Di Marianella Kloka, pubblicato anche su Pressenza.com
Secondo Pasi Heikkurinen, scrittore e accademico finlandese specializzato in ecologia, la decrescita è un’esperienza. Si tratta di capire che l’esistenza in natura è finita. L’esperienza della finitudine costituisce la tanto attesa base teorica del movimento della decrescita. Nel suo libro “Degrowth – An Experience of Being Finite”, pubblicato in inglese con licenza Creative Commons [e quindi scaricabile gratuitamente], sostiene che dobbiamo comprendere i limiti “dall’interno” per ridurre efficacemente la produzione di materia ed energia. Per superare le debolezze della nostra comprensione del finito fisico, propone i concetti esperienziali di liberazione, trasformazione e studio del cuore della natura. Heikkurinen invita a fare un’esperienza collettiva di decrescita nella pratica, evitando una retorica eccessiva. Pubblichiamo qui la conclusione del suo libro.
L’espansione delle civiltà umane nel mondo è un’anomalia nella storia del pianeta. Una singola specie è diventata una potenza mondiale. Sta trasformando le entità biotiche e abiotiche a un ritmo senza precedenti, creando quantità e tipi di rifiuti mai visti prima. Un esempio di questi rifiuti sono le emissioni antropiche di gas serra, come l’anidride carbonica e il metano, che ogni anno raggiungono nuovi record. Questi residui dello sviluppo hanno portato, e continuano a portare, a cambiamenti nell’ecosfera, compreso il clima, che innescano un notevole declino della biodiversità terrestre, minacciando l’esistenza stessa dell’umanità.
Questo è il quadro generale: la causa principale, ampiamente accettata a livello scientifico, della crisi dell’ecosfera è la rivoluzione tecnologica. Ma cosa si può fare per l’impatto dello sviluppo della civiltà umana sulla natura? La risposta convenzionale del sistema tecno-capitalista egemone è più o meno la seguente: “Abbiamo bisogno di più sviluppo per prenderci cura del pianeta. I problemi creati dall’aumento del benessere e della popolazione saranno risolti con l’aiuto della tecnologia. Non c’è bisogno di preoccuparsi. Ciò di cui abbiamo bisogno è la speranza.”
Molte persone nei movimenti sono ovviamente scettiche riguardo a questa retorica della crescita illimitata. Siamo consapevoli dei danni causati dall’aumento del benessere umano, in particolare nel Nord del mondo, ma anche in molte comunità e famiglie del cosiddetto Sud. Siamo anche consapevoli che una soluzione tecnologica di questo tipo non può risolvere un problema culturale.
Il movimento per la decrescita, che opera in modo trasversale e decentrato, è un importante messaggero di voci critiche contro lo sviluppo e fornisce una piattaforma e un supporto istituzionale per molte iniziative anti-sviluppo. Tuttavia, come la maggior parte delle attività culturali, la scienza e l’attivismo della decrescita – ad eccezione delle iniziative di autosufficienza e autoconservazione – dipendono dalla crescita economica. Questo problema è ampiamente riconosciuto e si stanno cercando soluzioni. Il movimento è però anche fortemente dipendente dalle tecnologie avanzate e dalle conoscenze scientifiche, che non sono solo prodotti della cultura dello sviluppo, ma ne accelerano anche il metabolismo. Come possiamo liberarci dalla cultura dello sviluppo del tecno-capitalismo?
Questo libro conclude che il movimento della decrescita, compresi i suoi studiosi, dovrebbe prestare maggiore attenzione all’esperienza della decrescita, che ha a che fare con la consapevolezza che i nostri corpi sono finiti. Non è sufficiente impegnarsi in qualche attività qua e là per “fare decrescita” se poi si ritorna alla cultura della crescita.
Applicare la decrescita e diventare un essere in decrescita è più che una pratica. È un processo che va oltre i pensieri e le discussioni. Riguarda il modo in cui il movimento sta nel mondo. Indica alle persone che praticano la decrescita come vivere nel mondo.
Dobbiamo trasformarci nella decrescita con le nostre anime e le nostre cellule e abbandonare l’idea che la crescita sia necessaria in alcuni settori della società. La crescita non è necessaria. Non abbiamo nemmeno bisogno di una crescita spirituale o morale nei termini odierni, ma dobbiamo mollare l’idea di crescita per un po’. Se lo facciamo, alla fine possiamo diventare abbastanza sobri da fermarci. E una volta che ci saremo fermati, dovremo aspettare. Allora ci saranno delle sorprese. L’incognita può aiutarci a vedere cosa potrebbe diffondersi, ma non svilupparsi. Ma non cerchiamo di calcolarlo. Accogliamo la de-escalation invece dell’escalation.
Non basta cambiare il nostro linguaggio, le nostre attività o le nostre strutture. L’accento deve essere posto sull’essere. La cultura della crescita non può essere sfidata semplicemente prendendo il controllo dei mezzi di produzione o appropriandosi dei mezzi per fini migliori. L’imperativo della crescita è così profondamente radicato nel nostro tessuto culturale che è il nostro modo di stare al mondo oggi.
Per opporsi al crescente sperpero di materia ed energia, il movimento della decrescita deve astenersi da pratiche altamente tecnologiche, evitando però di feticizzare la bassa tecnologia. Qualsiasi riduzione del grado di tecnologia è chiaramente un passo verso il rallentamento del metabolismo tra uomo e natura, ma questa è una definizione minimalista di decrescita. Certamente, la nostra esistenza nel mondo non può essere ridotta ad applicazioni termodinamiche. Non siamo qui semplicemente per ridurre, riutilizzare e riciclare. Questo è il falso senso presentato da una macchina eco-modernista.
Il nostro innato desiderio di trasformazione non può essere indirizzato verso la decrescita, perché ci distrae dalla questione esistenziale. Passare da una modalità di crescita a una di decrescita richiede la metamorfosi dell’essere. È fondamentale, per nulla graduale, e porta a un tipo di vita nel mondo completamente diverso, per usare un termine fenomenologico di Husserl. Non si tratta solo di una nuova etica e di una nuova forma di politica. Si tratta anche di un’estetica diversa. Ciò che percepiamo come buono e bello nel nuovo modo di essere, quello della decrescita, è costruito sull’esperienza della finitudine, una profonda comprensione (incarnata) che tutto ha dei limiti. Anche questa idea è limitata e morirà.
La decrescita come esperienza di essere utilizza anche una spazio-temporalità unica, che riguarda lo spazio-tempo presente. Siamo nel posto giusto al momento giusto. Ma è anche uno spazio-tempo geologico profondo, dove la vita umana sembra piuttosto insignificante. Siamo una civiltà perduta. Ma, decrescendo, smettiamo di essere paralizzati dalla tristezza o dalla rabbia associati alla distruzione del mondo. Né ci aspettiamo che il mondo diventi qualcosa di bello e buono. Viviamo nella decrescita.
L’argomento sintetico del libro è che la decrescita riguarda l’esperienza della finitudine. Inoltre, il movimento della decrescita è molto limitato e tutt’altro che onnipotente. Se prestiamo maggiore attenzione a come funzioniamo come esistenza, possiamo renderci conto delle lezioni e delle complessità del nostro essere limitati. Ispirato a L’essenza del nichilismo di Emmanuel Severino, questo è non-trascendentale e antimetafisico, nel senso che non esiste una “non-esistenza”, un regno da cui nascono le cose. Al contrario, l’argomentazione sull’esperienza del limite è esistenziale, o forse in uno stadio liminare tra trascendenza ed esistenzialità, “trammanente” [N.d.T.: l’autore usa proprio questo termine alla fine della frase].
In questo libro sostengo che non dovremmo farci imporre dei limiti dagli scienziati o dai politici. È qualcosa che dovremmo considerare e definire collettivamente come esseri interessati. Per poter riflettere, discutere e definire collettivamente i limiti, dobbiamo sperimentare la finitudine dell’esistenza. Incoraggio tutti a esplorare con cura i limiti in situazioni diverse e a sperimentare insieme il tema dei limiti. È responsabilità del movimento fissare i limiti per i suoi membri, così come è responsabilità dei membri trovare i limiti.
Nel suo libro Steps to an Ecological Mind, Gregory Bateson ci ha mostrato che è così che emergono i sistemi di civiltà: dipendono da anelli di retroazione per controllare l’equilibrio. Una volta che le pratiche basate sulla conoscenza intersoggettiva dei limiti iniziano a emergere, si raggiunge la conoscenza autentica. E, cosa più importante per l’ambizione di rallentare del movimento della decrescita, questa esperienza condivisa di percezione dei limiti ci aiuta a ridurre la nostra dipendenza dalle pratiche costose e dispendiose del tecno-capitalismo. Così facendo, stabiliremo anche la nostra indipendenza dagli abusi di potere in relazione al mondo umano e più-che-umano.
Traduzione dall’inglese di Thomas Schmid. Revisione di Anna Polo.
Marianella Kloka ha 50 anni e vive ad Atene. Fa parte del Movimento Umanista dall’aprile del 1990 ed è stata tra i fondatori di Mondo senza Guerre e senza Violenza in Grecia. Attualmente lavora per la ONG PRAKSIS. Twitter: @MarianellaKloka | Facebook: marianella.kloka
Immagine: “L’unica crescita sostenibile è la decrescita” (Foto di Wikimedia Commons)