Cura e “reincanto del mondo”. Un incontro residenziale organizzato dall’Associazione per la decrescita all’Eremo di Calomini.

A cura del gruppo organizzatore dell’evento.

 

Il 28-30 giugno un gruppo di venticinque persone ha partecipato al secondo incontro residenziale annuale all’Eremo di Calomini in Garfagnana (Lucca). L’incontro era proposto dall’Associazione per la decrescita per riflettere – e fare esperienze – sul paradigma emergente della cura e sulla necessità, ma anche sulla possibilità concreta, di un “reincanto del mondo”, proprio oggi che, secondo l’analisi di Max Weber, il mondo è stato disincantato dall’imposizione di una cosmovisione tecnoscientifica che ha finito per distruggere la natura, le relazioni sociali e portarci nel vicolo cieco in cui ci troviamo.   

Abbiamo proposto questo incontro perché riteniamo che il progetto della decrescita non possa ridursi a un funzionale progetto di riorganizzazione socioeconomica mirato a ricollocare l’umanità entro i limiti di compatibilità ambientale, né alle pur imprescindibili questioni di giustizia sociale. Pensiamo invece che non potrà esservi nessuna vera trasformazione, nessuna fuoriuscita dal capitalismo e dalla società dell’ominimercificazione, se non affiniamo un nuovo sguardo sulle cose, non utilitaristico, non strumentale, che può solo sgorgare da una vera e propria trasformazione antropologica e culturale. Certo alcuni si domandano se non siano troppo lunghi i tempi necessari per questa trasformazione, vista l’urgenza del cambiamento. Siamo consapevoli di questa tensione, tuttavia crediamo – con Illich e Latouche – che una trasformazione interiore sia indispensabile per innescare e accompagnare il cambio di rotta. Del resto, già vediamo intorno a noi segnali incoraggianti in questo senso, un grande risveglio di pratiche di cura del sé, alimentate dal bisogno sempre più sentito di una vita piena e sensata, una vita “bella”, che strappi il velo della mistificazione che ci ottunde, ci blocca e ci impantana nell’inerzia della megamacchina sociale cui tutti, più o meno, siamo legati. 

In un libretto del 2019 dal titolo significativo Reicantare il mondo. La decrescita e il sacro, Serge Latouche, giunge alla conclusione che oggi “bisogna aggiungere elementi di natura spirituale alle argomentazioni filosofiche e scientifiche” (p. 78): infatti, per Latouche, anche “se si venissero a creare le condizioni oggettive per la costruzione di una società della decrescita, questa non sarebbe possibile senza un certo reincanto del mondo” (p. 76).

Diverse sono le vie possibili per questo reincanto. Nella sua presentazione, Mauro Bonaiuti ne ha indicate cinque. Vi è innanzitutto la via (laica) della filosofia come “arte di vivere” (Hadot) praticata in particolare dalle diverse scuole filosofiche dell’antichità, greca e latina. Un patrimonio di pratiche ed esercizi, in parte recuperati dal cristianesimo, ma oggi ampiamente dimenticate. A queste si aggiungono, come seconda via, le diverse pratiche spirituali (meditazione, contemplazione, lettura, ecc.) proprie delle diverse tradizioni religiose, occidentali e orientali. La parola “religione” non ci deve spaventare. Se la intendiamo – con Durkheim – come l’insieme delle credenze che accumunano una società, e che dunque ci legano ad un certo immaginario “istituito”, oggi la vera religione è proprio l’economia… con i suoi templi (i centri commerciali) i suoi sacerdoti (i media, gli economisti), le sue divinità (il denaro, il potere, l’apparire)  e i suoi riti di consumo. Tuttavia, per sgombrare il campo da possibili equivoci, per “uscire dall’economia” e “reincantare il mondo” ciò che proponiamo non è certo una semplice riproposizione delle religioni tradizionali. Semmai si tratta di riscoprire alcune vie “spirituali,” termine certo abusato, ma che è per noi più ampio (e ineffabile) rispetto al “religioso”. Per quanto profondamente diversi, ciò che accomuna questi percorsi spirituali, e da cui possiamo trarre ispirazione, è la loro dimensione “pratica” ed esperienziale. In altre parole – al fondo – vi è l’esperienza che ciascuno/a può fare in prima persona come via alla trasformazione.  Una terza via viene dal “restaurare la nostra capacità di meraviglia di fronte alla bellezza del mondo” (Latouche, p. 76). Questa via “estetica” non è separata, ovviamente dalle precedenti e soprattutto da quella che potrebbe essere una quarta via consistente nel metterci in relazione con il “libro della natura” (Thoreau) e con la ricerca di un diverso rapporto con la natura, che superi il dualismo tra natura e cultura tipico della modernità (Bateson). Tutto questo in un clima di convivialità, che Mauro propone come quinta via per il reincanto. La convivialità, per Illich, non si riduce al  semplice piacere dello stare assieme, condividendo la tavola e il buon vino, ma rappresenta anch’essa una via, quasi una precondizione, per una ricerca comune di senso, di verità. Queste vie al “reincanto”, nella loro straordinaria varietà e ricchezza, rappresentano una sorta di “programma di ricerca”, a cui applicarsi, anche nei prossimi anni. 

Di seguito un breve resoconto delle attività e dei temi affrontati, invece, nell’incontro di quest’anno. 

Al nostro arrivo, la sera del venerdì, Fratel Benedetto Doni, che vive all’eremo,  ci ha accolto e guidato in una visita del posto, nei suoi anfratti … e così siamo entrati subito nello spirito del luogo, che si è manifestato come spazio di accoglienza, semplicità e gioia oltre che di stupore, inquietudine e incanto per la maestosità della natura che lo avvolge. 

Il sabato mattina Saverio Marchignoli, docente di Filosofie dell’India all’Università di Bologna, ha tenuto per noi una vera lectio magistralis sulla Cura di sé fra Oriente e Occidente, cioè sulle terapie che le saggezze occidentali e orientali hanno messo a punto per far fronte a quelle che Miguel Benasayag ha definito le “passioni tristi” (che non a caso corrispondono a quei “vizi privati”  che Mandeville esaltava come motori del benessere collettivo: avarizia, attaccamento, invidia, ecc….). Saverio ci ha aiutato a riflettere su quelle che sono le principali strade elaborate in Oriente e in Occidente per curare le malattie dell’anima – rispetto alle quali la filosofia è terapia, a partire da quella terapia delle passioni di cui già parlavano gli stoici. Abbiamo riflettuto su come, sia in Oriente che in Occidente si possano trovare vie che insistono sull’impermanenza e assenza del sé (buddhismo) e altre che insistono sulla “continuità del sé”, da cui derivano diverse pratiche terapeutiche. Dal secondo approccio derivano per esempio lo yoga, ma anche gli esercizi spirituali stoici che includono la dimensione etica. In questo senso si possono trovare, in Oriente come in Occidente, sentieri e pratiche comuni. In altre parole, non potendo più vedere nei boschi le ninfe e il dio Pan, cioè non potendo più accedere al “reincanto” attraverso una riproposizione del mito degli antichi o dell’animismo come era vissuto dai nostri progenitori arcaici, occorre sperimentare nuovi sentieri. Persino il dolore e la “ripugnanza” possono essere esperienze spirituali importanti, che aprono la porta alla consapevolezza, al senso del limite e alla sobrietà, e dunque alla decrescita. Detto fra parentesi, possiamo notare, su questo punto, la distanza di questo complesso di saggezza secolare da chi oggi propugna l’idea di benessere e prosperità (senza crescita) (Hickel, Jackson,) come possibile denominatore comune ad ogni “politica della decrescita”. 

Il sabato pomeriggio Adriana Maestro, direttora della Scuola per l’Economia Trasformativa dell’Università per la Pace delle Marche, ci ha condotto sul terreno dell’economico attraverso uno spostamento simbolico e semantico che l’ha portata a identificare l’economia con la cura, sulla scia del libro L’economia è cura della teologa svizzera Ina Praetorius, di cui Adriana ha tradotto e curato l’edizione italiana. Il pensiero ecofemminista, a cui Adriana si rifà, ci permette un lavoro sul simbolico grazie al quale è possibile uscire dalle traiettorie del già pensato e rompere la gabbia linguistica in cui siamo imprigionati. Infatti, dire che l’economia è cura e che non vi è economia senza cura provoca un cortocircuito rispetto a quelle che sono le traiettorie ordinarie dell’economia della produzione, del consumo e del profitto. Scegliere il “paradigma della cura” vuol dire rimettere la vita al centro e questo ci permette di uscire dalle strettoie del lavorismo e ci apre alla riflessione sul fatto che non è giusto dover scegliere fra salute e lavoro cioè fra vita e lavoro. Bisogna poi – dice Adriana – cominciare a dire forte che c’è lavoro e lavoro: ci sono lavori utili alla vita e lavori contro la vita. E bisogna cominciare a chiamare questi ultimi con il loro nome: bullshit jobs, come ci ha insegnato il grande antropologo David Graeber. Ecco allora che reincantare il mondo (espressione già usata da Silvia Federici nel titolo di un suo libro) per Adriana Maestro vuol dire ricomporre la frattura fra noi e il mondo e risacralizzare il mondo con una nuova metafisica dell’immanente, in cui il vissuto delle donne può essere di particolare importanza. Questo anche  per ricostruire un senso condiviso, indispensabile alla rivitalizzazione della dimensione comunitaria.

Infine la domenica mattina Marina Marcolini, docente di letteratura all’Università di Udine, scrittrice e coautrice della trasmissione televisiva di Rai Uno “Le ragioni della speranza” e Francesco Zevio, giovane poeta, insegnante di italiano a Parigi e attivista della decrescita, ci hanno condotto in una esperienza di immersione in natura anche attraverso la lettura di alcuni testi significativi. 

Marina ci ha guidato in un’esperienza di contemplazione della natura attraverso i cinque sensi e ci ha introdotto nella sempre più profonda consapevolezza di essere natura e dell’unità del tutto, che abbiamo sperimentato anche attraverso il cammino e l’immersione nel bosco. Attraverso la lettura di brani in prosa e poesia (di autori come Stefano Mancuso e Mariangela Gualtieri), Marina ci ha aiutato a riflettere sul fatto che il bosco, gli alberi e il suolo sono fonti di vita e ci ha fatto capire e sperimentare in profondità quanto la nostra vita sia intersecata con la loro e come sia importante coltivare in noi un atteggiamento contemplativo.

Francesco invece, in un piccolo anfiteatro lungo il percorso del bosco, ci ha fatto incontrare Andrea Zanzotto, poeta veneto di primo piano, morto nel 2011 dopo una vita nella quale ha visto tutti gli sconvolgimenti che lo sviluppo ha portato nella sua Pieve di Soligo e, più in generale, nel suo Veneto. Siamo stati avvicinati alla sua non facile poesia che Francesco ci ha sbriciolato in una breve ma intensa lettura-lezione di alcuni testi di Zanzotto. 

Oltre alle relazioni e al dialogo con gli esperti abbiamo sperimentato altre pratiche di di reincanto: la meditazione (per chi voleva) guidata da Fratel Benedetto nella scia delle tradizioni monastiche dell’Oriente cristiano, la lettura di testi particolarmente significativi e utili al nostro percorso, i ritmi lenti, l’amicizia che nasce dal dialogo, la convivialità gioiosa a tavola, il bosco, la roccia incombente e le grotte accoglienti, dove abbiamo sostato in silenzio e dove, nei secoli, molti prima di noi hanno cercato la connessione fra umano, divino e cosmico.

Queste per noi sono modalità di azione che possono essere riproposte nei nostri territori, che possono ispirare alcune pratiche nelle nascenti comunità trasformative, che possono avviare e sostenere la custodia dei beni comuni, risvegliare e potenziare il nostro amore verso la terra e verso tutti i viventi, in tutti gli ambiti in cui ci troviamo a vivere e a operare. Questo abbiamo imparato all’Eremo di Calomini e su questa strada della cura, del reincanto e della meraviglia continueremo a camminare e ricercandone le connessioni, certamente non banali, con la dimensione politica, anche attraverso il confronto con altri approcci, all’interno e all’esterno del mondo della decrescita. Siete tutte e tutti invitati a partecipare a questa ricerca.