Di Carlo Modonesi, socio dell’Associazione per la decrescita e membro del Comitato Scientifico di ISDE Italia Medici per l’Ambiente.
Come spesso è accaduto negli ultimi 30-40 anni, il colpo di genio di qualche imprenditore con solide entrature nel settore della speculazione finanziaria si trasforma in un tormentone che impazza ovunque. Abbiamo visto questo film centinaia di volte, con i brevetti sulla materia vivente (persino sui geni), con gli OGM di prima e ultima generazione, con la clonazione animale, con la malattia ridotta alla biologia molecolare (etc.etc.etc.). Queste lagnose e pericolose operazioni di marketing non hanno nulla a che fare con un vero dibattito scientifico, e tuttavia noi cadiamo ogni volta nell’antica e stupida trappola di credere che si tratti di questioni strettamente scientifiche. Subito dopo le prime campagne pubblicitarie montate ad arte da giornali, televisioni e siti web, si scatenano le guerre di religione che dipingono il mondo in fazioni contrapposte, e sia ben chiaro, non con il nobile intento di informare ed educare l’opinione pubblica, ma esattamente con il proposito opposto, ovvero creare confusione e disorientamento utilizzando il vecchio e inossidabile marchingegno della spettacolarizzazione. Il COVID avrebbe dovuto darci una chiara lezione di quanto dominante e perniciosa può essere la comunicazione mediatica fondata sul totem della banalizzazione e sulle scelte dell’industria dell’intrattenimento, interessata unicamente ai propri interessi economici e di potere. Una comunicazione fuorviante legata a doppio filo alla politica (con la “p” minuscola) che punta a condizionare la percezione sociale della realtà facendo credere che pubblicità e informazione siano la stessa cosa.
Per oltre due anni questo tipo di comunicazione ha lanciato sul palcoscenico della disinformazione nuovi “scienziati” (si fa per dire!) trasformati in tuttologi-opinionisti che si insultano reciprocamente nei salotti teleguidati da conduttori fantozziani più idonei al pensionamento che alla difesa a spada tratta dello share. Forse qualcuno si è scordato che al giro di boa del nuovo secolo, e per molti anni, abbiamo assistito alle improbabili “filosofie scientifiche” strombazzate da schiere di colletti bianchi del jet-set nazionale e internazionale, allo scopo di imporre le piante geneticamente modificate nell’agricoltura italiana. Al centro dell’attenzione vi era la cosiddetta “seconda rivoluzione verde”, caratterizzata ovviamente da un altissimo standard tecnologico che avrebbe finalmente salvato il mondo povero dalla fame e affrancato gli agricoltori del pianeta dai loro bilanci in rosso. Ovviamente, nessuna di tali promesse si è avverata, con il risultato che, grazie alle campagne dell’agribusiness e ai terrificanti impatti ecologici dell’agricoltura industriale, le coltivazioni strappate al controllo dei contadini oggi soffrono più che mai la fame e la sete in gran parte del territorio della UE, e in particolare Italia. Oggi, questi stessi circuiti mediatici che alimentano un settore industriale tra i più potenti e prosperosi del mondo ci stanno dicendo che è stato trovato il modo per porre fine agli allevamenti intensivi, che potranno così essere sostituiti dalla produzione di carne in provetta e dalle nuove farine entomologiche ad alto tenore proteico. Si tratta dell’ennesima mistificazione che non sappiamo a quali altri effetti infausti porterà.
Ecco quindi che si prepara il nuovo show per dare voce alle nuove tifoserie: la solita ipocrita messinscena da cabaret tra chi recita il copione del sostenitore della tecnologia innovativa, che ovviamente migliorerà il mondo, e chi si cimenta con la difesa a oltranza della tesi contraria. Deve essere chiaro che la questione dell’impatto ambientale e sanitario degli allevamenti intensivi è cosa troppo seria e importante per essere lasciata nelle mani inaffidabili di questo sistema mediatico. Sicuramente il problema non potrà essere risolto dalle tradizionali ricette carnevalesche della scienza-spettacolo. Serviranno ben altre risorse, senso di responsabilità, stili di consumo, idee, conoscenze, abitudini, politiche economiche, e forse anche nuove tecnologie, ma per favore evitiamo di cadere per l’ennesima volta nelle trappole della semplificazione da bar propinate via etere quasi ogni sera.
Secondo il grande biologo Marcello Buiatti (purtroppo mancato nel 2020), negli ultimi secoli – e con un’intensità ancora maggiore negli ultimi decenni – la rapidità del cambiamento delle strategie culturali, sociali ed economiche dell’uomo è stata impressionante, al punto che in poco tempo si è passati attraverso due fasi fondamentali, quella della “macchinizzazione” della realtà e quella della “smaterializzazione” della realtà. Nella prima di queste fasi, l’obiettivo, o meglio, l’alibi era quello di “ottimizzare” il mondo inseguendo pedissequamente la stessa logica delle odierne imprese produttrici di beni “innovativi” (e.g. la carne artificiale). Nella seconda fase, tutt’ora in corso e purtroppo in preoccupante accelerazione, l’obiettivo non era più quello di ottimizzare il mondo ma quello di aumentare a dismisura le quantità e le varietà di prodotti commerciali, con il solo fine di incrementare all’infinito i consumi. Lungo questo percorso gli esseri umani si sono sempre più allontanati dalla materia, prima considerandola del tutto meccanica e poi, progressivamente, ignorandola, e infine, utilizzandola unicamente come mezzo per l’accumulazione di ricchezza e di potere (l’unico vero “valore” del capitalismo). E il denaro, da mezzo quale era, si é trasformato tragicamente in fine.
Immagine da www.fondazioneveronesi.it. Articolo pubblicato anche su ilsalvagente.it