Condividiamo l’intervista di
a Gloria Germani, pubblicata anche su Pressenza.com e Ariannaeditrice.itIl pensiero e l’azione politica del Mahatma Gandhi si inseriscono in quel movimento di rinascita dell’induismo che si è prodotto in India dagli ultimi anni dell’Ottocento fino alla prima metà del Novecento, in seguito al forte impatto che la cultura occidentale aveva provocato sulla civiltà indiana durante due secoli di diffusa colonizzazione inglese.
Gandhi rappresenta l’espressione più alta del movimento culturale indiano che mirava alla piena riaffermazione dei valori essenziali della tradizione induista contro l’imitazione servile di idee occidentali che si era andata sviluppando insieme all’immagine trionfante del colonialismo britannico, alla società industriale, all’opulenza e al nascente consumismo. La tradizione indù, a cui Gandhi si rifaceva, poggia su un bagaglio di altissime conoscenze «udite» dagli antichi r.s.i o saggi e trascritte nei Veda, nelle Upanishad, nei Purana, dandoci lezioni ante-litteram di decrescita, nonviolenza e stile di vita ecologico profondo in connessione con il Tutto.
Di questo parliamo con Gloria Germani, ecofilosofa impegnata da sempre nel dialogo tra Occidente e Oriente, allieva del filosofo Serge Latouche, dell’ecologista svedese Helena Norberg Hodge e del giornalista Tiziano Terzani, del cui pensiero è tra le massime esperte. Attiva nei movimenti deep ecology, nella Rete per l’Ecologia Profonda, in Navdanya International e nell’Associazione per la Decrescita, è praticante dell’Avdaita Vedanta (Via della Non-dualità), la più conosciuta fra tutte le scuole Vedānta dell’induismo. Nel 2002 scrive il libro Madre Teresa e Gandhi con la prefazione di Terzani che, essendosi fortemente interessato a Gandhi negli ultimi anni della sua vita1, disse: “Il libro della Germani ci offre una delle migliori interpretazioni di Gandhi che mi sia capitato di leggere”.
1) A molti occidentali piace vedere in Gandhi un “indiano sui generis” piu’ vicino alla cultura occidentale e cristiana rispetto a quella orientale. Vi è anche la leggenda secondo la quale Gandhi non si sarebbe convertito al cristianesimo solo per il fatto che le due Guerre Mondiali avessero avuto origine da potenze tradizionalmente cristiane. Cosa pensi a riguardo? Gandhi è un filosofo “sui generis” o parte integrante della cultura indu’?
Ho studiato e meditato a lungo Gandhi e sostengo che il suo pensiero si situa all’interno della cultura indiana, la cultura dei suoi padri e della sua gente, e non può essere capito senza tenere presente questa visione.
Ovviamente, nella sua vita Gandhi si trovò continuamente in contatto con la cultura occidentale: a Londra dove studiò giurisprudenza, in Sudafrica dove iniziò la sua lotta non violenta contro il regime inglese e ovviamente in India. Per questo si prodigò in una attenta analisi della cultura antagonista attraverso lo studio di molti scrittori occidentali. Gli autori che lo colpirono in maniera molto positiva furono Tolstoj, Ruskin, Mazzini, Thoreau e si dedicò sempre a meditare le scritture delle grandi religioni: i Vangeli, ma anche il Corano e l’Avesta, mosso da uno spirito di apertura e di sincera ricerca per le verità contenute in esse. Eppure Gandhi non smise di considerarsi un indù sanatani, cioè un indù ortodosso e precisò che la sua dottrina dell’ahimsa(non violenza) e del satyagraha (la forza della verità, l’aderire, agraha, alla verità, satya) altro non erano se non la riaffermazione di concetti induisti. «Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo. La verità e la non violenza sono antiche come le montagne»[1] «Benché io sia un ammiratore di taluni aspetti della dottrina cristiana-scriveva – non posso identificarmi con il cristianesimo. L’induismo, quale io lo conosco, soddisfa interamente la mia anima, occupa tutto il mio essere»[2].
Albert Eistein scrisse del Mahatma: ““Le generazioni future stenteranno a credere che un uomo come lui abbia davvero camminato su questa terra”. Di fronte a tale grandezza, la gran parte degli occidentali ha invece cercato di includerlo nella supposta superiorità cristiana e occidentale. Molti pacifisti ed intellettuali nostrani compiono infatti un grande sbaglio: quello di studiare Gandhi senza sapere praticamente nulla della cultura indù e della visione del mondo radicalmente diversa dalla nostra che essa sottende.
Credo infatti che dietro alla leggenda a cui ti riferisci, ci siano due grandi miti dell’Occidente: 1. che i cristianesimo è l’apice di tutte le religioni (a cui le altre fungono da preparazione) 2. che l’occidente è la civiltà superiore tra tutte. Si tratta appunto di miti senza vero fondamento, ma con conseguenze pericolose.
2) Puoi inserire qui il commento di Tiziano Terzani al mio primo libro ( Madre Teresa e Gandhi, 2002).” Il libro della Germani ci offre una delle migliori interpretazioni di Gandhi che mi sia capitato di leggere”. E l’interesse di Terzani per Gandhi era fortissimo negli ultimi anni della sua vita[3]. Ci puoi parlare della filosofia nonviolenza e del Satyagraha come strumento di lotta politica e di liberazione.?
Per capire Gandhi, come dicevo, dobbiamo aver presente il pensiero indiano. Al centro della filosofia indù c’è la certezza che tutta la vita è Una, non solo quella degli esseri umani ma di tutti gli organismi viventi, animali, vegetali, minerali. Ciò significa anche che non esiste una separazione netta tra ciò che è mente e ciò che è materia ( o in termini più occidentali tra spirito e corpo). La filosofia dell’India è infatti la filosofia Advaita, della non dualità che percorre il pensiero indiano dalle sue origini nelle Upanishad ( almeno VIII secolo a.c.) in una catena ininterrotta fino ad giorni d’oggi. La filosofia della non dualità si riflette nella certezza nell’unità e nella sacralità di tutto ciò che vive, senza eccezioni. Da questa certezza che il mondo e l’umanità sono un tutto interconnesso e indivisibile deriva la grande verità della non violenza. Anche la concezione dell’uomo è essenzialmente diversa dalla nostra; ciascuno uomo è essenzialmente buono ed è potenzialmente divino ( un avatar,una manifestazione del divino sulla terra) se ha momenti di deviazione può essere riscattato attraverso il contatto e la relazione con gli altri.
Questo è il nucleo del millenario pensiero che Gandhi riprende e sintetizza nel neologismo Satyagraha, “la forza della verità”. Infatti come ha ripetuto tantissime volte, nonviolenza e forza della verità sono una sola e medesima cosa. E’ evidente che Il Mahatma non avrebbe potuto aver milioni e milioni di seguaci se questo pensiero non fosse radicato nella cultura e nella gente dell’India.
Attraverso la forza della verità e la nonviolenza, l’avversario o il nemico non viene convertito mediante la violenza imposta, e quindi ferite, guerre e bombe (oggi oltretutto lanciate da distanze siderali con i droni). L’avversario al contrario viene convertito semplicemente perché è esposto alla visione dell’altrui sofferenza. Il presunto nemico comprenderà le rivendicazioni attraverso il riconoscimento della comune umanità, attraverso un movimento di nobilitazione del proprio sentire. D’altra parte, il combattente nonviolento è disposto a difendere la verità con maestoso coraggio perché – siccome tutto è interconnesso – la deviazione di alcuni verso la violenza, il sopruso, la cupidigia del potere e del possesso, viola l’essenza umana ed avrà ripercussioni drammatiche sugli altri uomini, la società e anche l’ecosfera.
C’è un ulteriore punto molto importante. Per essere combattenti non violenti, non basta seguire corsi universitari o workshop di formazione, ma bisogna intraprendere un lavoro lungo e complesso. Si deve essere in grado purificare il proprio ego attraverso l’abbandono dell’interesse personale e della volontà di autoaffermazione e di appropriazione. Il lavoro su se stessi deve precedere qualsiasi lotta nonviolenta. . Anche a livello politico, Gandhi era convinto che l’indipendenza, l’autonomia dell’India – lo swaraj – doveva essere il risultato del raggiungimento dello swaraj personale, del dominio su se stessi, del dominio sulle passioni, per far emergere i lati più nobili ed alti della personalità. Per questo, si rifaceva continuamente ai cinque precetti o yama comuni all’induismo,allo yoga, al buddismo e al gianismo. Ascoltiamo Gandhi stesso: “Coloro che ricercano la verità, dovrebbero sottoporsi ad una disciplina preliminare e fare voto di sincerità, di purezza, di non violenza, di povertà e di non possesso. Finché non ti sottoponi ai cinque voti non puoi imbarcarti in nessuna ricerca. Proprio perché oggigiorno ciascuno rivendica il diritto alla coscienza senza sottoporsi a nessuna disciplina di nessun genere, tanta menzogna viene dispensata ad un mondo confuso. Tutto quello che in piena umiltà posso consegnarvi, è che la verità non può essere trovata se non da qualcuno che ha raggiunto un grande senso di umiltà. Se vuoi nuotare nel grembo dell’oceano della verità, devi ridurre te stesso ad un zero. Più di questo non so, e non posso dire»[4].
In un altro brano in cui commenta l’essenza del testo più importante della cultura indù- la Bhagavadgita– Gandhi afferma: «Sono giunto alla conclusione che la Gita è stata composta per insegnare quest’unica Verità: possiamo aderire alla Verità nella misura in cui ci libereremo dal nostro attaccamento all’ego»[5].
3) Marco Ferrini, maestro Hare Krishna italiano e filosofo indovedico, ha definito Gandhi “il piu’ politico tra gli spirituali e il piu’ spirituale tra i politici”. Che ne pensi?
Questa definizione di Ferrini è sicuramente calzante e ci aiuta a mettere a fuoco alcuni punti nevralgici. Innanzitutto che la distinzione tra spirito e materia/ realtà concreta a cui competerebbe la politica, non è una distinzione universale. Come ho detto, la filosofia orientale non ha mai concepito la separazione tra mente e materia e dobbiamo sottolineare che anche la fisica da 100 anni ci insegna che tale distinzione è falsa. Noi abbiamo fatto della separazione tra religione e laicismo ( spirito-materia) uno dei capisaldi della modernità ma – data l’enorme crisi attuale, ecologica, sociologica, esistenziale – penso che dovremo rivederla. Infatti oggi si parla molto che dovemmo risacralizzare il mando. La separazione tra spirito e materia ha molto a che vedere con la religione occidentale- giudaico-cristiana, i suoi dogmi e le sue gerarchie che non hanno equivalenti in altri contesti culturali. Gandhi infatti sosteneva che coloro che affermano che la religione non ha nulla a che fare con la politica, non hanno una conoscenza della religione»[6]. Infatti la visione indù ci insegna che tutto è Uno, tutto è sacro, come dicevamo all’inizio, al di là delle illusorie sembianze della molteplicità e del divenire quotidiano, che sono considerate maya, appunto.
Gandhi scrive nella sua Autobiografia: “Per vedere a faccia a faccia l’universale e onnipresente spirito della verità, si deve essere in grado di amare il più infimo degli esseri creati come se stessi. E un uomo che aspira a ciò non può permettersi di estraniarsi da nessun campo di attività umane. È per questo che la mia aspirazione alla Verità mi ha condotto alla politica; e posso dire senza alcuna esitazione, anche se con assoluta umiltà, che coloro che affermano che la religione non ha nulla a che fare con la politica non sanno che cosa significa religione. L’identificazione con ogni essere vivente è impossibile senza autopurificazione; senza autopurificazione l’osservanza della legge dell’ahimsa rimane un vuoto sogno”[7].
Vorrei ancora distinguere la religione a cui si riferisce il Mahatma dalla nostra; Il dio di cui parla Gandhi non a niente a che fare con un dio-persona, un dio che crea. Questa concezione dualistica di un dio trascendente è estranea al pensiero orientale. Invece Gandhi dice: «Non riconosco altro Dio eccetto il Dio che si trova nei cuori delle moltitudini silenziose. Loro non riconoscono la sua presenza. Io sì. Venero quel Dio che è Verità o la Verità che è Dio attraverso il servizio di queste moltitudini»[8] E in un altro passaggio:
«Per potersi uniformare a una simile concezione religiosa bisogna dedicare tutto il proprio essere a servire e ad agire. Non si può attingere, realizzare la verità, senza immergersi, senza identificarsi con l’infinito oceano della vita. Non posso esimermi dal servire la società né potrei trovare la felicità in altro. E bisogna servire in ogni modo, in ogni forma. Nulla è troppo elevato, né troppo umile; tutto è uno e la molteplicità è un’apparenza»[9].
4) Gandhi è stato indubbiamente un leader anti-coloniale. In cosa consiste la sua critica al colonialismo? È qualcosa di piu’ ampio rispetto alla critica al dominio inglese?
Assolutamente si. Gandhi lo ha ribadito molte volte. La sua lotta non era contro gli inglesi ma contro il tipo di civiltà che gli inglesi avevano abbracciato e che portavano in India. Scrive Gandhi:«Non esiste una barriera invalicabile tra Oriente e Occidente tra uomo bianco e uomo giallo, piuttosto esiste una civiltà moderna che è completamente materialistica e per questo ha fatto perdere il senso del vero fine del vivere». Anche il suo giudizio sul cristianesimo è molto chiaro e nel 1920 scriveva: «La religione dell’Occidente, il cristianesimo, ha esaurito la sua funzione perché esso non ha il coraggio di combattere la violenza con l’amore. I valori etici del Cristianesimo sono diventati delle verità astratte che non hanno alcuna influenza sulla vita degli individui e tanto meno dei popoli»[10].
Il Mahatma tocca un secondo punto decisivo: «La civiltà moderna è una civiltà solo di nome, sotto la sua azione gli stati europei si stano degradando e rovinando giorno dopo giorno». E conclude: «Per coloro che ne sono intossicati, il solo dio è il denaro e desiderano trasformare il mondo intero in un enorme mercato per le loro merci»[11].- Parole davvero preveggenti se pensiamo che sono state pronunciate 100 anni fa.
Quando ancora si trovava in Sudafrica e difendeva come avvocato la comunità indiana contro i soprusi del governo coloniale inglese – Gandhi scrisse nel 1909 il suo primo libro – Hind Swaraj – dove sono condensate tutte le sue posizioni: fino alla fine, diceva che non c’era una sola riga che non avrebbe di nuovo sottoscritto[12]. E un testo straordinario riedito n italiano dal Centro Gandhi come Vi insegno i mali della civiltà moderna. La domanda veramente focale che Gandhi pone e con cui intitola il capitolo XII è la seguente: Cos’è dunque la vera civiltà? Possiamo considerare civiltà quanto più velocemente la gente si sposta, o come si veste?? E risponde: «La civiltà è quella forma di condotta che indica all’uomo il cammino del dovere e l’osservanza della moralità. Osservare la moralità significa ottenere la padronanza della nostra mente e delle nostre passioni. Se questa definizione è corretta allora l’India, come hanno dimostrato molti scrittori, non ha niente da imparare da nessuno[…].Ci accorgiamo che la nostra mente è un uccello irrequieto. Più ottiene, più vuole, più rimane comunque insoddisfatta. I nostri antenati perciò misero un limite alle nostre indulgenze. Essi videro che la felicità era in larga misura una condizione mentale. Un uomo non è necessariamente felice se ricco o infelice se è povero. Osservando tutto ciò i nostri antenati ci hanno dissuasi da lussurie e piaceri […] E qua Gandhi fa l’osservazione decisiva – Non si trattava di non sapere come inventare le macchine, ma i nostri padri sapevano che se avessimo dedicato i nostri cuori a tali cose, ne saremmo rimasti schiavi e avremmo perso la nostra fibra morale. Essi quindi dopo doverosa riflessione, decisero che avremmo fatto solo ciò che potevamo fare e con le nostre mani e piedi. Videro che la nostra vera felicità e il nostro benessere consistevano in un uso appropriato delle nostre mani e piedi. » [13].
Cadono così i presupposti stessi della supposta civiltà superiore o del Progresso. Sono temi che oggi sarebbe molto opportuno rimeditare a fondo.
Per tornare alla non violenza e alla forza della verità, il più grande studioso di induismo- a mio avviso – il tedesco Herich Zimmer ha sostenuto:«Il programma del satyagraha ( la forza della verità) costituisce un esperimento serio, moderno e potenzialmente molto potente dell’antica scienza indù per trascendere i poteri inferiori per entrare in quella dei poteri superiori. Gandhi fronteggiò la non sincerità (asatya) della Gran Bretagna con la sincerità (satya) dell’India, la politica britannica degli espedienti con il sacro dharma indù»[14].
5) L’economia deve essere per l’uomo e non deve essere l’uomo assoggettato all’economia. Come immaginava Gandhi l’economia e quale ruolo avevano le comunità? Autosufficienza e autoproduzione per uno stile di vita ecologico. Quale era il pensiero di Gandhi a riguardo?
Per Gandhi il lavoro deve essere fatto e costruito per nobilitare l’uomo. C’è una frase molto famosa di Gandhi degli anni ’40 che vale la pena di citare. “Mi oppongo alla “follia” della macchina, non alla macchina in quanto tale. La follia riguarda le cosiddette macchine risparmiatrici di lavoro. Gli uomini continuano a “risparmiare lavoro” fino a che migliaia di individui rimangono senza lavoro […] La macchina oggi serve soltanto a far salire i pochi sulla schiena delle moltitudini. L’impulso che sta dietro a tutto questo non è risparmiare lavoro per amore degli uomini, ma l’avidità. Combatto con tutta la mia forza contro questo stato di cose[15]. Oggi che un manciata di persone possiede la ricchezza di metà della popolazione mondiale, e visto l’inarrestabile incedere della robotica, la posizione di Gandhi risulta molto lungimirante. Essa è pienamente in sintonia con molti movimenti di ritorno alla natura, ambientalisti e ecologisti. Fritz Schumacher- l’economista europeo che più ha ripreso Gandhi, sosteneva nel 1975 che “se si considerano le persone più importanti dei beni, si tende a massimizzare il lavoro e non la produzione. L’obbiettivo, allora, diventa quello di offrire a tutti la possibilità di lavorare, sia per sviluppare così le proprie abilità, sia per superare il naturale egocentrismo lavorando con altri in vista di uno scopo comune, e, infine, per fornire anche i beni e i servizi necessari all’esistenza”[16]. Questo genere di economia è detto della permanenza e non della crescita. La visione di Gandhi era molto articolata e coerente se ci preoccupiamo di approfondirla, benché sia in completa antitesi al concetti dell’economia moderna. Il sistema sociale che il Mahatma auspicava all’indomani dell’Indipendenza dalla Gran Bretagna, era il Sarvodaya, letteralmente “il servizio di tutti”. Ogni individuo avrebbe dovuto agire esclusivamente al servizio di tutti gli altri esseri umani all’interno di piccole comunità locali, cioè preservando e sostenendo i 700.000 villaggi dell’India. Tale servizio sarebbe naturalmente confluito nel “bene comune”. Il “Servizio di tutti” funziona insieme agli altri tre pilastri: “forza della verità” (Satyagraha) ovvero non violenza nei confronti non solo degli altri uomini ma anche della natura e dell’ecosistema; “l’amore e la predilezione dei materiali locali e artigianato locale” (Swadeshi); ed “l’auto-governo o indipendenza” (Swaraj). Quest’ultimo, come abbiamo già visto, è prima di tutto la manifestazione del controllo (raj) di sé (swa) e delle proprie passioni egoiche, e solo allora può diventare autogoverno politico e indipendenza nazionale.
Tutto questo è esattamente il contrario della “scienza economica moderna”, secondo cui la società si basa sull’egoismo individuale e sul Homo homini lupus di Hobbes, cioè su una concezione dell’uomo essenzialmente predatoria e violenta. Come ha dimostrato anche Serge Latouche soprattutto nel suo L’Invenzione dell’economia, queste idee sono nate solo tra Settecento e Ottocento, compreso il concetto di individuo singolo che prima non esisteva[17]. In Europa tutto stava cambiando con l’avvento della scienza cartesiana-newtoniana. Il nome più famoso legato alla nascita della nuova “scienza economica” è quello dell’inglese Adam Smith[18]. Professore di giurisprudenzaa, «applicò i concetti newtoniani di equilibrio e di leggi di moto e li immortalò con la metafora della “mano invisibile” del mercato la quale, secondo lui, avrebbe guidato l’interesse egoistico di ogni imprenditore, produttore e consumatore dando luogo a quella che definì “l’ armonia naturale degli interessi”»[19]. Dunque un sistema composto da individualismi egoistici nella ricerca del proprio interesse egoico si sarebbe trasformato in un complesso armonico per tutti.”[20]. E’ una legge di cui oggi avvertiamo tutta l’infondatezza e il malriposto ottimismo. In quegli anni in Occidente si stava infatti compiendo un ribaltamento etico di portata epocale. I vizi privati, non furono più vizi, ma diventarono virtù che concorrevano alla ricchezza pubblica, così come evidenziato da Bernard de Mandeville nel suo La Favola delle Api: vizi privati e pubbliche virtù.[21] Se oggi ci troviamo di fronte alla a sfida più grande che l’umanità abbia mia affrontato- il collasso climatico- con l’abuso massiccio della terra, dobbiamo capire questa visione predominante che ci ha permesso e ha razionalizzato questo abuso”. [22]
Dovremmo renderci conto che la visione del mondo nondualista ha prodotto l’economia della permanenza mentre la visione materialista e riduzionista ha prodotto la scienza economica moderna, indipendente e separata da tutto il resto della vita, con il mito della crescita. Per questi motivi, Gandhi oggi è attualissimo. Le sue posizioni sono molto più sensate oggi per noi occidentali, che non 90-70 anni fa quando non avevamo ancora smaltito la sbornia per la scienza e la tecnologia e il miraggio di beni che avrebbero prodotto.
6) In tempi non sospetti, Gandhi aveva capito i pericoli moderni della pervasivita’ della società dei consumi e della produzione di cose futili. Cosa è la filosofia del limite e in cosa consiste?
Questo è un punto estremamente importante su cui occorre soffermarsi ( ho dedicato a questo tutto il IV Capitolo del mio libro) . Gandhi lo inquadra benissimo già dal suo libro del 1909 che abbiamo già citato. “La mente è un uccello irrequieto: più ha e più vuole avere e rimane comunque insoddisfatta. Più siamo indulgenti con le nostre passioni, più esse diventano sfrenate. I nostri antenati perciò misero un freno alle nostre indulgenza. Essi videro che la felicità era, in larga misura una condizione mentale. Un uomo non è necessariamente felice se ricco, o infelice se è povero .” scrive Gandhi[23].
Questo è un tema comune anche al buddismo. La Seconda Nobile Verità ci dice che la causa della sofferenza è il desiderio, il tendere a qualcosa fuori di noi. Infatti se partiamo dalla verità comune al pensiero orientale che tutto è impermalente e tutto è interrelato, la tendenza della mente umana a credere nelle parole e nei fenomeni molteplici, ci porta fuori strada. Quando il Buddha realizza che tutte le cose non hanno sostanza, ma passano e diventano qualcos’altro – realizza che la sofferenza sta proprio nel’attaccamento alle cose, nel desiderio di fermarle. Questo vale per le persone, gli stati anche sociali( sono ingegnere, sono banchiere, sono ricco) le proprietà ( ho una casa, una automobile) ma anche e soprattutto per il proprio ego, che come tutto il resto, non ha sostanza propria ma passa e va. Attaccarsi morbosamente alla propria sopravvivenza, è infatti considerato un grave offuscamento che ci impedisce di scorgere la nostra vera realtà.
Il pensiero moderno che nasce in Occidente, ha costruito invece quelle che io chiamo le Fabbriche dell’Ego. La società industriale , la società dei consumi, deve per necessità vedere quel che produce e per far questo deve fare la pubblicità. Il che vuol dire creare dei desideri che no esistono e con ciò seminare continuamente infelicità. Il principio del marketing e della pubblicità è infatti quello di “creare un bisogno che prima non c’era”.
Cartesio – il padre della filosofia moderna- stabilì la separazione tra ego e mondo esterno ( il dualismo cartesiano). Con una argomentazione che agli occhi orientali sarebbe apparsa come un errore madornale, ha giustificato ed esaltato l’ego. Ed è appunto questo ego che viene glorificato mediante il principio del marketing. Infatti, è proprio attraverso il fenomeno del desiderio che l’Ego si solidifica e si cristallizza, attraverso un processo continuo di insoddisfazione. Come già aveva previsto vari secoli fà Girolamo Savonarola, oggi ci troviamo immersi nella “ fiera delle vanità”. L’obiettivo è invece tacitare l’ego psicologico per raggiungere la nostra essenza silenziosa più profonda che coincide con l’essenza indivisa dell’universo. Si può chiamare atman nell’induismo, o anatta nel buddismo, ma l’obiettivo è il medesimo: orientare verso un livello molto alto di empatia con ogni essere vivente del passato, del presente e del futuro. “Io” sono un processo, contiguo ad altri processi – nelle menti, nei corpi e nella materia, ovunque, che mi condizionano e che io a mia volta condiziono. Ciò che importa è la relazione, quindi l’essenziale è lavorare per l’armonia del tutto. Il bambino deve essere alimentato dalla cura amorevole genitoriale, solo cosi quando sarà adulto può lavorare con generosità per il benessere degli altri e l’armonia del tutto.
Il sistema industriale, oltre alla visione predatoria e competitiva dell’uomo, implica invece che sia giusto e opportuno modificare la supposta la materia inerte esterna. Premessa questa che è stata del tutto screditata anche dalla fisica quantistica oltre che dalle filosofie orientali. Inoltre il sistema industriale non può sostenersi senza pubblicità. In sintesi, le fabbriche dell’ego e manipolazione della materia sono i due grandi errori della società moderna. Non c’è da stupirsi se il malessere sta aumentando esponenzialmente sia a livello ecologico, che sociale/esistenziale.
Come dice in un passo molto chiaro Gandhi,” La peculiarità dell’Induismo è l’unità di tutte le vite è ciò fa si che l’uomo non sia il signore della creazione. Quando parliamo di fratellanza degli uomini, pensiamo invece che tutte le altre vite siano li per essere sfruttate per scopi umani. Al contrario l’induismo esclude lo sfruttamento. Realizzare davvero l’unità con ogni forma di vita non è facile, ma l’immensità del nostro scopo pone dei limiti ai nostri bisogni. Come è palese, questo è il contrario della posizione della civiltà moderna che dice: “aumenta i tuoi bisogni”.[24]
Tu citi la filosofia del limite – oggi molto di moda – ma io non ritengo appropriata questa definizione. Perché il limite presuppone un io che deve limitarsi, mentre nella cultura indiana e in Gandhi l’obiettivo è sempre il superamento dell’ego, perché questo superamento è l’ unica fonte di vera felicità e vera libertà.
Per l’induismo e per Gandhi la strada è quella di “liberarsi da ogni sentimento inferiore cioè dall’attaccamento, dal desiderio-odio, dalla gelosia”[25], mentre come chiarisce F. Schumacher: « Alla base di ogni atteggiamento economico, ci sono l’ingordigia, l’avidità, l’invidia, la libidine del potere. Queste sono le cause reali della guerra ed è pura illusione cercare di porre le fondamenta della pace, senza prima rimuoverle. È doppiamente illusorio pensare di costruire la pace su basi economiche, perché queste a loro volta si fondano sul coltivare sistematicamente l’ingordigia e l’invidia che conducono gli uomini al conflitto».[26]
8) In India, Gandhi è considerato il Padre della Nazione. Credi che l’India contemporanea, con il nazionalismo di Modi e la crescita economica annua al 9%, abbia dimenticato i principi ispiratori del Mahatma?
Certamente si. Possiamo dire che già il suo discepolo J.Nerhu, Primo ministro indiano dal 1947, si allontanò dalle indicazioni economiche di Gandhi per seguire in buona parte un modello moderno sovietico. Dobbiamo però afferrare che la questione è più complessa e globale. Lo aveva capito benissimo Terzani che visse e studiò l’Asia per trenta anni, dal 1970 alla morte nel 2004. Aveva osservato « i missionari del materialismo e del benessere economico[…]. Uomini di affari, banchieri, esperti di organizzazioni internazionali, funzionari dell’ONU, tutti convinti profeti dello “sviluppo” ad ogni costo»[27]., “Uno dopo l’altro, i vari paesi dell’Asia hanno finito per liberarsi del gioco coloniale e mettere l’Occidente alla porta. Ma ora? L’Occidente rientra dalla finestra e conquista finalmente l’Asia non più impossessandosi dei suoi territori, bensì della sua anima. Lo fa ormai senza un piano, ma grazie ad un processo di avvelenamento contro cui nessuno ha trovato per ora un antidoto: l’idea di modernità. Abbiamo convinto gli asiatici che solo ad essere moderni si sopravvive e che l’unico modo di essere moderni è il nostro: il modo occidentale.[28]
E’ questo il processo della globalizzazione, che è stato così ben analizzato da Helena Norberg Hodge. Non si tratta affatto di una naturale evoluzione, come la narrazione storica ci vuole far credere. Piuttosto è la visione materialista che viene imposta attraverso le leggi di Deregolamentazione ( deregulation) approvate a livello internazionale e attraverso pressioni finanziarie. Questo insieme diabolico fa si che nessuno paese possa gestire autonomamente la propria sussistenza ed indipendenza – come voleva Gandhi.
9) Quale è il filo rosso che lega decrescita e nonviolenza nel pensiero di Gandhi?
Il movimento culturale della decrescita nasce intorno al 2002 come critica all’economia moderna e alla sua legge di fondo che è quella della crescita infinita( anche se viviamo in un pianeta finito). Come ha recentemente ribadito il suo massimo esponente, Serge Latouche, essa nasce come sintesi di due movimenti culturali: quello della critica dello sviluppo del cosiddetto terzo mondo e quello del pensiero ecologista.
Come spero di aver chiarito, Gandhi è uno dei massimi autori della critica allo sviluppo del Terzo mondo attraverso la sua critica acuminata della civiltà moderna portata dagli inglesi in India. Inoltre egli ha confutato – con ampiezza di argomenti -l’economia moderna. La sua è una economia della permanenza, basata sulle piccole comunità, inconciliabile con le idee di profitto individuale e di ritorno per gli azionisti insegnati oggi nelle università di economia. E veniamo infine al tema della nonviolenza – che Gandhi considerava la base stessa dell’induismo. Attraverso la lettura che ho cercato di proporre, si vede bene come la non violenza è la base stessa del pensiero ecologista. Essa nasce dalla certezza che tutto è uno e quindi non riguarda solo i rapporti tra uomini (tra diverse posizioni umane), ma concerne tutti gli ambiti: quindi rapporti con la natura, con gli animali, con tutti gli esseri senzienti, addirittura con i minerali e le altre sostanze inorganiche. Questa visione è la stessa di quella che oggi chiamiamo Ecologia Profonda. Non è un caso infatti che il vegetarianesimo sia da tempi immemori una dei pietre fondanti dell’induismo. L’importanza del cibo vegetariano, biologico, prodotto localmente (non importato da luoghi lontani) è centrale per Gandhi e in generale per l’induismo che ha dedicato ad esso una tradizione millenaria. La sacralità della vacca, chè è così radicata in India, lungi dall’essere qualcosa di primitivo, è il simbolo della profonda certezza nell’interconnessione del tutto, nell’unità e sacralità di tutto ciò che vive. Scrive Gandhi: ”Il fatto centrale dell’induismo è la protezione della vacca. Per me, esso è uno dei fenomeni più meravigliosi dell’evoluzione umana. Essa porta l’uomo oltre la propria specie. Godiamo della vista della vacca per realizzare la sua identità con tutto ciò che vive. Per me è ovvio il perché la vacca sia stata scelta come simbolo per antonomasia. In India la vacca era il migliore compagno di vita. Era la portatrice dell’abbondanza. Non solo ella dava il latte, ma rendeva possibile l’agricoltura. E’ la madre di milioni di indiani. La protezione della vacca significa la protezione dell’intera creazione silenziosa di dio”[29].
Credo che la lezione di Gandhi sia di vitale importanza oggi per i movimenti ecologisti, per Fridays for Future o Extintion Rebellion, per i pacifisti, e per i decrescenti o gli obiettori della crescita. Come ha ribadito Tiziano Terzani solo 20 anni fa, la non violenza di Gandhi è l’unica via di uscita ad una spirale di violenza che si è manifestata sempre di più negli ultimi 30 anni sia nelle guerre attuali, che nei confronti dell’Ecosfera con la drammatica crisi climatica.
In estrema sintesi, oggi dobbiamo capire che la pace e la non violenza sono possibili soltanto in un contesto non dominato dall’Economia Moderna, cioè in una visione del mondo non fondata sul dualismo (con i suoi corollari materialismo e meccanicismo)
[1] M.Gandhi, Antiche come le Montagne, Mondadori, 1987.
[2] M.Gandhi, Christian Mission 28 luglio1928. cfr il mio Madre Teresa e Gandhi, L’etica in Azione, Mimesis, 2016,p. 61sgg.
[3] Cfr. In particolare gli ultimi due capitoli di Lettere contro la guerra, Longanesi 2002 e i sei capitoli finali di La Fine è il mio Inizio, Longanesi 2006 sono dedicati all’approdo completo alla visione gandhiana. Cfr. Gloria Germani, Tiziano Terzani, la forza della verità, conclusione: “Dal Capitalismo a Gandhi”,Punto di Incontro, Vicenza, 2015
[4] M.K. Gandhi, Young India del 31 dicembre 1931.
[5] M.K. Gandhi, Gandhi commenta la Bhagavad Gita, Edizioni Mediterranee, 2012, p. 43.
[6] M. K. Gandhi, An autobiography or the history of my experiments with truth, trad. it. La mia vita per la libertà, Newton Compton, p. 453, e M. K. Gandhi, Teoria e pratica della non violenza, cit., 31.
[7] Gandhi, An autobiography or the history of my experiments with truth, trad. it. La mia vita per la libertà, Newton Compton, p. 453 e M.K. Gandhi, Teoria e pratica della non violenza, cit., p. 31.
[8] M.K. Gandhi, The Essence of Hinduism, p. 65 (Harijan, 11 marzo 1939).
[9] G. Borsa, Gandhi. La vita di un profeta del nostro tempo, Bompiani, 1983, cit., p. 193-4.
[10] M. K. Gandhi, Appeal to Lord Chelmsford, 20 marzo 1919 (da M. K. Gandhi, Speeches and Writings, An Omnibus Edition, Madras, Natesan, p. 467). Cfr. G. Borsa, Gandhi, la vita di un profeta del nostro tempo, Milano, Bompiani, 1983, p. 176.
[11] Gandhi, Vi spiego i mali della società moderna, cit., p. 50 e p. 57 (Corsivi miei).
[12] Cfr. R. Altieri, Hind Swarj compie cento anni, introduzione a M. K. Gandhi, Vi spiego i mali della società moderna, – Hind Swaraj, cit., p. 7.
[13] M.K. Gandhi, Vi spiego i mali della società moderna, cit., pp. 75-76 (Corsivi miei).
[14] H. Zimmer, Filosofie e religioni dell’India, cit., p. 155.
[15] M. K. Gandhi, Antiche come le montagne, (a cura di S. Radhakrishnam), Mondadori, 1987, p. 171.
[16] F. Schumacher, Piccolo è bello, Slow Food Edizioni, p. 61.
[17] S. Latouche, L’invenzione dell’economia, Bollati Boringhieri, 2010.
[18] Adam Smith con Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle Nazioni (1776) e David Ricardo con Princìpi di economia politica e dell’imposta (1817) in cinquanta anni dettero forma alla “Scienza economica”.
[19] F. Capra e U. Mattei, Ecologia del diritto, Aboca 2018, p. 114.
[20] Ivi, p. 115.
[21] S. Latouche, L’invenzione dell’economia, cit., capp. VIII e X.
[22] Cfr.D.Loy, Ecodharma, Insegnamenti buddisti per affrontare la crisi ecologica, Ubi, 20211, p.19.
[23] M.Gandhi, Vi spiego i mali della società moderna, cit. p. 75.
[24] M.Gandhi, Hinduism according to Gandhi, Orient Publishing, 2013, p.140
[25] M.Gandhi, Young India, 29 gennaio 1925, p.37.
[26] Ibid., p. 39.
[27] T. Terzani, Un indovino mi disse, Longanesi, 1995, p. 29.
[28] T.Terzani, Un indovino mi disse, p. 69.
[29] M.Gandhi, Hinduism according to Gandhi, Orient Publishing, 2013,p.17.n