Degrowth for Artists. Mostre e workshop da Barcellona a Belfast passando per Düsseldorf.

di Serena De Dominicis

Segnaliamo tre progetti recenti volti ad applicare i principi decrescenti alle logiche dell’arte contemporanea: Degrowth for Artists, un workshop proposto dall’artista Arnau Sala Saez al Centro d’Art Santa Mònica di Barcellona, la doppia mostra fotografica Degrowth Utopia al Belfast Exposed e la personale di Nicolas Grospierre Photography Degrowth all’Istituto Polacco di Düsseldorf.

Il workshop si è focalizzato, attraverso la ricerca e l’impegno a livello comunitario, su strumenti e strategie che possano aiutare a guardare all’attuale crisi climatica in altro modo, slittando finalmente dall’approccio orientato alla crescita a pratiche post-crescita. Uno switch che implica da un lato una revisione delle abitudini di consumo – affermano i curatori – con conseguente riduzione, dall’altro la ricostruzione di valori fondamentali, di legami sociali sfilacciati. Appare ormai evidente che la vocazione sperimentale del contesto artistico e soprattutto lo “statuto speciale” accordato all’arte offrano condizioni privilegiate per la creazione non solo di nuove prospettive, ma anche di condizioni per il cambiamento. Anche in questo caso gli organizzatori hanno evocato, come già capitato in passato, una “cassetta degli attrezzi” utile all’orientamento dei soggetti coinvolti, e a dispetto del titolo, non ci si è rivolti solo ad artisti e curatori, ma all’intera filiera comprese gallerie e istituzioni. Un passo importante per produrre uno scarto reale in primis proprio all’interno del circuito dell’arte.  (Per approfondire: https://goodprax.is/dfa/barcelona-degrowth-for-artists-workshop/)

L’evento espositivo dal titolo “Degrowth Utopia”, invece, che ha inaugurato il Belfast Exposed Emerging Curator Progamme, si è imposto come esercizio d’immaginazione, cercando di delineare i tratti di un futuro post-capitalista a partire dall’odierna crisi ambientale. Per l’occasione, la curatrice Grace O’Boyle ha selezionato gli scatti fotografici di Joshua Jensen e Ró Dennis, paesaggi isolati, ritratti, dettagli bucolici estratti da geografie distanti eppure prossime, tra Canada e Irlanda. Tutte immagini che veicolano, sì, un’utopia, ma di quelle intenzionate ad ispirare un cambiamento reale affinché la sfera naturale, la giustizia sociale e il benessere degli esseri viventi riguadagnino la loro centralità.

Costruita attorno ad un’altra utopia, quella della crescita infinita, si è svolta, infine, Photography Degrowth dell’artista svizzero-polacco Nicolas Grospierre. A cura di Adam Mazur, la mostra si è concentrata sulla natura illusoria degli ideali modernisti di progresso ed espansione illimitata, decisamente evidente nell’architettura e nell’urbanistica, un tema che ha affascinato Grospierre sin dai primi anni 2000. E proprio guardando dall’interno di tali discipline, affidandosi a una serie di fotografie di architettura ed oggetti, l’artista ha restituito una riflessione sul rapporto tra crescita e sviluppo chiedendosi dove l’ossessione della crescita ci stia conducendo, che cosa è necessario cambiare, che cosa possiamo conservare del controverso passato modernista e della relativa visione del mondo.

Ecco che anche nel contesto artistico quella della decrescita non sembra più una faccenda marginale, piuttosto un’onda che procede spedita spinta dall’urgenza di una trasformazione non più procrastinabile, tutta tesa a delineare una visione alternativa e gestibile dal basso. Non si parla però mai di un tema che a questo punto mi sembra invece cruciale, ovvero intavolare una riflessione seria sul linguaggio dell’arte impegnata in questo ambito. Se da un punto di vista dei temi, dei contenuti, del messaggio si è sviluppata nell’ultimo decennio una indubbia sensibilità capace di adottare la giusta angolazione, sul fronte del linguaggio ciò non è accaduto.  Pur registrando una propensione alla produzione di relazioni piuttosto che di oggetti, un’attitudine ad affermare piattaforme di valori condivisibili esiliati dalla società capitalista, ad avviare processi riparativi a livello di relazioni comunitarie, i mezzi adottati dall’arte sono ancora quelli tipici della fase postmediale segnata da una molteplicità di modi e forme che vanno dal video all’installazione, dalla performance alla fotografia senza gerarchie… ma è davvero possibile decolonizzare l’immaginario senza passare attraverso una riconfigurazione linguistica?

Immagine in evidenza:
Veduta della personale di Nicolas Grospierre, Photography Degrowth all’Istituto Polacco di Düsseldorf.
Foto Hanne Brandt. Courtesy l’artista