di Mario Agostinelli, 24/8/21
Forse perché non tradotto in italiano e, quindi, più comodamente rimandabile alla nota stampa diffusa dall’IPCC e ripresa dalle agenzie, o anche perché comprensibilmente travolto dalla morte di Strada e dall’Afghanistan in pieno Ferragosto, il “Summary for Polcymakers”, uscito il 7 Agosto, è rimbalzato e scomparso nelle notizie sommarie e tutte uguali di media e quotidiani come un annuncio scontato e di normale consuetudine.
Politicamente, questa sottovalutazione non fa che aumentare il disagio per la fase politica in corso, ancora capace di usare una pienezza di linguaggio ed analisi per la geopolitica, ma inadatta a trattare la crisi drammatica della biosfera.
Qui di seguito provo a recuperare le incresciose lacune nell’informazione trasferita alle popolazioni e la sensazione pressante che il tempo venga a mancare, come traspare nelle oltre 40 pagine che ho provato a tradurre nella nostra lingua, (vedi allegato), in attesa che lo facessero doverosamente le istituzioni ed i ministeri insigniti di speciali attribuzioni.
LA SITUAZIONE AL 2020.
Vado per punti:
- Il contributo del Gruppo di lavoro al sesto rapporto di valutazione dell’IPCC sulla base delle scienze fisiche del cambiamento climatico, fornisce un riassunto della comprensione dello stato attuale del clima, compresi il modo in cui esso sta bruscamente cambiando e il ruolo che su di esso ha l’influenza umana, lo stato delle conoscenze sui possibili futuri climatici, le informazioni climatiche rilevanti per regioni e settori con un livello di confidenza sicuro. Qualsiasi tentativo di negazionismo è messo fuori gioco. Tra l’altro, è ormai accertato che il cambiamento climatico si sta spostando con sempre maggiore intensità verso i poli.
- Dal 2011 le concentrazioni nell’atmosfera hanno continuato ad aumentare, raggiungendo nel 2019 medie annue di 410 ppm per l’anidride carbonica (CO2), 1866 ppb per il metano (CH4) e 332 ppb per il protossido di azoto (N2O)
- Ciascuno degli ultimi quattro decenni è stato progressivamente più caldo di qualsiasi decennio che lo ha preceduto dal 1850. L’aumento stimato della temperatura superficiale globale è dovuto principalmente all’ulteriore riscaldamento dal 2003 al 2012 per arrivare nel 2019 fino a + 1, 07°C rispetto al 1850
- Le precipitazioni medie globali sulla terraferma sono aumentate dal 1950, con un tasso di aumento più rapido dagli anni ’80 e con maggior influenza tra i tropici e i poli. L’area mediterranea è tra le più colpite da eventi estremi.
- Il ritiro globale dei ghiacciai dagli anni ’90 e la diminuzione dell’area del ghiaccio marino artico tra il 1979-1988 e il 2010-2019 è in crescita costante (circa il 40% a settembre e circa il 10% a marzo dopo innevamento)
- Il livello medio globale del mare è aumentato da 1,9 mm /anno tra il 1971 e il 2006 ed è risultato in ulteriore aumento a 3,7 mm/ anno tra il 2006 e il 2018
- Il riscaldamento osservato è determinato dalle emissioni dovute alle attività umane: il riscaldamento dovuto ai gas serra registra una particolare e pesante “new entry”: Il metano.
- L’evidenza dei cambiamenti osservati come eventi estremi (ondate di calore, forti precipitazioni, siccità e cicloni tropicali) e, in particolare, la loro attribuzione all’influenza umana, si è rilevata ancor di più dal 2015 al 2020, aumentando il grado di siccità agricola ed ecologica e la violenza delle” bolle d’acqua”.
- il Mediterraneo si è trasformato in un grande punging ball climatico, in cui siamo “presi a pugni” una volta da sud e una volta da nord. Anticicloni che rimanevano stabilmente sul deserto del Sahara ora sempre più spesso invadono il Mediterraneo e l’Italia, portando temperature estreme molto elevate, che perdurano nel tempo. Inoltre, la fusione dei ghiacci al Polo Nord rende più frequente la discesa di aria fredda alle medie latitudini, rendendo probabili alluvioni lampo, chicchi di grandine di inusitata grandezza, venti estremamente forti e distruttivi.
- Il tasso di perdita della calotta glaciale è aumentato di un fattore quattro tra 1992-1999 e il 2010-2019, facendo prevedere un innalzamento medio del livello dei mari al 2100 da 0,40 a 1,00 m., a seconda degli scenari a minima o alta emissione (business as usual)
POSSIBILI SCENARI FUTURI
Il rapporto valuta la risposta climatica secondo cinque scenari che partono dal 2015 e includono a) emissioni di GHG elevate e molto elevate b) scenari con emissioni di CO2 che circa raddoppiano rispetto ai livelli attuali rispettivamente entro il 2100 e il 2050, c) scenari con emissioni di GHG intermedie, e) emissioni di CO2 che rimangono attorno ai livelli attuali fino alla metà del secolo, e d) scenari con emissioni di GHG molto basse e emissioni di CO2 che scendono a zero intorno o dopo il 2050. Occorre tenere conto che ogni emissione futura è aggiuntiva a quella che già registriamo ad oggi, data la saturazione degli oceani e dei “pozzi di carbonio” la lunga permanenza delle molecole climalteranti in atmosfera. Come risultato di proiezioni molto accurate si ha che:
La temperatura superficiale globale continuerà ad aumentare almeno fino alla metà del secolo in tutti gli scenari di emissioni considerati. Il riscaldamento globale di 1,5°C e 2°C sarà superato nel corso del 21° secolo, a meno che nei prossimi decenni non si verifichino profonde e straordinarie riduzioni delle emissioni di CO2 e di altri gas serra, metano in particolare. Nello scenario a più basse emissioni l’aumento sarà di 1, 8°C, da 2,1 a 3, 5 nello scenario intermedio, da 3,3 a 5, 7 nello scenario “business as usual”, che raggiungerebbe +1,5 °C già nel 2030-2040.
Va notato che molti cambiamenti nel sistema climatico diventano più bruschi in relazione diretta all’aumento del riscaldamento globale, come l’aumento della frequenza e dell’intensità delle temperature estreme, le ondate di calore marine e le forti precipitazioni, la siccità agricola ed ecologica in alcune regioni e la percentuale di cicloni tropicali intensi, nonché la riduzione del ghiaccio marino artico, del manto nevoso e del permafrost. Abituiamoci ad usare l’immagine di “cambiamento brusco”: gli eventi di precipitazioni giornaliere estreme si intensificheranno di circa il 7% per ogni 1°C di riscaldamento globale.
È comunque probabile che l’Artico sarà praticamente privo di ghiaccio marino a settembre almeno una volta prima del 2050 in tutti gli scenari esaminati.
Inoltre, nei cambiamenti previsti negli estremi (l’Italia ne è vicina) risulta una maggiore frequenza ed intensità ad ogni incremento aggiuntivo del riscaldamento globale.
Si prevede che il continuo riscaldamento globale intensificherà ulteriormente il ciclo globale dell’acqua, compresa la sua variabilità, le precipitazioni monsoniche globali e la gravità degli eventi umidi e secchi.
Oceani, calotte glaciali e foreste assorbono sempre meno climalteranti all’aumento della temperatura media terrestre.
I ghiacciai montani e polari sono destinati a continuare a sciogliersi per decenni o secoli (confidenza molto alta). La perdita di carbonio del permafrost a seguito del disgelo è irreversibile a scadenze centenarie (alta confidenza). La continua perdita di ghiaccio nel 21° secolo è virtualmente certa per la calotta glaciale della Groenlandia e assai probabile per la calotta glaciale antartica.
È certo che il livello medio globale del mare continuerà ad aumentare entro il 2100: di 0,28-0,55 m. nello scenario con emissioni di gas serra molto basse, di 0,32-0,62 m. nello scenario con emissioni di gas serra ridotte, di 0,44 -0,76 m. nello scenario delle emissioni intermedie, e di 0,63-1,01 m. nello scenario delle emissioni “business as usual”! L’innalzamento del livello medio globale del mare al di sopra dell’intervallo probabile – avvicinandosi a 2 metri entro il 2100 e 5 metri entro il 2150 in uno scenario di emissioni di gas serra molto elevate (SSP5-8.5) (business as usual) – non può essere escluso a causa della profonda incertezza nei processi della calotta glaciale.
VALUTAZIONE DEL RISCHIO E ADATTAMENTO LOCALE
Con l’ulteriore riscaldamento globale, si prevede che ogni regione sperimenterà sempre più cambiamenti simultanei e multipli oltre che diversificati nei fattori di impatto climatico. I cambiamenti in diversi fattori di impatto climatico sarebbero distintamente più diffusi a 2°C rispetto a 1,5°C di riscaldamento globale e ancora più diffusi e/o pronunciati per livelli di riscaldamento più elevati.
Con un riscaldamento globale di 2°C e oltre, l’entità della variazione dei periodi di siccità e delle precipitazioni abbondanti e medie aumentano rispetto a quelli a 1,5°C. Si prevede che le forti precipitazioni e gli eventi di inondazione associati diventeranno più intensi e frequenti nelle isole del Pacifico e in molte regioni del Nord America e dell’Europa (confidenza da media ad alta). Questi cambiamenti si riscontrano anche in alcune regioni dell’Australasia e del Centro e Sud America (confidenza media). Si prevede che diverse regioni dell’Africa, del Sud America e dell’Europa sperimenteranno un aumento della frequenza e/o della gravità delle siccità agricole ed ecologiche con un grado di confidenza medio-alto; aumenti sono previsti anche in Australasia, Centro e Nord America e Caraibi con grado di fiducia media. Si prevede che anche un piccolo numero di regioni in Africa, Australasia, Europa e Nord America sarà interessato da aumenti della siccità idrologica e diverse regioni saranno interessate da aumenti o diminuzioni della siccità meteorologica con più regioni che mostrano un aumento (confidenza media). Si prevede che le precipitazioni medie aumenteranno in tutte le regioni polari, dell’Europa settentrionale e del Nord America settentrionale, nella maggior parte delle regioni asiatiche e in due regioni del Sud America (confidenza alta).
L’innalzamento medio relativo del livello del mare a livello regionale continuerà per tutto il secolo in una misura per cui la costa globale avrà un aumento del livello del mare relativo regionale previsto entro ± 20% dell’aumento medio globale. Nelle città costiere, la combinazione di eventi estremi del livello del mare più frequenti (dovuti all’innalzamento del livello del mare e alle mareggiate) ed eventi estremi di precipitazioni/flusso fluviale renderà più probabili le inondazioni.
LIMITARE I FUTURI CAMBIAMENTI CLIMATICI
Dal punto di vista della scienza fisica, limitare il riscaldamento globale indotto dall’uomo a un livello specifico richiede di limitare le emissioni cumulative di CO2, raggiungendo almeno zero emissioni nette di CO2, insieme a forti riduzioni di altre emissioni di gas serra come il metano. Riduzioni forti, rapide e durature delle emissioni di CH4 limiterebbero anche l’effetto di riscaldamento derivante dalla diminuzione dell’inquinamento da aerosol e migliorerebbero la qualità dell’aria.
Esiste una relazione quasi lineare tra le emissioni cumulative di CO2 antropogeniche e il riscaldamento globale che provocano. Si stima che ogni 1000 GtCO2 di emissioni cumulative di CO2 provochi probabilmente un aumento della temperatura superficiale globale di 0,45° C.
Gli effetti sul mutamento naturale (biologico e genetico) permanente di un aumento di temperatura di 1°C sono già avvertibili nel tempo di massimo 20 anni
CONCLUSIONI
Il campanello d’allarme questa volta sembra suonare come definitivo.
La pandemia non è finita e altre catastrofi – come le guerre continue, la ripresa degli armamenti nucleari e le tragedie di Kabul e di Haiti occupano il nostro orizzonte.
Ma sarebbe folle allontanare nel tempo l’emergenza primaria del secolo, descritta in queste note. Alla fine di giugno e in agosto nel nordovest degli Stati Uniti e nel sudovest del Canada e nel Sud dell’Italia una bolla di calore – un fenomeno meteorologico nel quale l’alta pressione intrappola e comprime l’aria calda, facendo aumentare le temperature – ha fatto salire il termometro a quasi cinquanta gradi centigradi, rendendo Vancouver ed Enna più calde del Medio Oriente.
I cambiamenti climatici stanno “friggendo” l’emisfero nord, dalla Siberia al Polo.
La bolla di calore è un fenomeno locale, che può far drammaticamente toccare con mano a livello popolare il cambiamento in corso senza che venga oscurato e deviato dal negazionismo dei governi e del sistema capitalista che vuole continuare sulla stessa strada di depredazione della natura e di sfruttamento del lavoro. Occorre convincersi e convincere che eventi estremi sono il risultato sempre più frequente di una tendenza climatica globale che dipende dall’intervento umano sui cicli naturali. Una grande questione politica e sociale.
CHE FARE?
Prima di tutto rifiutare il luogo comune per cui, anziché una parte della natura la specie umana si crede il suo centro. Per combattere le crisi climatiche dovremmo cambiare il nostro modo di vivere: limitare l’individualismo, sviluppare nuove solidarietà e accettare il nostro modesto ruolo su questo pianeta consumando e producendo in armonia con i tempi ed i cicli della natura. E poi studiare, informarci, partecipare da cittadini e da lavoratori nel frenare consumi e produzioni incompatibili con la rigenerazione del pianeta.
Quando diciamo che l’aumento della temperatura dev’essere mantenuto sotto i 1,5°C, parliamo come se fossimo i supervisori della vita sulla Terra, non una specie tra le altre, ma, soprattutto, non ci battiamo urgentemente per il cambiamento climatico e l’ingiustizia sociale che dilagano. La rigenerazione del pianeta dipende da questo compito titanico. Se dobbiamo preoccuparci anche della vita dell’acqua e dell’aria, significa che finalmente sappiamo essere capaci di uscire da noi stessi e percepirci come un momento secondario della totalità della natura.
Tutte queste cose possono essere – e saranno – ottenute solo attraverso una cooperazione internazionale, il controllo sociale, la riconversione ecologica dell’agricoltura e dell’industria, la trasformazione delle nostre abitudini alimentari fondamentali, una sanità universale, che abbia cura degli scarti, anche umani.
Credo che il rapporto dell’IPCC illustrato e qui condensato per sommi capi, vada attentamente letto e metabolizzato attraverso comportamenti conseguenti.
Se dovessi trarne una indicazione per grandi linee e a titolo di una linea politico-sociale di massa, riassumerei così: lasciare già ora sottoterra i fossili, non cementificare o destinare ad uso umano ulteriori superfici del pianeta, bloccare l’acidificazione degli oceani, rinvigorire le foreste e ogni spazio verde riguadagnato alla vita, ridurre l’orario di lavoro per guadagnare tempo di cura, di partecipazione democratica, di conoscenza e studio e di socialità in comune. Ciò comporta un profondo mutamento anche individuale negli stili di vita e consumo. Ma i tempi contano: non può essere più il 2030 o il 2050 il punto di riferimento per gli obbiettivi che ci diamo: convinciamoci a spostare le nostre scadenze e gli obbiettivi di radicale cambiamento al 2025, altrimenti la misura sarà incolmabile.