Di The EmboDegrowth Lab, 8/7/22. Traduzione di Corrado Campobasso del Gruppo Internazionale Decrescita. Titolo originale: Embodying degrowth and turning the movement inside out
Il “crescitismo” è al centro della modernità capitalista. La crescita non solo sta distruggendo il pianeta, ma ci sta anche facendo ammalare. Molti di noi vivono nella società del burnout, una società alimentata dai combustibili fossili che ci allontana gli uni dagli altri e dalle connessioni più profonde con la natura ed il cosmo. Molti di noi hanno anche inconsciamente interiorizzato l’ideologia della crescita che ci dice che “di più è meglio”. Siamo plasmati da istituzioni capitalistiche, come il lavoro salariato e il modello industriale di scolarizzazione, le quali corrompono i nostri desideri e ci rendono “individui da risultato”.
Ma il crescitismo non interessa solo il settore delle imprese. È profondamente radicato anche in luoghi come il mondo accademico, con le sue metriche della crescita come i fattori di impatto, la pressione sulle pubblicazioni e le gare di finanziamento. Molti di noi non hanno avuto altra scelta che seguire l’imperativo della crescita. Ma questa non è l’unica storia possibile. Dobbiamo cercare di riconoscere e amplificare le pratiche basate sui valori della post-crescita per organizzare le società in modo diverso, imparando, tra gli altri, da psicoanalisti, filosofi, attivisti, persone di fede, guaritori, antropologi della scienza ed abolizionisti.
Dalla transizione alla trasformazione
Il linguaggio della “transizione decrescente” è utile per mobilitare le persone e i collettivi di appartenenza intorno ad obiettivi politici, ma rimanda ad un’immagine di attori politici esperti che ci “faranno transitare” da uno stato all’altro. In questo articolo si propone una teoria alternativa del cambiamento che mira a una “trasformazione decrescente”, ovvero a cambiamenti più profondi nell’ideologia e nelle pratiche quotidiane. Non sarà sufficiente concentrarsi esclusivamente sul cambiamento delle politiche e delle istituzioni; è essenziale incarnare la transizione e i suoi significati più profondi anche a livello personale. Con questo intendiamo dire che le idee trasformative originano e vengono messe in atto da/attraverso i nostri corpi, nei loro molteplici strati e relazioni con gli altri.
I movimenti e gli autori contemporanei della decrescita hanno enfatizzato il cambiamento dei sistemi concentrandosi soprattutto sulla modifica dei rapporti di produzione o sulla riduzione dell’utilizzo delle risorse. In questa sede si sostiene che, affinché si affermi una trasformazione decrescente, lo smantellamento di questi sistemi e la comparsa di alternative di rigenerazione necessitano anche di un lavoro interiore, interpersonale e transpersonale. Prendendo spunto da visionari della giustizia trasformativa come Adrienne Maree Brown e Mia Herndon, sosteniamo che questa “strategia emergente” biomimetica sia il fondamento per una politica radicale che rimanga rigenerativa nel tempo.
Dalla parola all’incarnazione
A un certo livello, “incarnare la decrescita” significa semplicemente attuare il cambiamento nelle nostre pratiche e attività quotidiane. Ci sono molti modi in cui possiamo integrare le “pratiche comuni di cura” nella nostra vita quotidiana, come la gestione collettiva di bisogni essenziali come il cibo, l’energia, la casa e l’assistenza. In questo caso, l’incarnazione della decrescita è un modo per colmare il divario temporale tra le visioni a lungo termine del cambiamento strutturale e l’azione prefigurativa “qui e ora”. Le domande importanti diventano: cosa vogliamo incarnare quotidianamente e nel nostro attivismo? Incarniamo (inconsciamente) una mentalità produttivista o cerchiamo (consapevolmente) di allineare il nostro essere e le nostre azioni al futuro che vogliamo costruire? Il nostro attivismo si concentra su critiche teoriche e sulle politiche statali in modo puramente intellettuale, o cerchiamo di percorrere concretamente la via indicata a parole, attraverso attività quotidiane incarnate?
Già da tempo le studiose femministe hanno messo in discussione la distinzione tra politico e personale, sottolineando che le soggettività sono sempre costruite anche da strutture sociali e ideologie oggettive. I confini sfumati tra “soggettività” e “oggettività” hanno portato la filosofa della scienza americana Donna Haraway a sviluppare un’epistemologia femminista che enfatizza la natura incarnata e situata (contestuale) di tutta la conoscenza, in opposizione allo “sguardo conquistatore dal nulla” della cosiddetta scienza oggettiva. L’oggettività incarnata e situata (contestuale) diventa un antidoto salutare contro le narrazioni universalistiche e disincarnate di gran parte dell’economia, soprattutto quando quest’ultima promuove il produttivismo e la crescita come strada maestra per la felicità.
Dalla cura alla guarigione – suggerimenti lungo il percorso
A un altro livello, “incarnare la decrescita” significa curare molteplici forme di alienazione per consentire cambiamenti più ampi e profondi. Alienazione si riferisce all’esperienza di essere tagliati fuori dai nostri corpi, dalle nostre anime, dal nostro “essere specie” (per usare il termine di Marx), così come dagli altri, dalle ecologie e dai mondi più che umani.
L’ecopsicologo americano Theodore Roszak ha sostenuto che la guarigione personale, sociale ed ecologica vanno sempre di pari passo. Roszak ha osservato che il ruolo dello psicoterapeuta dovrebbe essere principalmente “quello di sollevare domande sul nostro standard [sociale] di sanità mentale”; si tratta di un ruolo estremamente importante, ha aggiunto, “sia per ciò che potrebbe contribuire a sminuire (pressioni carrieristiche, denaro e status) sia per ciò che potrebbe enfatizzare (il nostro persistente bisogno di natura selvaggia, tranquillità o compagni animali)”. Per lui, sia i terapeuti che gli ecologisti “ci offrono un’agenda politica comune per il bene del pianeta, per il bene della persona. È semplicemente dichiarato: Ridurre. Rallentare. Democratizzare. Decentrare” (ibidem). Questo, in sintesi, è il progetto della decrescita.
Tornando al corpo, vorremmo ricordare l’austriaco Wilhelm Reich (1897-1957, terapista corporeo marxista che ha collegato il corpo e la politica radicale in modi che sono ancora attuali. Egli sosteneva che la vera emancipazione può avvenire solo attraverso la liberazione corporea e politico-economica, perché i sistemi oppressivi come il patriarcato e il trauma somatizzato tendono a rafforzarsi a vicenda. Il suo lavoro ha dei paralleli con le opere delle femministe nere e con il movimento Embodied Social Justice, che fonde la somatica con l’attivismo esplorando l’intersezione tra oppressione e incarnazione.
Oggi, il filosofo tedesco Hartmut Rosa riprende alcuni aspetti di questa tradizione ponendo il corpo al centro della teoria critica e in dialogo con la decrescita. Rosa ha avanzato l’esperienza della “risonanza” come un modo de-alienato di incontrare il mondo, cioè le persone, le cose, la natura e la vita in quanto tale. La risonanza ha una qualità fisica (“vibrazioni”) e coinvolge il corpo, il cuore e la mente. Per lui, la dipendenza dalla crescita del capitalismo ostacola la risonanza generando un’accelerazione costante e un esaurimento cronico. Al contrario, i valori della decrescita, come la lentezza, la convivialità e la semplicità, potrebbero facilitare e catalizzare il fiorire della risonanza.
Il lavoro dello scrittore ed attivista americano Charles Eisenstein fa eco agli sforzi di Rosa. Esponendo i modi in cui siamo intimamente interconnessi, Eisenstein propone una teoria alternativa del cambiamento in cui piccoli atti di gentilezza, coraggio e fiducia in sé stessi sono in grado di spostare la narrazione di fondo della cultura da una visione del mondo “di separazione” verso ciò che egli chiama “inter-essere“. Questa enfasi sull’interdipendenza è un filone che attraversa molte pratiche e tradizioni spirituali, tra cui, solo per citarne una, il “buddismo impegnato” del monaco vietnamita e attivista per la pace Thich Nhat Hanh.
Il dialogo continua
Valorizzare il potenziale delle pratiche quotidiane non significa screditare l’importanza dell’azione collettiva tradizionale o il potere trasformativo di sentimenti negativi come la rabbia o la rivolta. Significa riconoscere che le persone in burn-out e sotto shock spesso non possono cambiare il mondo e che “cambiare il mondo” (e costruirne di nuovi) avviene anche nel qui e ora. La psicoanalista britannica Sally Weintrobe ha sottolineato l’importanza del lutto per superare la dissonanza cognitiva e la paralisi di fronte all’enormità delle attuali crisi ambientali e sociali. Allo stesso tempo, incarnare la decrescita non significa solo riconoscere e affrontare i nostri dolori collettivi e individuali – e ciò che essi ci dicono. Può anche essere – e lo è – ritrovare la gioia, la celebrazione e la realizzazione al di là delle opzioni costrittive del lavoro alienato e del piacere alienato.
Nel proporre questo, riconosciamo anche che alcune parti del benessere psicologico, emotivo e spirituale delle comunità sono state cooptate dal neoliberismo e dall’estrema destra, e che gli spazi e le pratiche di “benessere” sono altamente mercificati. Anche la possibilità di mettere in discussione il crescitismo nelle nostre vite individuali è spesso vista come un lussuoso privilegio di pochi. Questi fenomeni evidenziano soprattutto la necessità di costruire alternative radicali che promuovano spazi collettivi e accoglienti per la guarigione e la riconnessione.
Il movimento della decrescita ha il potenziale e il mandato di andare oltre la critica distributiva ed ecologica della crescita del PIL e di includere una riflessione più ampia su ciò che costituisce una modalità esistenzialmente significativa di essere interdipendenti con il pianeta. Semmai, l’obiettivo della decrescita “esterna” porta con sé un invito alla ricrescita “interna” delle relazioni.
Una versione di questo testo è apparsa su DevISSues del novembre 2021, disponibile qui. Il testo condensa gli argomenti discussi nel flusso tematico “Embodying Degrowth” che il nostro collettivo ha organizzato per l’Ottava Conferenza Internazionale sulla Decrescita “Caring Communities for Radical Change” all’Aia.
Informazioni sull’autore
Il Laboratorio EmboDegrowth è composto, in ordine alfabetico, da: Daniela Calmon, Julien-François Gerber, Shivani Kaul, Thomas Kiggell, Corinne Lamain, Oona Morrow, Yukari Sekine & Winne van Woerden (contatto: gerber@iss.nl)