Di Gloria Germani
Negli ultimi anni sono apparsi almeno due lavori notevoli e di grande risonanza internazionale su cui occorre riflettere. Si tratta di Jason Hickel – Meno è meglio, come la Decrescita salverà il mondo, W.Heiemann, 2020 (tradotto malamente come Siamo ancora in tempo! Come una nuova economia può salvare il pianeta, Torino, il Saggiatore, 2021) e quello di David R. Loy, Ecodharma. Insegnamenti buddisti per affrontare la crisi ecologica (2018, Ubi libri 2022). Prendiamo a esempio questi due due importanti opere per delineare un atteggiamento assai diffuso nel clima culturale attuale.
Brillante antropologo, docente alla London School of Economics, è autore del rilevante testo The Divide: A brief guide to global inequality and its solution (W.Heiemann, 2017, Il saggiatore 2018) dove fornisce una serie di dati inconfutabili sulla responsabilità del processo di colonizzazione nella creazione del mondo attuale con i suoi drammatici esiti sia a livello ecologico che sociale. Hickel è venuto a conoscenza solo in tempi recenti del dibattito che va sotto il nome di “Decrescita”. Nella sua ultima opera Meno è Meglio, egli mette a fuoco il vero responsabile che ci ha portato attraverso gli ultimi tre secoli al collasso climatico, alla sesta estinzione di massa, alla plastificazione degli oceani, alla desertificazione dei suoli. Si tratta dell’imperativo della crescita che è la legge intrinseca dell’economia moderna e del capitalismo, come indicato dalle importanti opere di Serge Latouche. Secondo l’antropologo, l’idea di decrescita oggi è essenziale perché ci scuote dallo stordimento in cui siamo finiti, perché il culto della crescita economica è arrivato a rimpiazzare ogni forma di pensiero, non ci fa più cercare risposte alle domande su qual è il fine della vita o su dove stiamo andando. Per Hickel “la decrescita è un’idea di cui oggi non si può fare a meno” (p.261).
L’autore arriva giustamente a chiarire un altro punto estremamente importante: il capitalismo e la sua legge sono in realtà solo l’effetto di un atteggiamento ancora più profondo che riguarda l’universo mentale. Come A.Porciello nel suo recente Filosofia dell’Ambiente (2022), anche Hickel sostiene: “Il vero problema si trova ad un livello molto più profondo, nel regno dell’ontologia: nella nostra teoria dell’essere” – scrive Hickel ( p. 41). Dunque, prosegue Hickel, “non è soltanto la nostra economia a dover cambiare. Dobbiamo cambiare la nostra visione del mondo e il nostro posto del mondo” ( p. 43).
L’atteggiamento di fondo che dobbiamo abbandonare per invertire la rotta, riguarda il rapporto tra uomo e natura o, in altre parole, la separazione con cui l’uomo moderno ha percepito se stesso distaccato dalla natura: il dualismo (p. 73 sgg). Hickel giustamente fa risalire questa caratteristica a Cartesio e Francis Bacon (con cui si inaugura la filosofia dualistica per cui la natura è un oggetto inerte e meccanico) e a Thomas Hobbes e a John Locke che trasportarono questa visione in campo politico e sociologico. A differenza di tante società indigene conosciute dagli antropologi, la natura smise di essere una madre amorevole e nutrice, per diventare mera materia da dominare e modificare. “La filosofia dualistica è responsabile della nostra crisi ecologica” afferma Hickel (p. 41).
Questo è un punto importantissimo a cui perviene anche il noto buddista americano E. Loy. Anzi, la sua cultura buddista lo avvia facilmente a questa conclusione. Loy afferma che “ la crisi climatica è la sfida più grande che l’umanità abbia mai affrontato” (p. 35) e che “se deturpiamo la terra in questo modo è perché la visione oggi predominante ci permettere di razionalizzare questo abuso” ( p.19). Infatti la nostra errata comprensione condivisa di che cosa è il mondo, è ciò che alimenta l’ossessione per la crescita economica, che di fatto è incompatibile con gli ecosistemi finiti della terra di cui noi siamo una piccola parte (p. 46). Provenendo dalla millenaria cultura buddista, basata sull’interconnessione e sulla non dualità (la non separazione tra mente e materia, tra ego e mondo) Loy punta il dito sulla nascita del mondo moderno tra Settecento e Ottocento caratterizzato dalla nascita degli Stati – nazione, dal capitalismo e dalla scienza meccanicistica e scrive pagine importanti sulle responsabilità di Lutero, Calvino e di Darwin nella costruzione di questa mentalità sbagliata. (pp. 53 sgg.)
Analogamente Hickel individua nel cosiddetto dualismo cartesiano – la separazione tra Ego e mondo, tra psiche e materia – l’ origine della nostra deviazione, ma lo fa come se si trattasse di un caso anomalo e sporadico ed infatti intitola un capitolo “Cartesio rItwittato”, come se la rivoluzione cartesiana fosse stata una svista innocente e non avesse avuto un seguito determinante in tutto il pensiero scientifico e filosofico occidentale!
Già questo passaggio è molto risibile e del tutto confutabile. Ma vorrei segnalare un altro grande strafalcione, a cui segue un secondo carico di pericolose conseguenze.
Vediamo dunque di cosa si tratta. Dopo aver individuato chiaramente le radici del processo di deragliamento della modernità, tanto Hickel che Loy sorprendentemente le fanno risalire ad un unico colpevole: si tratterebbe delle Religioni del Periodo Assiale, cioè di quel periodo tra l’800 e il 200 a.C. in cui – secondo il filosofo e psichiatra K. Jaspers – in tutto il mondo si formarono le religioni considerate “trascendenti “ (Hickel, p. 66 sgg., Loy p. 67). La tesi di Jaspers è molto fantasiosa (e finalizzata a suoi obiettivi teoretici) ma riunisce in una sola cornice le religioni vediche, il buddismo, il taoismo, lo zoroastrismo in Persia insieme all’ebraismo e la filosofia greca. Queste religioni sarebbero responsabili del “Dualismo cosmologico”, cioè della credenza che, oltre a questo mondo, ce ne sia un altro. Con questo Dualismo cosmologico, verrebbe altresì attribuito un posto privilegiato all’uomo e nascerebbe il “principio di dominio”.
Attraverso questa tesi erronea – presa a prestito da Jaspers – vengono superficialmente accomunate esperienze completamente diverse come l’induismo e il buddismo in India o il taoismo in Cina, con la tradizione giudaica con le sue caratteristiche prettamente antropocentriche e dominatrici così evidenti nel pensiero giudaico, soprattutto nella Genesi. Il secondo errore madornale è il seguente: Hickel critica Platone perché avrebbe plasmato l’idea dell’uomo dominatore e quella di un reame trascendente contrapposto al regno terreno fatto di semplice materia (p. 68). L’antropologo dimostra una notevole ignoranza filosofica e adotta una interpretazione banalissima del cosiddetto “dualismo platonico”, che ignora del tutto la prospettiva cosmocentrica presente in Platone. Probabilmente Hickel prende la moda di criticare Platone da Karl Popper, ma visti gli esiti disastrosi della sua “Società aperta” e del suo maggior allievo – George Soros -è meglio tenersene alla larga.
Ma attraverso questi strafalcioni – o errori ad arte – Hickel e Loy riescono in un intento molto più gravido di conseguenze. Lasciano sano e salvo il “superiore pensiero scientifico”, con il suo riconosciuto padre greco: Aristotele. I temi della scienza e della tecnologia – insieme alla loro sorella, l’industria – non sono nemmeno sfiorati dai due studiosi, benché quest’ultime siano nate dalla medesima compagine culturale “meccanicistica e dualistica” che entrambi condannano e definiscono sbagliata. Il sistema tecnologico- industriale esportato come Progresso, esce indenne dalle loro argomentazioni, mentre è chiaro che non avrebbe potuto prodursi senza la cosiddetta rivoluzione scientifica che ha scandagliato il mondo materiale e i nessi di causa – effetto. Le cinquemila civiltà che si sono avvicendate sulla terra, prima che si affermasse il paradigma cartesiano – newtoniano, non hanno mai prodotto l’industria con lo sfruttamento di materie prime importate attraverso l’epopea colonialista e l’utilizzo dei combustibili fossili, cioè delle sostanze organiche seppellite sotto terra che si sono sviluppate in milioni di anni, nel corso delle ere geologiche.
Le conseguenze sono dunque le seguenti:
- Se non mettiamo in discussione il sistema scientifico-tecnologico-industriale, con la sua punta di diamante – la crescita – è chiaro che i tentativi di arginare il collasso climatico sono destinati all’insuccesso, così come dimostrano le 27 COP che si sono succedute fino al 2022. Al contrario dovremmo ammettere con chiarezza che l’esperimento chiamato civiltà industriale, che ha non più di 3 secoli, è fallito. Dovremmo abbandonare la millantata idea di Progresso e da qui potremmo pensare di costruire una nuova società.
- La grande cartina di tornasole del sistema scientifico-tecnologico-industriale è senz’altro il collasso climatico. I ghiacciai si stanno sciogliendo ad una velocità molto superiore alle pur negative previsione dei climatologi. Di fronte a questo smacco, cosa facciamo? Le istituzioni stanno adottando con grande pompa la “ transizione digitale e verde” come soluzione alla crisi climatica. Come se il digitale, non usando carta o oggetti materiali, non impattasse con l’Ecosfera. “La transizione digitale e verde”, al pari dello “sviluppo sostenibile”, è solo una formula accattivante che lascia le cose come stanno. Continua ad avvalersi della velenosa idea di Progresso e ci spinge in avanti (dove???) verso il mondo della robotica e del transumanesimo che, oltre ad essere estremamente energivoro, non farà che peggiorare la nostra esistenza nell’Ecosfera.
Come dice Ellul – uno dei padri della Decrescita – insieme all’idea di Progresso tecnologico e a quella del cambiamento come valore assoluto, il mondo moderno ha la fallace convinzione che si possano accumulare indefinitamente tutti i vantaggi senza rinunciare a niente. Pecca nella stupida credulità di “poter aver tutto”. Al contrario bisogna fare chiarezza. Come ha denunciato Vandana Shiva, la logica che sta dietro alla rivoluzione digitale, alla logica del Big Tech, è la medesima logica iper-razionalista e meccanicistica di Cartesio. E’ lo stesso paradigma riduzionistico e meccanicistico che ha condotto al collasso climatico, alla perdita di biodiversità, all’inquinamento. Le Big Tech miliardarie stanno riducendo l’uomo a nuova materia prima da rivedere per l’era digitale.
Jason Hickel è autore brillante e bravissimo, tanto che, insieme a Kallis e Steimberger, ha ricevuto 9,9 milioni di euro dal Consiglio Europeo della Ricerca per sviluppare progetti sulla Decrescita. Bisogna però fare molta attenzione perché – senza un analisi rigorosa – presunte soluzioni potranno rivelarsi pericolosissimi errori!
Note
1) Su questo argomento Cfr. tutti i lavori dell’Associazione Ecofilosofica, per esempio “Platone e il pensiero ecosistemico, www.filosofiatv.org.
2) J.Ellul, Contro il totalitarismo tecnico, Jaca Book, 2014, p.49.
3) V.Shiva, Dall’Avidità alla Cura, Emi, 2022, pp.67 sgg.
(Nell’immagine, la festa delle lanterne in Giappone)
Concordo sull’abbaglio in particolare del Loy. Come ex monaco buddhista chan trovo risibili usare termini
come Buddhismo impegnato e eco dharma. Riflettono il condizionamento e la reazione culturale all’attuale
paradigma, accomunando il Buddha Dharma a “stampella “benevola di un sistema che invece, avendo depredato
tutte le risorse del pianeta e quelle spirituali delle persone, andrebbe radicalmente combattuto con una forte azione di presa di consapevolezza, vero insegnamento per chi pratica il Buddha Dharma.
Mi aiuti a capire meglio la tua posizione?
Come praticante buddhista mi ritrovo molto nel concetto di Buddhismo anche “radicalmente” impegnato (vedi ad esempio https://secularbuddhistnetwork.org/socially-engaged-and-radically-engaged-buddhism/)
Grazie, Mario