Parte con questo articolo una nuova rubrica, “decrescita creativa”, curata da Serena De Dominicis, critica e storica dell’arte – arte che può essere una delle strade per quel “reincanto del mondo” necessario per la decrescita.
Questo primo testo è introduttivo, esplicita il perché di questo focus e descrive alcune mostre che negli anni hanno accompagnato conferenze sulla decrescita. Seguirà poi un secondo contributo in forma di intervista sul ruolo dell’arte nell’Alt Shift Festival…. e poi altri nei mesi prossimi. Chi volesse collaborare a questa rubrica può scrivere a comunicazione@decrescita.it o direttamente a Serena.

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L’attenzione che negli ultimi anni in Europa un certo tipo di riflessione artistica, un po’ defilata e piuttosto critica rispetto al circuito ufficiale dell’arte contemporanea, sta accordando a teoria e pratiche della decrescita ci ha convinti ad aprire una finestra sull’argomento. Sono ormai numerosi infatti gli eventi tra mostre, residenze e progetti ibridi che testimoniano di una interessante convergenza, tutt’altro che occasionale, fondata su prossimità tematiche e sintonie metodologiche volte allo scardinamento delle logiche sistemiche. Da un lato si veicolano temi chiave di ispirazione ambientale e sociale, si affrontano questioni cardine come la decolonizzazione dell’immaginario, dall’altra si mettono in pratica strategie concrete in progetti sociali, iniziative dal basso, generalmente piccole, autonome ed ecologiche tese a coinvolgere le cittadinanze, sensibilizzare ma anche ricostituire legami sociali sfilacciati. 

Partiamo da lontano. Già nel 2009 con Bideceinge si era inaugurato quello che a distanza di anni possiamo considerare una sorta di format, ovvero la presenza di eventi d’arte visiva a latere di conferenze internazionali sul tema. All’epoca Bideceinge, la collettiva di “eco-arte” curata da Antonietta Campilongo all’ISA – Istituto Superiore Antincendi di Roma, in concomitanza con il convegno La strategia della lumaca. Idee e pratiche di un altro sapere ed un altro saper fare (alla presenza, tra gli altri, di Serge Latouche) intendeva innescare un cambiamento proponendo il punto di vista dell’arte come valido agente di sensibilizzazione della cittadinanza e dell’amministrazione pubblica su argomenti ancora troppo marginali nel dibattito pubblico. Ai quaranta artisti coinvolti veniva richiesto di proporre “un altro saper fare”, speculare all’ “altro sapere” offerto dalla teoria degli esperti in seno al convegno. Soprattutto l’evento era proteso nella direzione del fronte ecologico, tutto concentrato cioè sulla denuncia dell’inquinamento ambientale e sulla divulgazione delle buone opportunità implicite nelle pratiche di riuso e riciclo.

Qualche anno più tardi, nel 2014, la IV Conferenza Internazionale sulla Decrescita ospitata a Lipsia vedeva una presenza più ampia dell’arte che anziché restare confinata in un singolo spazio si diffondeva all’interno del tessuto cittadino in un’esplosione di micro eventi raccolti sotto il cappello di Art on Degrowth.

Proponendosi di indagare le condizioni nelle quali l’arte può generare un potere trasformativo, e sperare di essere davvero incisiva, l’iniziativa abbracciava anche forme e strategie di “frontiera”, a metà strada tra pratica artistica e azione politica, così arte e artivismo partecipavano insieme al dibattito sulle urgenze del presente aprendosi alla visione decrescente in un’ottica interdisciplinare. Per quattro giorni oltre cinquanta artisti, attivisti e teorici, provenienti in gran parte dalla scena locale, hanno proposto esposizioni, concerti, workshop, performance, pièce di teatro radiofonico, passeggiate, film proiettati sulle facciate dei palazzi o in luoghi abbandonati della città portando l’arte al di fuori degli spazi abitualmente deputati, nel tentativo di parlare all’intera cittadinanza.

Altro esempio di questa collaborazione tra arte e decrescita è la più recente Planet, People, Care: It Spells Degrowth!, la mostra curata da Ana Dević/WHW a dialogo con la IX Conferenza Internazionale che si è svolta a Zagabria dal 29 agosto al 2 settembre scorso. L’articolata riflessione sulle possibili trasformazioni che, attraverso l’adozione di tutte quelle pratiche virtuose già individuate e ampiamente note, potrebbero ricondurre le nostre società entro i limiti della sostenibilità ambientale e sociale si è arricchita di punti di vista eco-femministi e prospettive decoloniali. In questa cornice si sono sviluppati gli interventi degli otto artisti coinvolti (Marwa Arsanios, Željko Beljan, Marina Naprushkina, Rupali Patil, Dan Perjovschi, Selma Selman, Marko Tadić e Cecilia Vicuña) che impiegando vari media – video, installazioni, azioni performative, dipinti, disegni, scatti fotografici – hanno tentato di riconfigurare nuove soggettività, reinventando i beni comuni, riutilizzando, riproponendo, sollecitando il desiderio collettivo, la condivisione, la solidarietà. 

Ancora una volta, dunque, ci si è soffermati sulla capacità del linguaggio artistico di sollecitare il sovvertimento delle logiche predatorie proprie dell’ordine neoliberista, di instillare il desiderio e liberare l’immaginazione, temi vivissimi e densi tutti da esplorare.

Immagini dalla mostra Planet, People, Care: It Spells Degrowth!, HDLU, Zagabria 2023. Foto: Sanja Bistričić Srića