralleli dell’Intelligenza artificiale. Ossimoro infausto quest’ultimo, per noi che stiamo a scuola con le intelligenze umanissime delle creature piccole e giovani.
1 L’accesso alle registrazioni del seminario e ad altri materiali citati è possibile richiederlo scrivendo a Federico Calò Carducci che ha curato e cura la Rete: fedecalocard@gmail.com, oppure all’indirizzo educazione.ecologica@gmail.com
2 https://quadernidelladecrescita.it/2024/08/29/decrescere-per-ben-crescere/
3 Laura Marchetti, 2012 Alfabeti Ecologici Progedit, Bari
4 https://comune-info.net/luddismo-riflessivo-nella-scuola-4-0/
5 Cfr nota 1
6 https://comune-info.net/scuole-aperte/scuola-sostenibile/ per una definizione storica e dinamica di praxis è di grande utilità il testo di M. Mustè, 2018 Marxismo e filosofia della praxis. Da Labriola a Gramsci Viella EdizioniRoma
7 Le 15 parole: 1. sostenibilità, laboratorio e ricerca, spiritualità, conoscenze e competenze, stile. 2. digitale, terra, materiali e testi alternativi, biblioteca alternativa, orientamento. 3. transdisciplinare, casa comune, glocale, scuola di prossimità, tempo pieno.
8 Altreconomia n 273 settembre 2024, pp. 48/49
Immagine in evidenza: nel liceo Cecioni di Livorno, grazie all’associazione Vivi Cecioni, diversi studenti e studentesse si prendono cura nei pomeriggi degli spazi esterni della scuola e promuovono iniziative sociali e culturali. Courtesy comune-info.net