Di Paolo Cacciari per “Critica Marxista” 5/6 2021 settembre-dicembre
“Non si può ‘persuadere’ il capitalismo a limitare la crescita, più di quanto si possa ‘convincere’ un essere umano a smettere di respirare. I tentativi di rendere il capitalismo ‘verde’ o‘ecologico’ sono condannati al fallimento per la natura intrinseca del sistema come sistema di crescita illimitata “
Murray Bookchin
“Il Pil dei singoli paesi sta alla base delle decisioni politiche e la missione dei governi sembra essere quella di aumentarlo il più possibile. Obiettivo che però è in profondo contrasto con l’arresto del riscaldamento climatico”
Giorgio Parisi
Il prossimo anno sarà il cinquantesimo della pubblicazione del rapporto del Massachusetts Institute of Tecnology, The Limits to Growth, commissionato dal Club di Roma1. Nello stesso 1972 l’Onu organizzava a Stoccolma la Conference on Human Environmental. Eravamo nel pieno della “primavera ecologica”, come notava il padre dell’ecologia italiana Giorgio Nebbia2. Sembrava che una diffusa consapevolezza dei danni arrecati dalla crescita sfrenata dell’industrializzazione potesse essere messa in discussione. Rachel Carson aveva già mostrato al mondo le conseguenze della tossicità dei pesticidi. Barry Commoner aveva denunciato la follia dell’energia nucleare, militare e civile. Le Nazioni Unite avevano istituito l’Earth Day. Da allora si sono susseguite infinite serie di summit, di rapporti curati da agenzie specializzate, di protocolli e di convenzioni internazionali, di legislazioni nazionali in difesa di questo o quell’altro aspetto dell’ambiente naturale3. I risultati li abbiamo sotto gli occhi: cinquant’anni perduti. L’ultima sconfortante conferma viene dalla ingloriosa conclusione della 26esima Conferenza dell’Onu sul clima che si è tenuta a Glasgow4. Ogni appello lanciato per integrare, conciliare, contemperare le funzioni economiche con gli obiettivi sociali e ambientali è miseramente fallito. Non è bastato spacciare la crescita (growth) per sviluppo (development) e nemmeno ingentilirla aggettivandola in vario modo: sostenibile, duratura, verde, inclusiva, ecc. Una ragazzina intelligente – simbolo di un enorme movimento, inedito per contenuti e forma – , Greta Tumberg, ce lo rimprovera5. C’è più plastica che pesci nei mari6; più animali di allevamento che selvatici7; più asfalto, acciaio e cemento sulla crosta della Terra (tecnosfera) che non biomassa vegetale e animale8. Il surriscaldamento climatico solo uno dei molti sintomi della rottura dei cicli bio-geo-chimici che regolano la vita della biosfera9. Chiamatela Terra, Creato, Gaia, Madre Terra, a scelta.
Ma non è più necessario insistere a documentare la deliberata demolizione in atto delle strutture vitali e funzionali del pianeta (geocidio), l’uccisione dei sistemi viventi (biocidio), la distruzione sistematica dell’ambiente naturale (ecocidio). Fino a ieri erano gli ambientalisti le cassandre, gli estremisti, piccoli borghesi affetti da querulomanie. Ora, nella ultima conferenza sul clima, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha detto: “Siamo sulla buona strada per una catastrofe”. Gli ha fatto eco il conservatore Boris Johnson: “L’apocalisse climatica è ormai vicina”. Il tutto per arruolarci nella battaglia finale dell’Armageddon da combattere, si intende, con il carbone “di transizione”, il metano “blu”, il nucleare di “nuova generazione” e l’armamentario della geoingegneria spaziale, sub terrestre e molecolare. Lascio ai lettori decidere se ci troviamo di fronte a un ravvedimento sincero o ad un cinico rilancio della guerra contro la natura.
Coloro che si autodefiniscono i grandi della Terra si guardano bene dall’affrontare la causa prima della crisi ecologica planetaria: il sovrasfruttamento delle “risorse” naturali. I flussi di materie vergini prelevate sono in aumento costante. Il Global Material Resources Outlook to 2060 stima per i paesi Oecd 10 un raddoppio dell’uso delle risorse naturali utilizzate (throughput) e poi rilasciate nell’ambiente (output). Non ci devono ingannare il miglioramento relativo della “densità materiale del Pil” (materiali utilizzati per dollari ricavati) e il modestissimo riuso dei materiali impiegati nei cicli produttivi (economia circolare), perché non incidono sui volumi complessivi della massa delle materie estratte, trasformate e infine rilasciate per lo più sotto forma di scarti non metabolizzabili. L’auspicato decoupling (disaccoppiamento della curva del Pil da quella degli impatti ambientali) si rivela una chimera11. Giorgio Nebbia usava ricordare ai suoi studenti che ogni soldo che passa da una tasca all’altra si trascina dietro inevitabilmente un pezzetto di natura. In un contesto macroeconomico di tipo capitalistico i miglioramenti tecnologici che aumentano l’efficienza nello sfruttamento di una risorsa fanno aumentare il consumo di quella stessa risorsa. Un apparente paradosso già svelato dall’economista William Stanley Jevons 150 anni fa. Già allora, a preoccupare era l’aumento del carbone utilizzato da macchine a vapore sempre più efficienti, oggi il fenomeno riguarda qualsiasi materia prima e ogni tipo di tecnologia12. Fino a quando le innovazioni tecnologiche saranno subordinate alla ricerca della massimizzazione del profitto è illusorio aspettarsi alcun beneficio nella riduzione della pressione delle attività economiche sull’ambiente naturale. Le logiche spontanee di mercato non rispondono alle esigenze della sostenibilità, ma solo a quelle dell’incremento esponenziale del valore di scambio delle merci immesse sul mercato. I vantaggi che un’impresa capitalistica (o un sistema di imprese, o uno stato) può ricavare dal risparmio nell’impiego di fattori materiali di produzione (parliamo di materie prime, ma potemmo parlare allo stesso modo anche della forza lavoro umana) dovrà essere monetizzato e reinvestito per accrescere i rendimenti dei titoli posseduti dai suoi azionisti in una spirale senza fine di crescita esponenziale. In questa logica economica il sistema non potrà mai raggiungere un equilibrio stabile. Cosicché i beni e i servizi messi in vendita tenderanno inevitabilmente a crescere perennemente. La domanda generata dai nuovi servizi resi possibili dalle tecnologie tipo 5G, IA, Blockchain, telemedicina, didattica a distanza fino a Metaverso (la “realtà virtuale potenziata” delle piattaforme di Zuckerberg e simili) cresce più rapidamente del risparmio di energia ottenuto con l’efficientizzazione dei macchinari impiegati. James O’Connor affermò: “Quale che sia il grado di ‘verde’ dei beni di consumo, esiste nel capitalismo una tendenza intrinseca alla crescita del consumo di merci, con tutti gli inevitabili effetti collaterali”. Jason Hickel ha scritto che l’economia di mercato capitalista genera “un ciclo che si autoalimenta, un tapis roulant in continua accelerazione: il denaro diventa profitto che diventa più denaro che diventa più profitto”13 . Da ultimo Leonardo Boff: “La logica interna del capitalismo è sempre quella di garantire in primo luogo il profitto, sacrificando la natura e le vite umane”14.
La dematerializzazione delle filiere produttive è solo una illusione ottica di chi guarda l’economia stando sulle poltrone apicali della catena di comando. Se è ben vero che lungo la filiera globalizzata della produzione del valore i profitti più consistenti si realizzano nei segmenti terziari e quaternari tecnologicamente più evoluti (ideazione, comunicazione, progettazione, marketing, pianificazione …) è anche vero che per potersi concretizzare hanno bisogno di incarnarsi in merci, in oggetti, in beni e servizi fisicamente appropriabili. Per quanto le merci possano presentarsi come eteree, minuscole, sempre più rispondenti a bisogni cognitivi immateriali, esse hanno pur sempre la necessità di un contenuto fisico misurabile in kilogrammi, metri, watt, minuti-secondi, cavalli vapore, Tesla, gradi Celsius – per l’appunto. Si suole dire che le Big Data fanno utili estraendo e vendendo informazioni. Vero solo in parte15, ma quelli che comprano le loro informazioni le usano per vendere più hamburger, crociere su grandi navi, smartphone, scarpe da ginnastica, telefilm, divani e pillole contro la depressione.
Insomma c’è una contraddizione ontologica tra capitale e natura16. Comporre questa divergenza non è una mera questione contabile aritmetica; trovare una “via di mezzo” tra l’accumulazione permanente di capitali e una buona funzionalità ecosistemica. Non si tratta solo di spostare alcune poste di bilancio da una tecnologia ad un’altra, dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, dai rendimenti a breve a quelli a lungo termine, dalle rendite finanziarie al “giusto profitto”. Serve una vera rivoluzione del modo di pensare l’idea di ricchezza e di benessere. Serve immaginare una nuova forma di civilizzazione mai concepita prima. La transizione ecologica non dovrà essere solo una riconversione degli apparati produttivi, ma una trasformazione sociale profonda capace di mettere in discussione cosa, quanto, come, dove e verso quali esigenze umane indirizzare la cooperazione sociale e la conoscenza scientifica.
Difficile immaginare una sostenibilità ecologica senza uscire dal produttivismo e dal consumismo. È necessario entrare nell’ordine di idee che per rimanere nei limiti della sostenibilità ecologica sarà necessario ridurre drasticamente lo sfruttamento del “capitale naturale” non rinnovabile e l’utilizzo dei suoi “servizi ecosistemici”. Per dirla chiaramente, sarà necessario ridurre lo “sforzo produttivo” diminuendo le quantità di beni e servizi da immettere nei circuiti dei mercati e dei consumi.
È molto probabile che le azioni più efficaci per evitare la rovina ecologica e “guarire il pianeta” (anche se, per l’esattezza, siamo noi a dover guarire) siano semplicemente quelle nature base solutions (rinaturalizzazione, afforestazione, rewilding, ecc.) che non richiedono, né grandi investimenti, né pesanti interventi umani, ma, al contrario, un drastico contenimento delle attività antropiche trasformative. Ha scritto Stefano Mancuso: “Eppure la soluzione per diminuire la concentrazione di CO2 esiste ed è semplice: piantare alberi. Non pochi: ne dovremmo piantare mille miliardi. Ma non è davvero un’impresa impossibile. I costi sarebbero irrilevanti rispetto ai benefici”17. È la stessa cosa che hanno scritto gli scienziati: riportare allo stato naturale il 15% delle terre oggi compromesse dalle attività antropiche servirebbe a evitare il 60% delle estinzioni previste di specie animali e a catturare centinaia di miliardi di tonnellate di anidride carbonica18.
Hanno scritto Hickel e Kallis: “Certo, abbiamo bisogno di tutte le possibili innovazioni tecnologiche e dobbiamo orientare le politiche governative per guidare queste innovazioni, ma non saranno sufficienti in sé. Affinché i guadagni in efficienza siano efficaci, dovremmo ridimensionare anche l’attività economica aggregata. È più plausibile che saremo in grado di raggiungere le necessarie riduzioni dell’uso delle risorse e delle emissioni senza crescita, che con la crescita.(…) Rimanere dentro i confini planetari può richiedere una decrescita della produzione e dei consumi”19.
1 Uscito in Italia per Mondadori con il titolo I limiti dello sviluppo: un rapporto per il progetto del Club di Roma sui dilemmi dell’umanità, curato da curato da Donella Meadows, con Dennis Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens. Il Club di Roma, fondato nel 1968 e coordinato da Aurelio Peccei (economista, dirigente Fiat, amministratore delegato della Olivetti), era – come diremmo oggi – un think tank internazionale e interdisciplinare, finanziato da imprese, università e istituzioni pubbliche con lo scopo di analizzare, tramite l’uso di modelli macroeconomici, le tendenze evolutive del sistema. Il Rapporto giungeva a prevedere con precisione le crisi demografiche e gli impatti sulle risorse naturali.
2 Per una ricostruzione dell’ambientalismo in Italia vedi, di Pier Paolo Poggio e Marino Ruzzenenti, «Primavera ecologica» mon amur. Industria e ambiente cinquant’anni dopo, Jaca Book, 2020. Il volume riprende alcuni scritti di Giorgio Nebbia pubblicati in Altronovecento. Ambiente Tecnica Società. www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/allegati. Un’altra splendida rivisitazione dell’origine del pensiero ecologista Giorgio Nebbia ce la regala con l’intervista a Valter Giuliano nel volume Non superare la soglia. Conversazioni su centocinquant’anni di ecologia, edizioni Gruppo Abele 2016.
3 Qui unna rapidissima elencazione dei principali eventi internazionali: Conferenza di Stoccolma, United Conferenceon Human Environmental, 1972; il Word Commissionon Environmentand Development (WCED) pubblica Our Common Future, “Rapporto Brundtland”, 1987; United National Conference on Environmentand Development(UNCED), Earth Summit, con l’emanazione della Dichiarazione, dei Principi e dell’Agenda 21, Rio de Janeiro, 1992; Convenzioni quadro sui cambiamenti climatici e sulla biodiversità (1992); Protocollo di Kioto, 1997; Millenium Development Golas (Obiettivi dello Sviluppo del Millennio), 2000; World Summit on Sustainable Develpment, Rio+10 e Piano d’azione, Johannesburg, 2002; Sustainable Development Goals,Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, NY, 2015; COP 21, Accordo di Parigi, 2015; European Green Deal, Comunicazione della Commissione, 2019; Cop 15 sulla biodiversità, Dichiarazione di Kunming, 2012; COP 26 sul clima, Glasgow, 2012.
4 Per le analisi più approfondite dei documenti approvati rimando ai siti: A Sud ONLUS e Climalteranti.it. La domanda giusta da porsi non è se i negoziati tra i governi siano fallimentari, ma per quali ragioni i governi continuano ad essere ostaggio di un sistema economico suicida.
5 Il discorso di Greta ai movimenti a Glasgow segna un salto di consapevolezza politica e di radicalità: “Molti si stanno chiedendo, cosa servirà ai potenti per svegliarsi, ma, sia chiaro, loro sono già svegli, sanno esattamente cosa stanno facendo e che prezzo e valore stanno sacrificando perché le cose continuino come in passato. Stanno attivamente creando scappatoie e formulando scenari da cui trarre beneficio per loro stessi e a guadagnare da questo sistema distruttivo. È la scelta fatta dai nostri leader: continuare lo sfruttamento di persone e natura e la distruzione delle presenti e future condizioni di vita.”.
6 La massa globale di plastica in circolazione (8 Gigatonnellate, miliardi di tonnelalte) è doppia della massa complessiva di tutti gli animali viventi (4Gt). 8 milioni di tonnellate finiscono ogni anno in mare. Il peso (in carbonio) degli animali sulla terra è di 2 Gt. The biomass distribution on Earth | PNAS. Ciò che fa più pensare è che i primi oggetti d’uso comune di plastica (Moplen) sono stati messi in commercio solo pochi anni fa, nei primi anni ’50.
7 In tutto il mondo vivono (e vengono macellati): 1 miliardo e 300 milioni di bovini, 2 miliardi e 700 milioni di ovini e caprini, 1 miliardo di suini, 12 miliardi di polli e galline e altro pollame. Il 24% della superficie terrestre è occupato, direttamente o indirettamente, da bovini. Vedi: I numeri: quanti animali allevati – SaiCosaMangi
8 Vedi: Global human-made mass exceeds all living Biomass, in: Nature, Vol.588, 2020. Si stima che la massa antropogenica costituita dagli stock di materiali solidi incorporati e accumulate negli oggetti prodotti dagli esseri umani (edifici, strade, macchinari, oggetti di consumo durevoli ) abbia ormai superato in “peso secco” il volume della biomassa vivente animale e vegetale globale complessiva. La produzione di oggetti ha ormai superato le 30 Gt all’anno che è come se ogni persona impiegasse ogni settimana una quantità di materiali (calcestruzzo, inerti, metalli, legno, ecc.) pari al proprio peso corporeo.
9 La più nota, sintetica rappresentazione dei “limiti planetari” del sistema è quella elaborata su nove parametri da Rockstrom e altri ricercatori di Stoccolma: Rockström, J., Steffen, W., Noone, K. et al. A safe operating space for humanity. Nature 461, 472–475 (2009). https://doi.org/10.1038/461472a.
10 Global Material Resources Outlook to 2060 – Economic Drivers and Environmental Consequences (epa.gov). Vedi anche i rapporti dell’Istat: Economia e ambiente, una lettura integrata, 2021. Per riuscire a contabilizzare un miliardo di euro il sistema economico in Italia ha bisogno di impiegare 283 tonnellate di materiali grezzi.
11 European Environmental Bureau, Decoupling Debunked: Evidence and arguments against green growth as a sole strategy for sustainability, 2019 (https://eeb.org/decoupling-debunked1/). Traduzione italiana a cura del Movimento per la decrescita felice, Il mito della crescita verde, Luce edizioni, 2020. l’EEB è composto da 143 organizzazioni di 30 paesi. A seguito di una rigorosa e analitica indagine sulle premesse teoriche e sugli effetti pratici del decoupling gli autori del rapporto giungono alla conclusione “chiara e schiacciante” che “non ci sono prove empiriche evidenti a sostegno dell’esistenza di un disaccoppiamento della crescita economica dalle pressioni ambientali”, almeno alla scala, nel tempo e nelle dimensioni richieste per fermare il degrado ambientale in atto.
12 La guerra commerciale in corso – con risvolti geopolitici – per l’accaparramento dei cd “materiali critici”, cioè rari, ne è la conferma. Ha scritto Nicoletta Fascetti Leon:“Il tungsteno fa vibrare i telefoni, il gallio e l’indio sono parti integranti della tecnologia a diodi elettroluminescenti (LED) delle lampade, i semiconduttori hanno bisogno di silicio metallico e le celle a idrogeno e elettrolitiche richiedono metalli del gruppo del platino. (…) Solo per dare un’idea dell’importanza di questi minerali, tocca sapere che un piccolo smartphone contiene fino a 50 diversi tipi di metalli, che contribuiscono alla sua dimensione ridotta, leggerezza e funzionalità. Queste materie sono la culla delle nuove tecnologie pulite. Sono insostituibili nei pannelli solari, nelle turbine eoliche, nei veicoli elettrici e nell’illuminazione a risparmio energetico”. Se la dipendenza dalle materie prime critiche diventa un boomerang per lo sviluppo sostenibile, 15 Settembre 2021 Se le materie prime critiche diventano un problema per lo sviluppo sostenibile (economiacircolare.com)
13 Jason Hickel, Siamo ancora in tempo! Come una nuova economia può salvare il pianeta, Il Saggiatore, 2020. In realtà il sottotitolo – censurato dall’editore – è: “How degrowrt will save the World”.
14 L. Boff, articolo pubblicato su “il manifesto” del 4 novembre 2021.
15 Ricordiamoci che tra server e sistemi di trasmissione le compagnie Itct consumano tanta energia quanto l’intero settore aereonautico.
16 Dentro un’idea generale di natura potremmo comprendere anche quella particolare forza psicofisica costituita dalla creatività umana: il lavoro.
17 Articolo su “la Repubblica” del 23 settembre 2021.
18 Da un articolo pubblicato su “Nature” e riportato da “Internazionale”, 4 dicembre 2020.
19 Jason Hickel e Giorgos Kallis, un antropologo e un economista, si sono interrogati se sia davvero possibile realizzare una “crescita verde” (J.Hickel, G.Kallis, Is Green Growth Possible?, New Political Economy, 17 aprile 2019).