Di Mario Sassi e Nello De Padova, membri del Gruppo Transizione.

E’ stato da poco pubblicato un articolo molto importante e già molto discusso a livello internazionale(1), anche perché scritto da alcuni esponenti di punta della decrescita, tra cui Kallis e Hickel: Post-growth: the science of wellbeing within planetary boundaries (Post-crescita: la scienza del benessere all’interno dei limiti planetari).

Qui in basso trovate la traduzione del Summary e dell’introduzione dell’articolo e l’elenco delle “politiche della post-crescita” in esso proposte. Chi volesse approfondire potrà farlo leggendo l’originale in inglese, ma per quanto segue questo estratto dovrebbe essere sufficiente.

L’articolo è molto interessante per almeno un paio di motivi: la definizione di post-crescita e le sue politiche.

  • La definizione di “post-crescita”

L’articolo chiarisce cosa sia e quali obiettivi abbia la post-crescita (ovviamente secondo i suoi autori):L’idea centrale della post-crescita è quella di sostituire l’obiettivo di aumentare il PIL con quello di migliorare il benessere umano entro i limiti planetari.” E ancora “Il termine “post-crescita” sottolinea l’indipendenza dalla (o la prosperità senza) crescita”. Essa cioè vuole rispondere alla domanda “Come possono le società contemporanee migliorare il benessere umano in assenza di crescita economica?”. 

Quindi, a  differenza di quanti (come ad esempio l’UNDP, vedi fig. 1), intendono la post-crescita come una fase successiva alla (necessaria) decrescita, per gli autori “Il termine “post-crescita” funge da termine generico che comprende la ricerca in economia della ciambella, economia del benessere, economia dello stato stazionario e decrescita.” – cioè tutte le teorie (economiche) che non sono a favore della crescita. 

Figura 1:  Post-crescita come fase successiva alla decrescita come indicata in un report dell’UNDP (2) Figura 2: la decrescita (3)

 

Tutto ciò traccia e chiarisce la differenza tra la post-crescita (come intesa nell’articolo) e la decrescita (vedi figura 2), che sono cose distinte e hanno obiettivi e visioni diverse . 

Mentre la decrescita auspica una profonda e radicale trasformazione sia qualitativa che quantitativa della società (cioè il passaggio da un elefante ad una lumaca, nella famosa figura 2), la post-crescita insegue la sua conservazione e perpetuazione (o “resilienza”(4)), nonostante la mancanza di crescita (cioè solo “less of the same”, un elefante che non cresce più o magari un po dimagrito….). Ricordiamo infatti che, lungi dal voler stabilizzare l’attuale sistema, “la decrescita rappresenta un mezzo per staccarsi dall’immaginario dello sviluppo e aprire un varco verso altri modi di immaginare e organizzare la società” (Castoriadis, 1985(5)).

Inoltre, appare inopportuno classificare la decrescita dentro la categoria della post-crescita, come proposto dagli autori, perché ciò fa apparire, anche temporalmente, ugualmente valide tutte le ipotesi. Questo purtroppo sarebbe vero se non fossimo nella attuale drammatica policrisi, ecologica (testimoniata e quantificata dal superamento dei limiti planetari e, in estrema sintesi, dall’Overshoot Day) e sociale (testimoniata dalle terribili violenze, disuguaglianze e ingiustizie sociali), creata dal sistema socio-economico dominante (capitalistico, produttivistico, antropocentrista, patriarcale, ecc.). I dati  dicono che società “ricche” come quelle occidentali devono ridurre il loro impatto ecologico di circa il 70%, nel più breve tempo possibile(6). Ecco perché dubitiamo di (e “sfidiamo”) queste altre proposte economiche (ciambella, benessere e stato stazionario) per la loro ambiguità (teorica), parzialità (delle proposte) e quindi della loro scarsa efficacia; forse potrebbero al massimo essere definite come “post-decresciste”, come tra l’altro immaginato dall’UNDP (vedi fig. 1).

E’ da notare anche la post-crescita (sempre come definita in questo articolo) sembra diversa anche dal (pensiero del) post-sviluppo, che (secondo F. Demaria e E. Gómez-Baggethun(7)) “si sforza di «cercare alternative in un senso più profondo, puntando cioè a staccarsi dalle basi culturali e ideologiche dello sviluppo, facendo emergere altri immaginari, obiettivi e pratiche.» […] (Non si tratta di) realizzare uno sviluppo più verde o più inclusivo, ma di lasciarci alle spalle lo sviluppo, di attivare una rottura con le sue basi ideologiche e ontologiche, alla ricerca di alternative post-sviluppo.” 

  • Le politiche di post-crescita

Le politiche post-crescita sembrano interessanti e anche condivisibili, così come l’analisi dei relativi pro e contro è onesta e completa. Si tratta però, anche qui, di politiche non sufficientemente radicali, quasi esclusivamente economiche e, seppur con importanti obiettivi e risvolti sociali, immaginate all’interno dell’attuale sistema capitalista, economicista e statalista. Gli autori ritengono che esse potrebbero innescare una trasformazione dell’attuale sistema ma, in quanto immaginate al suo interno, potrebbero diventarne misure di “conservazione”, nonostante la fine della crescita – per creare una sorta di nuova socialdemocrazia (8)

In altre parole, se queste politiche di post-crescita potrebbero essere un primo passo verso la decrescita (come nella parte alta della figura 1, tra la crescita e la decrescita), potrebbero invece rallentare ulteriormente il percorso di uscita dal tunnel del sistema di crescita, comunicando che, con alcuni piccoli aggiustamenti puramente economici, il sistema potrà continuare ad andare avanti, così com’è – senza nessun vero cambiamento né quantitativo né, tantomeno, qualitativo, sociale economico e culturale (9).

Del resto, come onestamente evidenziato dagli stessi autori nella quarta colonna, queste politiche resteranno impossibili da implementare, perché quello che occorre è una complessiva trasformazione del sistema, non solo economica ma soprattutto culturale e antropologica, come sostenuto con forza da Latouche ed altri.

Figura 3: le politiche post-crescita (cliccare la figura per ingrandire o andare a questo link)

Forse questo è il modo in cui “il sistema” sta provando a sussumere la decrescita (o almeno alcuni suoi esponenti)? 

Forse la post-crescita è l’approdo attuale della “via catalana” alla decrescita (10) (ma nell’articolo, Marx e “classe” non sono  mai menzionati, mentre il capitalismo lo è solo all’inizio, per spiegare la differenza tra la decrescita e le altre economie)?

Forse tutto parte dalla sbagliata e fuorviante definizione della decrescita di Hickel (“Una riduzione pianificata e democratica del consumo di energia e risorse, per riportare l’economia in equilibrio con il mondo vivente e migliorare il benessere umano”), focalizzata solo su una delle 8R di Latouche (la riduzione) e solo sull’economia?

Lo capiremo meglio nei prossimi anni; per ora, senza nessun giudizio né sulle persone né sulle idee, è il caso di restare aperti e in dialogo con i sostenitori della post crescita, ma chiarendo che si tratta di posizioni e visioni diverse da quelle della decrescita.

 

TRADUZIONE SUMMARY

Ci sono crescenti preoccupazioni sul fatto che la continua crescita economica nei paesi ad alto reddito potrebbe non essere sostenibile dal punto di vista ambientale, socialmente vantaggiosa o economicamente realizzabile. In questa revisione, esploriamo il campo in rapida evoluzione della ricerca post-crescita, che si è evoluto in risposta a queste preoccupazioni. L’idea centrale della post-crescita è quella di sostituire l’obiettivo di aumentare il PIL con l’obiettivo di migliorare il benessere umano entro i limiti planetari. I principali progressi discussi in questa revisione includono: lo sviluppo di modelli macroeconomici ecologici che testano le politiche per la gestione senza crescita; la comprensione e la riduzione delle dipendenze dalla crescita che legano il benessere sociale all’aumento del PIL nell’economia attuale; e la caratterizzazione delle politiche e dei sistemi di approvvigionamento che consentirebbero di ridurre l’uso delle risorse migliorando al contempo il benessere umano. Nonostante i recenti progressi nella ricerca post-crescita, rimangono importanti domande, come la politica di transizione e le trasformazioni nella relazione tra il Nord e il Sud del mondo.

TRADUZIONE INTRODUZIONE

In che modo le società contemporanee possono migliorare il benessere umano in assenza di crescita economica? Questa domanda è la questione scientifica fondamentale per l’agenda di ricerca emergente sulla post-crescita, motivata dallo stretto legame tra crescita del prodotto interno lordo (PIL) e danno ambientale, dal calo dei benefici marginali del reddito per il benessere umano e dai rischi sociali e politici dei rallentamenti economici. La post-crescita si riferisce alle società che non perseguono la crescita del PIL come obiettivo e che sono in grado di soddisfare i bisogni umani in modo equo senza crescita, pur rimanendo entro la loro giusta quota di confini planetari.

La ricerca sulla post-crescita può essere vista come parte della scienza della sostenibilità che è influenzata da, ma non vincolata da, l’economia ecologica, attingendo da diverse tradizioni e contribuendo alla costruzione di una nuova economia che apporta intuizioni interdisciplinari (ad esempio, ecologiche, antropologiche, storiche, sociologiche e politiche) alle nostre comprensioni di come funziona l’approvvigionamento umano. La post-crescita enfatizza l’indipendenza dalla (o la prosperità senza) crescita e funge da termine generico che comprende la ricerca in economia della ciambella, economia del benessere, economia dello stato stazionario e decrescita. L’economia della ciambella e del benessere richiede la soddisfazione dei bisogni umani di base e un elevato benessere entro i limiti planetari, mentre l’economia dello stato stazionario enfatizza la necessità di stabilizzare l’uso delle risorse delle società a un livello relativamente basso e sostenibile. L’economia della ciambella, del benessere e dello stato stazionario generalmente posizionano le proprie proposte all’interno dell’attuale sistema capitalista, mentre la decrescita è critica delle possibilità di un rallentamento egualitario all’interno del capitalismo, dato che la competizione capitalista è strutturalmente orientata alla crescita. La decrescita enfatizza quindi la necessità di una trasformazione pianificata e democratica del sistema economico per ridurre drasticamente l’impatto ecologico e la disuguaglianza e migliorare il benessere. La decrescita, similmente all’economia dello stato stazionario, considera un PIL inferiore come un probabile risultato degli sforzi per ridurre sostanzialmente l’uso delle risorse. Tuttavia, ridurre il PIL non è un obiettivo di questi approcci, ma è visto come qualcosa a cui le economie devono essere rese resilienti. Gli approcci Doughnut e del benessere sono più agnostici sulla crescita del PIL, ma la considerano comunque una scarsa misura del progresso. La post-crescita è plurale e aperta a tutte queste prospettive. Tutti gli approcci convergono sulla necessità di un miglioramento qualitativo senza basarsi sulla crescita quantitativa e sulla riduzione selettiva della produzione di beni e servizi meno necessari e più dannosi, aumentando al contempo quelli benefici. 

Esiste una vasta letteratura sulla post-crescita e un crescente interesse per il concetto, come indicato da articoli su importanti riviste scientifiche, resoconti sui media internazionali, e nuovi finanziamenti sostanziali per la ricerca sulla post-crescita. A nostra conoscenza, questa è la prima revisione completa del campo. A differenza delle recenti revisioni sistematiche della decrescita, ad esempio, che quantificano temi emergenti e lacune nella letteratura, la nostra revisione è una panoramica di esperti, scritta da leader nel campo della post-crescita, ognuno specializzato in uno dei suoi vari rami. 

Abbiamo identificato quelli che riteniamo essere i contributi recenti più importanti, senza essere vincolati dalle convenzioni di una revisione sistematica più ristretta (vale a dire, esaminando solo gli articoli in cui il termine post-crescita appare nel titolo o nel corpo dell’articolo), per includere le prove teoriche ed empiriche che sono rilevanti per le affermazioni sulla post-crescita. In primo luogo, spieghiamo come la ricerca sulla post-crescita si è evoluta all’interno della scienza della sostenibilità planetaria, impegnandoci nei dibattiti in corso sui limiti ecologici, sociali ed economici della crescita. In secondo luogo, forniamo una panoramica delle controversie, dei progressi e delle scoperte nel campo negli ultimi 5 anni e identifichiamo le lacune di conoscenza rimanenti.

 

NOTE

  1. Ad esempio nella “Degrowth World Mailing List
  2. Fonte:  Urban Development Beyond Growth (pag. 21 del report), progetto finanziato dall’Unione Europea e coordinato dall’United Nations Development Program (UNDP) dell’ONU
  3. Anche se rappresenta un classico della decrescita, notiamo che la vignetta-metafora è poco “animalista”. Nel “nostro” mondo ci sarebbe certamente posto anche per i grandi mammiferi, sono solo le “scimmie nude” che andrebbero ridimensionate…
  4.  “Ridurre il PIL non è un obiettivo di questi approcci, ma è visto come qualcosa a cui le economie devono essere rese resilienti.”
  5. Citato in: “Lasciarsi alle spalle lo sviluppo: il caso decrescita” di F. Demaria e E. Gómez-Baggethun, nei Quaderni della decrescita.
  6. Per tutti i dettagli, rimandiamo a www.decrescita.it/cosa-ci-dice-lovershoot-day/ 
  7. Da: “Lasciarsi alle spalle lo sviluppo: il caso decrescita” di F. Demaria e E. Gómez-Baggethun, nei Quaderni della decrescita. Da notare che per gli autori “Crescita, sviluppo e progresso – variamente addolciti da aggettivi come sostenibile, inclusivo, smart… – sono considerati sinonimi e costituiscono le basi ideologiche e ontologiche del sistema socio-economico dominante”.
  8.  E’ interessante notare che lo stesso Hickel su X il 16/2 ha scritto che “La socialdemocrazia non è un’alternativa praticabile al capitalismo. È una prospettiva allettante, ma in ultima analisi soffre di violente contraddizioni che non possono essere sostenute. […] L’unica vera soluzione è superare il capitalismo e raggiungere un’economia post-capitalista. È possibile al 100% avere un’economia funzionante che garantisca il benessere umano e la stabilità ecologica *senza* aver bisogno dell’imperialismo. Ma richiede l’abbandono dell’accumulazione di capitale.”
  9.  Inutile aggiungere che nell’articolo non si intravede nessun “progetto di società che si definisce in base ai suoi obiettivi/valori di fondo prima che per i processi/percorsi, necessariamente diversi, che ogni società utilizzerà per raggiungere questi obiettivi”, nè tantomeno l’idea di “ripensare la società nella direzione della sostenibilità ecologica, della giustizia e dell’autonomia / convivialità, quest’ultima intesa nel senso attribuito a questi termini da Castoriadis e da Illich, cioè come la capacità di autogoverno che ogni organizzazione sociale ha rispetto alla scelta dei propri strumenti (tecnologia) e delle proprie istituzioni”, nè tantomeno quella di “uscire dal regime economico-sociale attuale e immaginare un nuova forma di società (per) un vero e proprio “passaggio di civiltà”, un salto antropologico”. (cfr. “Decrescita ed ecomarxismo. Un’intervista a Mauro Bonaiuti di Dalma Domeneghini”)
  10.  Sempre in “Decrescita ed ecomarxismo. Un’intervista a Mauro Bonaiuti di Dalma Domeneghini”)