Di Gloria Germani, come recensione all’articolo di Massimo Fini pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 3 marzo 2023.
In questa nostra civiltà scientifica e iper-specialializzata, in cui anche gli accademici si occupano di aree super ristrette, pochi possono guardare il mondo da un’angolatura amplia. Helena Norberg Hodge la chiama big- picture e la considera di vitale importanza. Forse gli unici che per mestiere si occupano della nostra contemporaneità da molte e svariate sfaccettature, sono i giornalisti, ma – attenzione – quei giornalisti che non si sono fatti ingabbiare dall’architettura tranquillizzante del main stream. Tra quest’ultimi, oggi molto, molto rari, Massimo Fini è sicuramente il migliore giornalista italiano. Firma di punta di autorevoli testate (tra cui l’Europeo, Il Giorno, l’Indipendente) ha pagato con una progressiva emarginazione, la sua voce sempre fuori dal coro. Da pochi anni ha trovato ospitalità sulle pagine de Il Fatto uotidianno, da cui ci regala articoli sempre molto stimolanti, tra cui “La Decrescita non sarà felice, ma è l’unica chance per il futuro”. In questi mesi difficili, tra guerre e ipotesi di combattimenti atomici, tra crisi ecologica e partiti in cerca di idee, se la prende con una firma del “giornalone” per antonomasia: La Repubblica. Il giornalista politico (tale S.Cappellini) a cui è concesso di sentenziare da uno dei maggiori megafoni del paese – non senza grandi responsabilità – , consiglia Elly Schlein (fresca della nomina di segretaria del PD) “di aderire al principio di realtà, senza cedimenti alle seduzioni della decrescita”.
Per Massimo Fini, invece, la decrescita non sarà felice – come sostiene Pallante (e non Latouche), ma è l’unica chance di futuro, l’unica in grado di salvarci. E gli argomenti con cui sostiene da anni questa sua tesi, sono molto chiari e evidenti.
Innanzitutto la crescita economica che tutti gli stati oggi perseguono ( tanto di destra che di sinistra) ha creato sconquassi enormi in campo sociale ed economico. In altri termini la teoria fantasiosa di Adam Smith dell’”armonia naturale degli interessi” e dello “ sgocciolamento” non ha funzionato. Fini ricorda Alexis di Toqueville che già nel 1830 aveva denunciato che nell’Inghilterra dei suoi tempi, nel pieno della crescita industriale, i poveri erano sei volte più numerosi che in Spagna e Portogallo, paesi allora ancora sostanzialmente agricoli. Oggi le cose non sono che aumentate in maniera esponenziale sia in Occidente – con i casi dei super-ricchi come Bezos e Musk – ma anche a livello internazionale con il divario sempre più enorme con i paesi “ipocritamente detti in via di sviluppo”. Fini non ha remore nell’affermare che Marx si sbagliava di grosso. La lotta di classe non è stata vinta dal proletariato, al contrario i ricchi oggi hanno in mano tutte le leve del potere, soprattutto quello finanziario che può schiacciare la classe media e tutti i poveri. Ed è questo, mi sembra, il vero e l’unico perno politico dei nostri tempi.
L’altro argomento fondamentale è la tecnologia e la crescita tecnologica, a cui ci siamo condannati in una rincorsa senza fine alle innovazioni. Anche la guerra è passata dal virile corpo a corpo e dalla spada, alle armi a distanza, digitali e tecnologiche fino alla minaccia sempre più incombente della Bomba e all’ipotetica autodistruzione del genere umano. Come prefigura uno dei migliori film di questi anni, Don’t Look Up (di Adam Mackay), anche i ricchi soccomberanno alla loro ansia di grandezza e di crescita. Perché la questione è una e semplice, scrive Fini: “l’antica questione che contrappone le società statiche che erano sostanzialmente quelle preindustriali, contadine ed artigiane e quelle dinamiche che sono destinate per definizione, per la loro criminale coerenza interna, all’autodistruzione”.
Non possiamo che essere grati a Fini per la lucidità della sua visione, un autore che già nel 2002 ci ha regalato l’acutissimo Manifesto dell’Antimodernità, ma anche una serie di libri ironici e magistrali. Tra di essi: La Ragione aveva torto? (1985 ), Denaro sterco del demonio ( 1998) Il Vizio Oscuro dell’Occidente(2002). Tra le righe appare altresì chiaro che la Decrescita, per quanto “sia il solo modo di salvarci” – come hanno sostenuto grandi intellettuali come I.Illich, G.Georgescu- Rogen, J.Ellul, C.Castoriadis, L. Tolstoj, M. Gandhi, T. Terzani, oltre a Serge Latouche e molti altri, stenta moltissimo a imporsi. La causa è il sistema mediatico che la contesta al suo mero apparire. I giornalisti mainstream (di cui S. Cappellini fa parte), ovvero il clero mediatico-televisivo, secondo l’acuta definizione di Costanzo Preve, sono convinti e viscerali portabandiera dell’Industrializzazione e del Progresso e respingono senza indugio ogni fugace apparizione della Decrescita sul grande palcoscenico dei media. La dipingono come un orribile ritorno al Medioevo di fronte a milioni di spettatori che, presi dalla ruota inesorabile del consumo, senza tempo per stare a riflettere, la sfuggono spaventati. Non c’è dubbio che oltre alla finanza, anche i Media costituiscono l’altra grande leva del potere.