Pubblichiamo due articoli su dei temi per noi un pò nuovi (come transessualismo, transumanesimo, eugenetica et similia), che non riflettono le posizioni dell’associazione ma mirano ad avviare un confronto che riteniamo importante. Si tratta di un’intervista a Dany-Robert Dufour pubblicata da La Décroissance e di un intervento di Vincent Cheynet (fondatore e caporedattore della stessa rivista) ad un convegno di luglio 2023.
Il regno del mercato totale – Intervista a Dany-Robert Dufour da La Décroissance
Ritenete che il sesso sia una realtà biologica e che non si possa cambiare il proprio corpo a piacimento? Allora siete sicuramente dei reazionari e rischiate di essere banditi dal campo dei progressisti. Costoro, perfetti utili-idioti del capitale, non hanno capito che la richiesta che il mercato e la tecnologia, chiamate a soddisfare ogni desiderio individuale, si assumano una responsabilità sempre maggiore, fa il gioco di un «capitalismo libidinale», sempre più radicale. È questo il messaggio del filosofo Dany-Robert Dufour nel suo nuovo libro “Le Phénomene trans” (Il fenomeno trans) – Editore Le Cherche Midi – 2023.
La Décroissance: ciò che lei nel suo libro nomina «il fenomeno trans» per lei non è altro che «una delle ulteriori opzioni nel catalogo liberale». Da vent’anni a questa parte, noi mandiamo alle stampe la rivista “La Décroissance” per ricordare che non può esserci una crescita infinita. L’ideologia trans è frutto della stessa matrice dell’ideologia della crescita: il regno dell’illimitato in tutti i settori?
Dany-Robert Dufour: sì, transessualismo (o transumanesimo) e crescita infinita fanno parte della stessa lotta. Infatti, queste ideologie ignorano il limite. Esse sono vittime della hybris, la dismisura. Eppure, lo sappiamo, di questo rischio eravamo stati avvertiti sin dall’inizio della nostra civilizzazione: i greci dicevano che colui che è vittima della hybris e infrange il limite va incontro alla nemesi, il castigo. Il castigo della crescita infinita sono gli squilibri ambientali che minacciano la vita sulla terra. Quanto ai castighi che si abbattono sull’attivismo trans, possiamo menzionare gli squilibri psichici, giuridici e sociali che scaturiscono dall’affermazione grottesca per cui un uomo può essere una donna (o viceversa).
La D.: Lo psicanalista Jean-Pierre Winter osserva che «tutto funziona come se la fantasia fosse la fonte della legge». Infatti, al di là dei singoli casi individuali, non è la società nel suo complesso che ondeggia nel regno della fantasia?
D.-R. D.: Sì, nel nostro caso, si tratta di una fantasia di onnipotenza. Infatti, gli attivisti trans affermano che si può scegliere il proprio sesso – quando nella realtà è impossibile. Tuttavia, questa scelta è oggi avallata dalla legge. Siamo passati nel giro di qualche anno dall’idea che un individuo potesse esibire dei tratti sociali dell’altro sesso (ciò è sempre esistito in ogni tempo) all’affermazione che esso potesse assumere l’altro sesso. Un grosso sbaglio. Infatti, non è per il semplice fatto che appaio come una persona dell’altro sesso che sono dell’altro sesso. A meno di sostituire l’apparenza all’essere. In questo caso, ci si ritrova nel pieno di una fantasia, una parola di origine greca che condivide la stessa radice di “fantasma”.
La D.: Questa rivista festeggia l’uscita del nostro duecentesimo numero, ma questa festa ha un retrogusto amaro poiché abbiamo l’impressione di assistere ad una disgregazione continua della situazione. Bisogna prendere la situazione per quello che è per non correre, anche noi, il rischio di vivere cullandoci nelle nostre fantasie?
D.-R. D.: Sì, con tutta evidenza assistiamo ad un peggioramento della situazione. È per questo che occorre rimanere vigili. Ne va della nostra integrità intellettuale che consiste proprio a non cadere nel regno della fantasia. Un po’ di latino, questa volta, per dire come «vigile» derivi da «vigilare», «vegliare», da cui la parola «vigilante», la vedetta, incaricata di osservare dall’alto il profilo dell’orizzonte e di fare dei segnali. È il nostro compito: scrutare e analizzare tutto ciò che ci viene incontro – anche se nulla garantisce che saremo ascoltati.
La D.: Allo stesso modo dell’ex Femen Marguerite Stern, richiamando la realtà, ossia al fatto che essere una donna è una realtà biologica, lei è stato invitato soprattutto dai media di destra, e allo stesso tempo messo da parte da quelli di sinistra. Come sfuggire a questa trappola?
D.-R. D.: Le ricordo che per molto tempo non sono stato invitato né dai media di sinistra (che mi consideravano un neo-reazionario) né da quelli di destra (che mi consideravano un rivoluzionario). Non sono solo in questa situazione. Con la stampa del mio ultimo libro “Le Phénomene trans” (Il fenomeno trans) le cose sono un po’ cambiate. Infatti, la stampa di destra ha visto nel mio saggio un buono strumento per stuzzicare la sinistra. Ho accettato di rispondere agli inviti, ma mi sono imposto di non dissimulare le mie posizioni, in particolare mettendo in evidenza le responsabilità del Mercato nelle derive trans attuali. Il quotidiano Le Figaro ha colto nel segno perché ha pubblicato, nell’edizione di sabato 8 aprile scorso, la lunga intervista che mi ha fatto intitolandola: «La sinistra contro il movimento trans». Del resto, se questo la può rassicurare, il libro ha ricevuto una buona recensione anche nel giornale «L’Humanité». A dire il vero, ci ritroviamo in una confusione tale che la stampa di sinistra difende, salvo rare eccezioni, un neoliberalismo culturale, ciò a cui si oppone la stampa di destra, che tuttavia difende allo stesso tempo un liberalismo economico. Jean-Claude Michéa ha descritto con precisione questa ripartizione dei compiti. In sintesi, viviamo tempi molto confusi: gli uomini sono donne e la sinistra è di destra… Certo, se la stampa autenticamente critica (come la vostra) fosse più sviluppata, non dovrei guardarmi intorno. Ma siccome questa stampa non ha, per definizione, i mezzi della stampa per così dire “ufficiale”, mi sembrava una buona strategia usufruire della stampa di destra per denunciare il neoliberalismo culturale della sinistra. Non sarebbe così se la sinistra facesse il suo mestiere. In realtà siamo lontani dall’obiettivo. Essa non ha capito che con il neoliberalismo e il regno del Mercato Totale (che giunge fino all’intimità) siamo passati, già da trent’anni, dal vecchio capitalismo patriarcale ad un nuovo capitalismo libidinale. Insomma, la sinistra non ha fatto il mestiere di vedetta di cui accennavo sopra per avvertire le persone assennate riguardo a ciò che stava per arrivare. Peggio ancora: questa sinistra si è fatta rifilare il suo attuale “software woke” dal neoliberismo culturale americano (i GAFAM della Silicon Valley, insieme a Hollywood, alla Disney e a Netflix…) senza nemmeno accorgersene!
La D.: Alcune parole come la «mascolinità tossica» o ancora «l’androcene» sono apparse in questi ultimi anni, additando il maschio come la causa primaria di tutte le crisi. Tuttavia, la funzione del padre, oggi così vituperata, è di separare il bambino dalla madre.Questa colpevolizzazione dell’uomo nella sua virilità, squalificandolodal ruolo di figura di riferimento per i ragazzi di oggi, non è a sua volta una causa principale del «fenomeno trans» e un imperativo delcapitalismo liberale?
D.-R. D.: Esatto. Lacan ha sottolineato, durante le sue giornate di studio sulle psicosi dell’età infantile, negli anni intorno al 1968, che il declino della funzione paterna avrebbe portato all’avvento degli «eterni bambini». L’eterno bambino è la persona bloccata in un’infanzia prolungata. Una creatura senza il senso del limite, abbandonata a se stessa, che in apparenza sembra gioire di un’onnipotenza, la quale, in realtà, la devasta. Una manna dal cielo per il Mercato che promette la soddisfazione delle pulsioni a questi eterni bambini, sempre bisognosi, grazie al consumo di prodotti della società di massa, di fantasticherie su misura offerte dall’industria culturale. Attualmente, la cultura “woke”, proveniente dagli Stati Uniti, non ha fatto altro che aggravare la situazione. Il “woke” è in effetti quel nuovo eterno bambino che si caratterizza dal fatto di qualificarsi con uno status di vittima del «vecchio uomo bianco occidentale» (chiara raffigurazione del Padre). Uno status dopotutto confortevole poiché consiste in una volontà di onnipotenza con le fattezze di una legittima richiesta di risarcimento senza fine e di soddisfazione di ogni richiesta. «Sono vittima (del Padre), perciò tutto mi è dovuto». In tal modo questi rappresentanti della cultura “woke” si presentano con sembianze contraddittorie: se da un lato predicano la tolleranza compassionevole che si addice allo status di vittima, dall’altro non esitano a «cancellare» violentemente tutto ciò che si oppone alle loro idee; si occupano di politica, ma operano attraverso la modalità vittimistica della minoranza (sessuale, etnica… ) che fa leva sulla propria sofferenza per imporre le visioni morali proprie di tale minoranza; investono sulla cultura, ma lo fanno provocando un separatismo culturale – un Bianco non potrà mai criticare l’opera di un Nero, un attore etero non potrà mai interpretare il ruolo di un omosessuale, una donna non deve leggere il romanzo di un uomo; il passato dovrà essere rivisto e corretto in funzione dei loro valori «morali»… Il risultato finale sono campagne di virtù che chiedono una revisione completa delle leggi e del linguaggio comune per poter includere i loro infiniti elenchi di «diritti particolari». Queste campagne fanno largo uso sulle reti cosiddette sociali che riuniscono, secondo la dinamica del mimetismo, coloro che esibiscono lo stesso tratto caratteristico: «sono vegano», «sono trans», «sono nero», «sono omosessuale», «sono donna», etc. Il grande sconfitto è l’universalismo (repubblicano) che pose dei valori comuni per i quali valeva la pena battersi come, ad esempio «libertà, uguaglianza, fraternità». E il grande vincitore, è la ghettizzazione democratica, con l’apparizione di gruppi identitari, ognuno dei quali accampato sulla propria pretesa di superiorità morale, in guerra permanente contro gli altri.
La D.: In conclusione, la risposta alla nostra crisi di civiltà si risolve forse semplicemente in questo proverbio: è meglio la privazione piuttosto che il vizio?
D.-R. D.: Sì, con la precisazione che non amo molto il termine «privazione». Mi permetta un esempio per spiegare il motivo. Se io, genitore, impedisco a mio figlio di passare delle ore con dei videogiochi idioti e compulsivi, non è per privarlo di qualcosa, ma, al contrario, affinché sia capace di desiderare, affinché abbia il tempo e gli strumenti per esercitare una volontà propria. Lo stesso vale a livello di civiltà: se è vero che occorre finirla col viziare gli individui attraverso la crescita continua, è per dare loro il tempo e gli strumenti per capire in quale mondo precisamente vogliono vivere.
Pubblicato su La Décroissance, numero 200, luglio 2023: www.ladecroissance.net; www.casseursdepub.org
Pubblicato anche su www.resistenzealnanomondo.org con il pdf dell’intervista in francese
Homo Deus, l’umano il cui cervello è un computer fatto di carne. Intervento di Vincent Cheynet alle Tre giornate contro le tecno-scienze, Luglio 2023
Cosa si nasconde dietro l’eugenetica, la tecno-mercificazione della riproduzione e il suo Mondo nuovo (Brave New World)? Esiste una matrice del “fenomeno trans”, transumanesimo, transessualismo? Perché l’ecologia istituzionale è diventata la punta di diamante di questi movimenti? Mentre il movimento per la decrescita era fino a quel momento persona non grata nei mass media, i «degrowth studies» (Timothée Parrique & Co), la decrescita nucleocratica del politecnico francese Jean-Marc Jancovici o la versione della decrescita «Great Reset» di Klaus Schwab, improvvisamente hanno avuto accesso al discorso pubblico. Per il «papa della decrescita» Serge Latouche, la ragione di quest’ultima era la liberazione dall’economizzazione del mondo. Dopo aver recuperato l’ecologia, il capitalismo liberale attacca la decrescita: si tratta di ribaltarla per metterla al servizio del regno del quantificabile. Anche nel mondo militante, questa prospettiva di decrescita allevia evitando domande che infastidiscono e suscitano il sospetto di reazione. Come evitare il sovvertimento della natura sovversiva del nostro impegno?
«Quando sento la parola specialista, tiro fuori il mio revolver. Se lo specialista è eminente, sparo» Pierre Fournier (1937-1973), fondatore di La Gueule ouverte
Silvia mi ha chiesto di intervenire in modo specifico sul tema dell’eugenetica. Non sono uno specialista in materia, ma vorrei portare qui la nostra riflessione a monte, rimbalzando poi sull’attualità della decrescita in Francia. Come lo vedrete, tutto questo è legato.
Sulle pagine della rivista francese che dirigo, «La Décroissance», nel numero 200, giugno 2023, il filosofo Dany-Robert Dufour ha detto, a proposito del fenomeno del transessualismo, che è soltanto, cito: «un’opzione di più nel catalogo liberale». Allo stesso modo del transumanesimo e dell’eugenetica, per esempio. Pertanto, piuttosto che catalogare all’infinito le conseguenze del liberalismo, penso che la chiave sia comprenderne la matrice. Perché non credo a una teoria del complotto.
D’altra parte, penso che stiamo assistendo al compimento della logica del capitale, descritta da Marx, unita a quella della tecnica, analizzata da Jacques Ellul. Man mano che il capitale e la tecnologia aumentano la loro presa sul mondo, dettano la loro politica all’umanità.
Cosa hanno in comune? Il capitale e la tecnica obbediscono alla logica delle cifre, del quantificabile. Come nel caso di un computer, la loro lingua è basata su 1 e O; nient’altro. Ora: cos’è l’umano?
A dicembre ho avuto il piacere di venire a Bergamo, su invito di Silvia e Costantino, a parlare del gigante pioniere della decrescita Bernard Charbonneau. Ho ripetuto, anche a rischio di tediare i miei ascoltatori, questa frase di Bernard Charbonneau, che è al centro del suo lavoro: «Viviamo in un Universo fratturato, il che è tutt’altro che confortevole; eppure è attraverso questa fessura che si diffonde il respiro della vita e della libertà.»
È un pensiero un po’ astratto, ma penso che sia fondamentale per capire il resto. Essere umani significa integrare che c’è qualcosa fra l’uno e lo zero. Qualcosa che non sapremo mai perfettamente: un mistero, un vuoto, una mancanza. La psicoanalisi ci insegna che siamo tutti costruiti su un difetto. Questo mistero, questo buco (vuoto), questa mancanza, questo difetto… è proprio questo che il capitale e la tecnologia vogliono riempire e cancellare.
In Francia abbiamo dei tecno-profeti del transumanesimo. Penso che in Italia sia lo stesso. Uno dei più famosi è il dottor Laurent Alexandre. Ha ripreso una vecchia formula che riassume bene questa concezione della condizione umana: « Il cervello è un computer fatto di carne. »
Capitale e Tecnica ci conducono in un mondo senza alterità, senza immateriale, senza inquantificabile , senza soggettività, quindi senza libertà. Libertà non in senso liberale, cioè quella che «consiste nel fare tutto ciò che non nuoce agli altri». Libertà nel senso di libertà di coscienza, cioè di discernere tra il bene e il male, il vero e il falso, il bello e il brutto.
Per il capitale e la tecnologia, l’unico criterio è l’efficienza. Ed è da questa concezione della condizione umana che si dispiegano tutte le “opzioni del liberalismo”. Ad esempio, se voglio: trasformare un medico in un assassino per porre fine alla mia vita, comprare un bambino partorito su commissione da una madre ucraina o russa, selezionare gli embrioni per avere il bambino più bello e forte possibile, eccetera, in un mondo governato dalla logica utilitaristica, cognitivista, funzionalista, nessuna barriera morale può, o deve, ostacolare i miei desideri.
Pretendendo di gestire l’umanità in modo scientifico, un certo ambientalismo si trova in prima linea nel programma liberale. Solo un esempio: durante le ultime elezioni presidenziali francesi, il rappresentante del maggior partito ecologista francese – Europe Écologie-Les Verts – aveva messo “PMA pour tout.e ” (Riproduzione Assistita per tutte.i) in cima al suo programma. Ecco l’ecologia istituzionale che è diventata la punta di diamante della costruzione del Brave New World descritta da Aldous Huxley.
Cito ancora Bernard Charbonneau, che mezzo secolo fa avvertiva: «Da allora, l’aumento degli effetti nocivi dello sviluppo economico ha generato il “movimento ecologista”. Ma anche questo rischia di essere corrotto dal sistema scientifico e industriale. (…) Se la nostra specie sceglierà la sopravvivenza, sarà la scienza, seguendo il MIT [Massachusetts Institute of Technology- Bernard Charbonneau parlava qua del rapporto del Club di Roma di 1972], a fissare i limiti da non oltrepassare, la natura dei mali ei loro rimedi. Non spetta a un popolo ignorante dire in che modo l’ozono è minacciato, né come può essere conservato. E toccherà allo Stato, alle sue leggi e alla sua polizia imporre le necessarie restrizioni e costrizioni. Gli ecologisti saranno riciclati in due settori: la tecnocrazia e lo spettacolo mediatizzato, che permette di interiorizzare la privazione della natura e della libertà. Si insedieranno nei laboratori e nei ministeri, il risparmio energetico, la salvaguardia dei grandi rischi, la gestione delle riserve dove ciò che resta della natura viene messo sotto vetro. In TV mostreranno il suo riflesso. Contribuiranno così a salvare la Terra e la specie umana sacrificandone la libertà.»
Volevo venire qui anche per parlare di ciò che sta succedendo in Francia intorno alla decrescita e al suo significato. Perché crediamo che influisca anche sul nostro movimento. Anzitutto: da dove viene questo pensiero?
Il suo “papa” francese, l’economista Serge Latouche, ha posto al centro del suo pensiero il rifiuto dell’economicizzazione del mondo. Cos’è l’economicizzazione? Una parola sapiente per rifiutare il regno della quantità, cioè la riduzione dell’essere umano alla sua dimensione economica: un produttore-consumatore la cui realizzazione si misura con il metro dell’aumento del PIL, del Prodotto Interno Lordo, della crescita.
Kalle Lasn, il fondatore di Adbusters , il giornale nordamericano da cui il nostro giornale si è ispirato quando è stato creato, ha questa formula provocatoria: «Dobbiamo uccidere gli economisti.» Tranquilli, aggiunge: «Metaforicamente, è ovvio.» Tuttavia, dobbiamo prima uccidere il piccolo economista che c’è in ognuno di noi, o almeno rimetterlo al posto che gli spetta: importante, ma secondario.
Maestro nell’arte della denaturazione e del recupero, il capitalismo produrrà un discorso da divulgare attraverso i suoi messaggeri, per sovvertire ciò che è sovversivo nella decrescita. Si tratta di immergere la decrescita nel grande bagno del quantificabile, per restituirla come suo miglior argomento per la difesa dello status quo. I «degrowth studies», letteralmente «gli studi sulla decrescita», di recente apparizione negli ambienti universitari, sono lo strumento di questa impresa.
Serge Latouche spiega: « Da questa notorietà, la decrescita è entrata nell’Università sotto il suo nome transnazionale di degrowth ed è stata oggetto di tesi accademiche. Alcuni economisti ossessivi che vogliono riciclarsi nella decrescita hanno cercato di offrire bellissimi modelli econometrici di articolazione tra l’economia capitalista/produttivista in regressione e l’antieconomia conviviale in espansione. La radicalità del progetto originario perde così gran parte del suo potenziale di incitamento alla militanza, a favore di ambizioni carrieriste. »
Peggio, i degrowth studies prendono regolarmente come modello da replicare le politiche liberticide covidiste, questo movimento avalla e teorizza il tecno-totalitarismo contro il quale i precursori della decrescita ci hanno costantemente messo in guardia. «C’è bisogno di un nuovo confinamento, questa volta climatico» spiega uno dei suoi agenti.
Se la decrescita è stata derisa e ostracizzata dai media mainstream per 20 anni, essi hanno dedicato ai degrowth studies una calorosa accoglienza oltre che un’immediata visibilità, e questo è abbastanza logico.
Il 15 maggio, in occasione del lancio di una conferenza al Parlamento europeo dal titolo «Oltre la crescita», Ursula von der Leyen ha proclamato con entusiasmo: «Un modello di crescita incentrato sui combustibili fossili è semplicemente obsoleto». I promotori dei degrowth studies, accorsi a Strasburgo per assistere al riconoscimento istituzionale delle loro tesi, applaudirono selvaggiamente la signora Pfizer-Nato. Questo dovrebbe dare spunti di riflessione.
Dovremmo quindi abbandonare la parola decrescita? Ovviamente no; così facendo sarebbe la loro più grande vittoria. Il problema è sempre lo stesso: quello della definizione che le diamo. Sta a noi difendere la nostra.
Vincent Cheynet, Alessandria, 29 luglio 2023
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