Indubbiamente, non c’è idea più radicalmente antagonista di quella di una società della decrescita, perché mette in discussione la stessa nozione di sviluppo inteso come grido di guerra lanciato dal “primo mondo” contro i popoli sbrigativamente definiti “sottosviluppati”, cioè primitivi e inferiori. La controprova è che i movimenti che sostengono l’allentamento della presa dell’economia sulla società vengono ferocemente disprezzati sia da destra che da sinistra. “I principi economicisti della crescita hanno invaso le teste e i cuori della gente” – ha scritto Veronica Bennholdt-Thomsen nel libro «Verso una civiltà della decrescita» (a cura di Marco Deriu, edito da Marotta&Cafiero) che stiamo recensendo – tanto da far credere che non ci sia possibilità di benessere senza prosperità e prosperità senza una crescita permanente di beni e di servizi disponibili. Progressisti e conservatori si dividono sulle modalità con cui conseguire la crescita economica e su come distribuirla, ma non sulla sua necessità.
Siamo dominati da una mentalità produttivistica e lavorista che ha sacralizzato la crescita. C’è quindi ancora molto da fare per gli “obiettori della crescita”, se vogliono allargare il loro consenso oltre il ristretto perimetro delle persone già sensibili ai temi della salvaguardia del vivente (perdita di biodiversità, riscaldamento globale, inquinamenti…), della giustizia sociale a scala planetaria (accesso alla terra dei popoli indigeni, lavoro schiavo, sovranità alimentare…), del contenimento di ogni forma di sopraffazione e violenza a partire da quella di genere. L’Associazione per la Decrescita ci ha provato dando alle stampe Verso una civiltà della decrescita, primo volume di un ambizioso progetto editoriale che coinvolge ricercatori e attivisti di tutto il mondo.
Intanto è da apprezzare la scelta della giovane casa editrice di Scampia che pubblica il volume in Creative Commons al prezzo davvero easy di 10 euro per oltre trecento pagine. E poi l’ampiezza dei contributi presentati frutto, fra l’altro, del lavoro svolto nelle conferenze internazionali biennali che si svolgono in diverse città europee, ultima Budapest, terzultima Venezia. Gli scritti sono di Arturo Escobar, Helena Norberg-Hodge, Joan Martinez-Alier,Veronica Bennholdt-Thomsen, Agnès Sinai, Yves Cochet, Erik Assadourian, Mary Mellor, Giorgos Kallis e Serge Latouche, tra gli stranieri. Federico Demaria, Daniela Degan, Alberto Castagnola, Bruna Bianchi, Paola Melchiori, Isabella Landi, Giacomo D’Alisia, Dalma Domenighini, Mauro Bonaiuti, Giovanni Bernardo e Simone D’Alessandro, tra gli italiani.
L’intento della pubblicazione è dimostrare che la decrescita può costituire un quadro interpretativo e un “orizzonte di pensiero culturalmente ampio” (Deriu) capace di mettere in relazione i più importanti filoni del pensiero critico con le diverse componenti dei movimenti sociali, ecologisti, femministi, indigeni… impegnati nell’attuare “proposte di transizione che si richiamano a una trasformazione significativa di paradigma o di civiltà” (Escobar). La decrescita infatti attinge a più fonti. Dall’ecologia politica (Andre Gorz), dalla bioeconomia e dall’economia ecologica (Georgescu-Rogen), dalla critica allo sviluppo (Gilbert Rist), dall’antiutilitarismo (Alain Caillé e il MAUSS), dalla critica dell’etnocentrismo e dell’antropocentrismo (Marshall Sahlins), dalla filosofia della convivialità (Ivan Illich), dalle teorie della complessità in campo scientifico contro il riduzionismo (Gregory Bateson), dall’ecofemminismo (Carolyn Merchant) e da altre teorie ancora.
La decrescita può d’altra parte essere declinata in vari modi. Da quello, più semplice e banale, della diminuzione dei flussi di materia e di energia impegnati nel “metabolismo sociale”, ovvero della sostenibilità dei cicli produttivi in un ecosfera dalle capacità di rigenerazione limitate, a quello dell’“austerità morale”, per usare l’espressione di papa Bergoglio al terzo, recente incontro con i rappresentanti movimenti popolari mondiali.
La decrescita si presta anche a molti fraintendimenti. Chi la intende come una risposta adattiva necessitata, un imperativo di sopravvivenza a causa del sovrasfruttamento del pianeta, chi, al contrario, come una libera scelta, una “passione gioiosa” che ci permetterebbe di vivere meglio (buen vivir) con noi stessi e con il nostro prossimo, comunque e a prescindere dall’esistenza dei picchi del petrolio e dalla rarefazione di tutte le altre risorse naturali.
Il volume contiene un capitolo dedicato all’ecofemminismo e alla teoria della sussistenza (cura delle condizioni della riproduzione della vita) che più di ogni altra ha la forza di rovesciare in radice la “guerra alla natura” intentata dalla cultura patriarcale.
Decrescita, quindi, come cambiamento dei modelli di pensiero e pratiche sociali concrete. Tutto il contrario di un’ideologia predeterminata a tavolino. “Solo” la sperimentazione di nuove forme di convivenza, di reciproche responsabilità fiduciarie, di applicazione del “principio materno” del nutrire e del curare e del guarire applicato non solo alle persone, ma all’intero essere vivente chiamato Terra.