Recensione di Gloria Germani di “Filosofia dell’ambiente”
L’uscita di Filosofia dell’ambiente (Carrocci, 2022), di Andrea Porciello, docente di Etica ed Ambiente, oltre di Filosofia del Diritto, permette di guardare all’attuale collasso climatico con una prospettiva innovativa e vincente. La tesi forte sostenuta dall’autore consiste nel ritenere che ogni etica ambientale è destinata al fallimento se non parte da un cambiamento radicale di ciò che riteniamo reale. In altre parole, l’etica ambientale discende direttamente dall’ontologia ma quest’ultima deve abbandonare l’antropocentrismo che è stato tipico tanto della tradizione biblica, quanto del cartesianesimo moderno.
Scienze recenti come la biologia, l’etologia, l’antropologia, l’ecologia ci stanno insegnando che l’atteggiamento antropocentrico che contraddistingue da tempo immemore l’agire umano non è affatto giustificato. Non esiste separazione tra essere umano / natura, non è vera la distinzione tra un soggetto che usa dall’esterno la natura e questa come oggetto inanimato. Seguendo alcuni pensatori novecenteschi come Hartmann, Jonas e sopratutto Ann Naess – padre dell’ ecologia profonda- si perviene alla conclusione che bisogna abbandonare la visione dualistica e antropocentrica per arrivare ad una concezione della realtà come un tutto relazionale. “Il tutto è più della relazione della sue parti” (come afferma anche la psicologia della Gestalt) e questo “più” non è quantificabile, ma altrettanto reale. Per fare un esempio, la foresta non può essere ridotta agli alberi che la compongono e quindi alle proprietà primarie ed oggettive che Galileo (e con lui l’essere umano moderno) attribuiva agli alberi. Alla base di questa diversa ontologia, sottolinea Porciello insieme a Naess, sta necessariamente un senso di sé che oltrepassa l’umanità per comprendervi il mondo non umano, un espansione dell’ego che spezza la linea di separazione tra io e l’universo, che supera il limite del mio corpo. Certamente un tale rivoluzione ontologica avrà conseguenze importanti che investono l’etica e in primis la sfera economica e tecnologica verso stili di vita che più sobri ed essenziali in linea con la filosofia della Decrescita di Latouche. Porciello tuttavia evidenzia l’enorme ruolo del diritto che – costruito sulla base dell’antropocentrismo bianco e colonizzatore, del dominio dualista sulla natura e sui popoli selvaggi – è ancor oggi norma e giustificazione di pratiche estrattive verso l’ambiente e anche verso popoli “al di là della linea”. Il diritto che viene insegnato nelle nostre università è nato dal contrattualismo illuministico ed è incompatibile con le esigenze dell’ecologia. Nella stessa maniera le immense terre delle popolazioni colonizzate erano e sono ancora res nullius perché il diritto occidentale non ha mai visto nei popoli nativi dei veri interlocutori.
Queste argomentazioni sono ricche di conseguenze: il paradigma giuridico dominante – che continua a giustificare le azioni delle grandi multinazionali come Monsanto o Chevron-Texaco – è ancora basato sulla visione meccanicistica, cartesiana e antropocentrica, che non è più sostenibile. Green Economy, Sharing Economy, Sviluppo Sostenibile e perfino le varie Cop che si sono susseguite fino alla 26esima, sarebbero dunque un bluff, in quanto protraggono l’illusione pericolosa di gestire la salvaguardia dell’ambiente insieme al diritto consueto e alla crescita economica. In conclusione, Filosofia dell’Ambiente è un testo molto importante che conferma le tesi sostenute in un’altra opera di rilievo: Ecologia del Diritto, scritto nel 2017 dal giurista Ugo Mattei insieme al famoso fisico quantistico Fritjof Capra. E’ la struttura stessa della giurisprudenza moderna che distrugge l’ambiente perché il paradigma cartesiano –newtoniano che forma la sua base come quella di tutte le altre scienze moderne, non è in grado di comprendere la vera realtà della natura e degli esseri viventi, come oggi dimostrano la fisica quantistica, l’entanglement, la psicoimmunoendocrinologia e la scienza dei sistemi.