Storia

Il termine decrescita fu proposto per la prima volta nel 1972 dall’ecologo politico André Gorz e fu utilizzato nel 1979 per intitolare un libro con una traduzione francese di saggi di Nicholas Georgescu Roegen, padre dell’economia ecologica. La decrescita è stata poi lanciata dagli attivisti ambientali francesi al passaggio di millennio come slogan provocatorio per ripoliticizzare il dibattito su sviluppo e ambiente e denunciare l’ambiguità del concetto di sviluppo sostenibile.

La storia della decrescita può essere approcciata in vari modi: secondo Latouche la data simbolica della nascita del movimento per la decrescita va fatta risalire al 2002, e più specificamente al numero monografico dedicato alla decrescita dalla rivista ecologista Silence, la cui uscita avvenne contemporaneamente alla conferenza internazionale organizzata da La ligne d’horizon al Palazzo dell’Unesco di Parigi, nel Febbraio 2002 e partecipata da oltre 500 persone. 

Serge Latouche spiega così l’uso del termine decrescita: «Per denunciare l’impostura di quello slogan di successo [lo sviluppo sostenibile] avevamo bisogno di una parola forte, e tutto sommato ‘decrescita’ – che suona blasfemo perché viviamo nella religione della crescita – è stata una provocazione piuttosto riuscita, perché immediatamente la gente si è detta: “Ma questi sono pazzi. Come si può sostenere la decrescita?”. Però contemporaneamente, di fronte alla provocazione, qualcuno abbastanza curioso si è domandato: “Ma che cosa vogliono questi svitati? Che cosa c’è dietro?”». Era già chiaro, tuttavia, sin dall’inizio, che dietro questa parola missile si celava una critica a tutto tondo dell’immaginario della società dei consumi.  

Sempre Latouche racconta che «all’inizio esistevano almeno due rami nella piccola famiglia della decrescita. Il primo, più fondato sulla bioeconomia, l’economia ecologica, la termodinamica ecc., deriva dal pensiero di Nicholas Georgescu-Roegen – ben rappresentato dal suo discepolo diretto Jacques Grinevald – e da cui prende le mosse il lavoro di Mauro Bonaiuti. È un filone di economisti che mettono in discussione l’economia, ma attraverso l’ecologia. C’è poi un secondo ramo, quello dell’«antisviluppo», composto per lo più di esperti di sviluppo che hanno vissuto a lungo nel terzo mondo e che hanno radicalmente messo in discussione la crescita attraverso lo sviluppo. Questi ultimi, ai quali io mi rifaccio, non sono passati da Marx a Nicholas Georgescu-Roegen ma piuttosto da Marx a Ivan Illich».

Negli anni, la decrescita evolve: da efficace provocazione si è fatta movimento sociale per divenire agenda di ricerca accademica attraverso i rapporti delle istituzioni scientifico-politiche guidate dalle Nazioni Unite come l’IPCC (International Panel on Climate Change) e l’IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) e penetrare infine nei programmi di vari partiti politici. Tuttavia, il suo potenziale come forza di trasformazione politica è ancora agli inizi. 

Nel 2008 c’erano solo un paio di articoli pubblicati in inglese sulla decrescita. Oggi ci sono probabilmente più di 500 articoli, 15 numeri speciali e 20 libri (per una rassegna vedi Weiss e Cattaneo, 2017). Potremmo assistere all’emergere di un nuovo paradigma scientifico, nel senso di «risultati scientifici universalmente riconosciuti che, per un certo periodo, forniscono modelli di problemi e soluzioni per una comunità di ricercatori» (Kuhn, 1962: x). Resta la questione se questo slancio intellettuale si tradurrà in un’azione politica trasformativa.

Lo scenario politico-sociale cambia significativamente in seguito alla grande crisi economica del 2007/2008 – che riporta l’analisi marxiana al centro dell’elaborazione anti-capitalistica dei movimenti sociali – e al sorgere, all’interno del mondo della decrescita, di una generazione molto interessata ad annodare in modo originale il filo rosso delle tradizioni di lotta del movimento operaio (in particolare marxismo e anarchismo) alla necessità di una strategia di transizione ecologica al contempo conviviale ed efficace. Il tratto caratterizzante di questa fase (che qualcuno ha definito via catalana in quanto fortemente legata al contesto di una città particolarissima come Barcellona) è la capacità di annodare in modo inedito gli studi sul metabolismo sociale e l’attenzione “fondativa” alla questione sociale. Questo approccio (che diventerà internazionale in pochissimo tempo) è legato inizialmente al nome di Joan Martinez-Alier, autore del fondamentale volume intitolato Ecologia dei poveri, ma ormai da qualche anno anche e forse soprattutto ai tre curatori del volume Degrowth. A Vocabulary for a New Era, cioè Giacomo D’Alisa, Federico Demaria e Giorgos Kallis, cui si sono aggiunti, più recentemente, Susan Paulson e Jason Hickel. Le riflessioni di questi autori prendono le mosse dagli studi sul metabolismo sociale (cioè il rapporto tra quantità di materia ed energia che attraversa il sistema produttivo e le istituzioni che ne regolano il funzionamento) condotti da alcuni economisti ecologici a partire dai tardi anni Ottanta, ma finiscono per trasporne gli esiti su un piano immediatamente politico (e, ultimamente, sindacale).

Per approfondire la storia della decrescita, specialmente dei suoi rapporti con il mondo marxista, si consiglia l’introduzione della monografia su decrescita e marxismo nei Quaderni della decrescita, di Mauro Bonaiuti, Alice Dal Gobbo, Emanuele Leonardi, Dario Padovan e Antonio Pignatto.

Per la storia della decrescita in Italia si rimanda a questo articolo di Tim Parrique.