Decrescita creativa #5 – Alexandra Papademetriou: di semi, scatole e cassette degli attrezzi…
Qualche settimana fa mi sono fortunosamente imbattuta nel lavoro dell’artista greca Alexandra Papademetriou (Atene, 1994) dal titolo This box contains a meadow (2023), una di quelle azioni lievi (e poetiche) di ispirazione per le cittadinanze e di disturbo per il sistema che spiccano per intelligenza e pragmatismo, una di quelle interferenze di cui non ci si stanca mai. Il contesto in questo caso è l’area ex industriale di Lövholmen, adiacente al quartiere di Gröndal a Stoccolma, un luogo abbandonato in attesa di riqualificazione e nel frattempo – come si evince dal racconto dell’artista – scientemente tenuto in uno stato di abbandono dalla società proprietaria. Durante il lungo periodo di trattative con l’amministrazione comunale, il sito è infatti inaccessibile agli abitanti delle zone limitrofe, quasi si volessero scoraggiare da subito eventuali resistenze a proposte di nuova destinazione dell’area che fossero sgradite alla comunità.
L’approccio di Papademetriou è dialettico, invita i residenti a esprimersi su temi pertinenti, dal coinvolgimento delle cittadinanze nei processi decisionali al diritto a usufruire e prendersi cura dello spazio pubblico, poi realizza la sua opera di bioarte (connubio di arte e biotecnologia): colloca ad un incrocio strategico una scatola da cui le persone possono prelevare “bombe di semi” da spargere. Le sfere contengono una miscela di fiori autoctoni in grado di crescere anche su terreni inariditi. Alcuni di essi, inoltre, sono dotati di capacità “fitorisananti”, ossia possono estrarre metalli pesanti dalla terra bonificando il suolo e/o le acque. Strano a dirsi, ma pare che tale attività di semina clandestina cui l’artista invita la cittadinanza sia illegale, nonostante l’attenzione posta alla selezione delle specie. L’incuria invece no.
L’iniziativa rientra nel novero dei micro-interventi artistici, input minimi tesi a innescare un coinvolgimento di carattere collettivo che sottintende una partecipazione attiva ed informata riguardo a una determinata problematica. Le persone sono responsabilizzate e dotate degli strumenti necessari per agire concretamente nel proprio piccolo. Dunque non si tratta solo di azioni simboliche ma di atti pragmatici, benché né l’esito né la portata siano assicurati. Nello specifico, This box contains a meadow si afferma come perfetto esempio di creatività artistica improntata alla relazionalità con finalità ecologica. Il gesto di Papademetriou custodisce quell’utopia realista quotidiana e concreta di cui parla il “giardiniere planetario” Gilles Clément; quella stessa utopia sostenuta da Serge Latouche, rintracciabile proprio nelle micro-azioni, in ciò che è piccolo e marginale, necessario anche se non sufficiente.
D’altra parte che cosa dovrebbe fare l’arte di fronte all’immensità dei problemi socio-ecologici creati da questo sistema (in cui anch’essa è invischiata) se non radicarsi nella realtà e agire dal basso unendosi alle comunità? E che cosa potrebbe fare un’artista che volesse influire davvero nella trasformazione sociale a partire da una prospettiva decrescente se non lavorare fuori e al contempo dentro l’ambiente artistico? Molteplici sono gli interrogativi posti da Alexandra Papademetriou quando nel marzo 2021 avvia l’originale The Degrowth Toolbox for Artistic Practices, un progetto di ricerca in forma di pubblicazione digitale open source contenente definizioni, spunti, provocazioni, possibili strategie, una bibliografia (non proprio esaustiva, a dire il vero, ma perfettibile) e un glossario. Uno strumento prezioso, un unicum al momento, aperto al contributo di chiunque, perché il dibattito è appena cominciato e va arricchito, seguito, nutrito.
A tal proposito, nel dicembre scorso l’artista greca ha proposto anche una tre giorni sul tema presso la Galleri 54 di Götheborg (spazio “fuori del circuito”, gestito da artisti) dal titolo Like roots splitting stone, esortando a partecipare alla formulazione di “un quadro concettuale per pratiche creative ed espositive” etiche ispirate alla decrescita, uno strumento guida per artisti, curatori e istituzioni.
Il suo The Degrowth Toolbox for Artistic Practices conosce forza e debolezza dell’arte, sa del suo statuto speciale di luogo dell’eccezione in cui tutto o quasi è possibile, della sua capacità comunicativa e aggregativa. Ma sa anche del suo ambiguo ruolo come pilastro del capitalismo, delle luci e delle ombre, del fatto che può essere manipolata per la diffusione di pratiche sleali, usata a mo’ di soft power per perpetuare schemi colonialisti e sessisti. E allora questo appello rivolto ad artisti e lavoratori dell’arte è un invito “(…) a smettere di sostenere i mercati, smettere di sostenere i governi e lavorare per accelerare la fine del vecchio mondo: il mondo che mette il capitale al di sopra della vita. – e prosegue – Il valore fondamentale dell’impresa delineato all’interno di questa cassetta degli attrezzi è il benessere della vita degli umani e dei non umani.”. E in effetti di impresa si tratta, ambiziosa anche. La precondizione è il rifiuto del mercato dell’arte, delle direttive di gallerie, collezionisti, investitori ma anche delle istituzioni che spingono affinché l’arte, cosa d’élite, rimanga confinata tra le mura di un white cube o alimenti la giostra vacua di musei, kunsthalle, comitati d’arte pubblica… – spiega Papademetriou – mentre l’artista rincorre progetti spesso vuoti, tanto per fare curriculum e gonfiare portfolio, sgomitando senza sosta per il successo in un loop infernale.
Lo scarto suggerito tanto in mostra quanto nella toolbox digitale è il trasferimento dello sguardo dall’io al noi, l’abbandono del mito dell’artista geniale che opera in solitudine, la rinuncia alla competizione in favore della pratica comunitaria e interdisciplinare. Seguono il ripudio dell’etica del lavoro capitalistico, della mercificazione delle qualità e del produttivismo in generale. Un proposito vigoroso e radicale che si dispiega all’insegna di indipendenza, cooperazione e idealismo.
Forse più che una cornice teorica, già in buona parte delineata, quel che serve sono spazi di rimbalzo, occasioni di diffusione di iniziative simili capaci di stimolare l’elaborazione di un immaginario e un linguaggio diversi, specifici, flessibili, atti ad esprimere l’esigenza di un’etica decrescente nel rispetto dell’autonomia dell’arte, dell’artista, dei contesti, ecc. Una sfida non facile intrapresa da Alexandra Papademetriou (e non solo) a suon di interrogativi, ventiquattro per il momento.
Immagini
1-2-3: Alexandra Papademetriou and Jenna Jauhiainen, This box contains a meadow, 2023.
4-5-6: Alexandra Papademetriou, Like roots splitting stone, 2023. Veduta della mostra alla Galleri 54, Götheborg.
Foto courtesy Alexandra Papademetriou.