Di Remo Ronchitelli (socio dell’Associazione per la decrescita e del Movimento per la decrescita felice)
Anna Gregoletto (giovane storica italiana che risiede a Londra e collabora con DegrowthUK) ha appena pubblicato su degrowthUK.org un interessante articolo intitolato “La decrescita come parte essenziale di una transizione eco-socialista” (Degrowth as an Essential Part of an Eco-Socialist Transition) che riteniamo contenga una visione forte e chiara del problema generale che abbiamo di fronte.
Incontreremo Anna giovedì 24 luglio alle 21, per discutere insieme di questi temi.
Scrive la Gregoletto: In sintesi, non possiamo desiderare che il capitalismo svanisca. In linea con uno degli argomenti centrali di Decrescita e strategia,[8] sostengo che dobbiamo smantellare l’attuale sistema imperialista/capitalista in un lento e graduale processo di transizione, mattone dopo mattone, e per questo abbiamo bisogno dello Stato tanto quanto del pensiero utopico e delle strategie interstiziali per costruire istituzioni parallele e alternative. Dedicherò la prossima sezione dell’articolo a spiegare come l’eco-socialismo e la decrescita possano completarsi a vicenda nell’elaborazione di una strategia di transizione per lo Stato.
In questo articolo, la Gregoletto affronta i problemi già affrontati da Lenin nelle sue due opere Che fare? e Stato e Rivoluzione (in quest’ultima opera, in particolare, egli aveva previsto l’estinzione dello Stato che non si è poi verificata ma anzi ha generato lo stato totalitario di Stalin). Si tratta degli stessi problemi che dobbiamo affrontare anche oggi, (e dobbiamo farlo in fretta!). Sono problemi che, a suo tempo, sono stati risolti in modo autoritario da Lenin (e da Gramsci) con il “partito rivoluzionario” che doveva prefigurare la società e lo stato futuri. Anche la Gregoletto propone, in questo articolo, una sorta di “partito eco-socialista ancorato alla decrescita” che mira a realizzare qualcosa che assomiglia molto al “comunismo della decrescita” del filosofo giapponese Kohei Saito.
Ora, noi riteniamo che sul nodo cruciale del ruolo che dovrebbe avere questo partito (e anche sul ruolo che dovrebbe avere lo stato), vada aperto un dibattito critico. Il modello di transizione proposto dalla Gregoletto, si richiama alla cosiddetta “Degrowth Strategy” che si può comprendere solo se facciamo riferimento alla tradizione libertaria che ingloba anche la tradizione “comunista”. Il pensiero libertario, infatti, non va considerato soltanto come una delle tante utopie che si realizzano interstizialmente (quali le Comuni Anarchiche), che pure contribuiscono al complesso quadro di transizione ben delineato dalla Gregoletto, ma deve essere considerato anche come un elemento fondante della Degrowth Strategy, assieme alla gestione dei Beni Comuni (attraverso le Cooperative dei Lavoratori) anch’esso un elemento fondante del comunismo della decrescita di Saito. Un elemento positivo, che troviamo nell’analisi della Gregoletto, riguarda le misure concrete da proporre sul piano immediato della produzione economico-strutturale. Nella citazione che segue possiamo leggere le sue proposte che, indipendentemente dal fatto che siano o no realizzabili nell’immediato futuro, sembrano però solidamente integrate e comunque tutte strettamente necessarie. Scrive la Gregoletto::Un esempio chiave di come potrebbe essere strutturato un programma di decrescita eco-socialista è suggerito da Jason Hickel.[13] Lo riassumo qui in tre pilastri chiave:
1) Riduzione dei rifiuti: porre fine all’obsolescenza programmata (attraverso estensioni di garanzia e diritto alla riparazione) e allo spreco alimentare;
2) Decrescita delle industrie distruttive: tra cui l’industria pubblicitaria e altre industrie distruttive (combustibili fossili, aziende belliche);
3) Passaggio a un’economia del valore d’uso: attraverso meccanismi di condivisione ma anche attraverso l’espansione dell’offerta di servizi pubblici, come il trasporto pubblico, e altri settori socialmente utili.
Queste politiche possono essere combinate in modo simbiotico con strategie più interstiziali, ma forniscono comunque a questi esperimenti utopici l’aiuto e il coordinamento dello Stato [l’enfasi è mia, di Remo Ronchitelli].
In sintesi la Gregoletto propone un approccio duplice cioè un approccio Top/Down (che parte dunque dallo stato e che comporta una pianificazione a livello almeno nazionale e che si connette a livello internazionale) e contemporaneamente uno Bottom/Up (consistente in esperimenti interstiziali protetti e legittimati dallo Stato). Tale approccio è giustificato dalla ovvia considerazione che un crollo traumatico dell’attuale sistema, ormai capitalisticamente sussunto in un sistema globalizzato e interconnesso, costituirebbe una tragedia planetaria ingestibile, come è ben illustrato da Saito nei primi tre dei quattro possibili scenari che potrebbero seguire alla caduta del capitalismo:
- “Stato di Barbarie” o Barbarie degli Stati (vedi Israele)
- Fascismo Climatico (vedi Trump)
- Maoismo Climatico (vedi Xi Jinping, l’Eterno presidente)
Il quarto scenario di Saito è quello della decrescita, nella versione del comunismo della decrescita da lui proposto. Jason Hickel si muove già operativamente su questo terreno: egli ha infatti ricevuto finanziamenti dalla UE e aiuti (di ricerca) dalla UNEP (United Nations Environment Program) per le sue ricerche che troviamo illustrate sul sito globalineqaulity.org dove egli finalmente giunge a integrare in modo perfetto il problema climatico/ambientale e quello legato alle disuguaglianze, cioè “il verde” e “il rosso”. Con questa operazione, che potremmo definire scientifico-politica, Hickel fa convergere in una stessa proposta politica varie visioni e cioè quella del pensiero libertario (comunismo libertario di Saito ed estinzione dello stato che viene visto come motore primigenio di dominio, oppressione, guerre e sfruttamento delle risorse umane e della natura), quella del pensiero marxista (che vede il capitalismo come ultima fase dell’imperialismo “statale”) e infine la stessa ecologia profonda di Arne Naess che vede essere umano e natura come profondamente integrati. Tutti questi elementi si fondono insieme nell’approccio di Anna Gregoletto: brick to brick, mattoncino su mattoncino.
Qui di seguito la traduzione dell’articolo.
La decrescita come parte essenziale di una transizione eco-socialista
Una strategia multiforme per una decrescita multiforme
Molte/i decresciste/i riconoscono che parlare di decrescita significa parlare di una “famiglia” di approcci caratterizzata da una vibrante molteplicità. Il volume Degrowth and Strategy lo riconosce e propone una definizione minima di decrescita (“una riduzione assoluta e democraticamente deliberata della produzione di materiali ed energia, che assicuri il benessere per tutti entro i limiti del pianeta”[1]) che sia compatibile con questa diversità di posizioni. Questa varietà include le/i decresciste/i che adottano approcci più riformisti, adiacenti alle strategie socialdemocratiche, mentre altri adottano strategie rivoluzionarie/incentrate sullo stato, e altri ancora si trovano più vicini a posizioni anarchiche, come si evince da questa serie.
Penso che, una cosa che dovremmo tenere a mente quando pensiamo alla decrescita come misura concreta per realizzare una transizione post-capitalista, è che, come ha detto Max Ajl, “la decrescita non è destinata a sostituire il comunismo, l’anarchismo o il socialismo democratico come orizzonti per la speranza umana, e certamente non è una ricetta per ignorare la lotta di classe”.[2] In questo modo, mi sembra utile pensare alla decrescita come a uno strumento efficace che deve essere collegato a un progetto politico di trasformazione dello Stato.
Questo articolo non vuole essere una confutazione degli approcci anarchici alla Decrescita, ai modi di vivere comunitari, in parte perché sono già state pubblicate ottime risposte all’interno di questa serie, ma anche perché sono in linea con il riconoscimento di Degrowth and Strategy della necessità di una pluralità di strategie che riflettano la molteplicità del movimento per la decrescita. È fondamentale sperimentare utopie, spazi prefigurativi e strategie interstiziali. Abbiamo bisogno di questi sforzi; nessuna seria teoria della transizione oserebbe affermare il contrario. Per fornire un esempio realmente esistente, penso al Venezuela raccontato da Chris Gilbert in Commune or Nothing [3] , un libro che racconta la storia del movimento comunale come prima linea per la lotta socialista in Venezuela. Ma, tornando a Max Ajl, “decrescita significa non solo la costruzione, ma anche la “difesa politica” della nowtopias. Non elude la politica”.[4] Per non eludere la politica, dobbiamo riconoscere che abbiamo bisogno dello Stato.
Per prima cosa, la transizione verso un’economia della decrescita sarà un processo massiccio che richiederà immensi sforzi di pianificazione.[5] Ad esempio, basta guardare alla Cuba post-rivoluzionaria e all’immenso apparato di pianificazione che ha impiegato per sollevare l’economia dalla posizione periferica subordinata in cui era stata messa dal sistema capitalista imperialista.[6] In secondo luogo, se la decrescita vuole mantenere le sue promesse definitorie, ha bisogno di avere una strategia per affrontare lo scambio diseguale globale. Non vedo molto da fare senza un organismo nazionale in grado di agire sulla sfera internazionale. Infine, anche se le/i decresciste/i fossero in grado di diffondere in lungo e in largo i loro sforzi prefigurativi, avrebbero comunque bisogno dello Stato per difendere i frutti del loro lavoro politico dall’ingerenza dei capitalisti nazionali e dagli interventi stranieri. Non sto cercando di sminuire l’importanza della vita in comune, della produzione alimentare locale o delle cooperative di lavoro. Quello che sto dicendo è che tutti questi sforzi, nonostante l’eliminazione delle dinamiche capitalistiche dall’interno, non sono in grado di uscire semplicemente dal sistema capitalista: le cooperative edilizie devono ancora competere nei mercati immobiliari capitalisti; così come i produttori alimentari locali; e le cooperative operaie devono ancora partecipare al sistema globale di produzione estrattiva capitalista. Come il collettivo Why Marx? ha scritto sulla rivista Prometheus, anche il municipalismo e il decentramento lodati da intellettuali come Kohei Saito a un certo punto dovranno confrontarsi con le priorità di bilancio e finanziarie di uno Stato che è ancora capitalista.[7]
Per riassumere, non possiamo augurarci la scomparsa del capitalismo. In linea con uno degli argomenti centrali di Decrescita e strategia [8], sostengo che abbiamo bisogno di smantellare l’attuale sistema imperialista/capitalista in un lento e graduale processo di transizione, mattone dopo mattone, e per questo abbiamo bisogno dello Stato tanto quanto abbiamo bisogno di un pensiero utopico e di strategie interstiziali per costruire istituzioni parallele e alternative. Dedicherò la prossima sezione dell’articolo a spiegare come l’eco-socialismo e la decrescita possano completarsi a vicenda nell’elaborazione di una strategia di transizione per lo Stato.
“L’eco-socialismo è l’orizzonte, la decrescita è la via”:[9] Fondare l’eco-socialismo sulla decrescita
Nella sua intervista con Samuel Miller-McDonald, la semplice citazione di Jason Hickel “l’ecosocialismo è l’orizzonte, la decrescita è la via”[10] risolve un problema profondo che affligge parte dell’attuale teorizzazione sul socialismo e la vita post-capitalista. Jodi Dean e Kai Heron hanno criticato la mancanza di riflessione sulla transizione all’interno della letteratura eco-socialista o di tendenza eco-socialista.[11] In altre parole, stiamo iniziando a farci un’idea di dove potremmo voler andare, ma abbiamo poca idea di come arrivarci.
Ed è qui che i sostenitori, i praticanti e i teorici della decrescita possono entrare nel dibattito eco-socialista offrendo la decrescita come componente efficace di una strategia per la transizione, uno strumento in una vasta e variegata cassetta degli attrezzi. E potrebbe essere uno strumento di pianificazione che deriva dall’osservazione e dalla teorizzazione delle pratiche esistenti, unificando in questo modo gli sforzi interstiziali e le strategie di rottura in un potente ciclo di feedback. La decrescita informata interstiziale sarebbe uno strumento di pianificazione per guidare la politica eco-socialista, aiutando a proteggere la visione eco-socialista dalle correnti “produttiviste” all’interno del pensiero socialista.[12] Fondare i dibattiti eco-socialisti sulla politica della decrescita per integrare la strategia di transizione ci impedirebbe di cadere nella trappola di un socialismo accelerazionista ecologicamente analfabeta, eurocentrico e idealistico che non ha posto né fattibilità nel contesto odierno.
Un esempio chiave di come potrebbe essere un programma di decrescita eco-socialista è suggerito da Jason Hickel.[13] Lo riassumo qui in tre pilastri chiave:
- Riduzione dei rifiuti: porre fine all’obsolescenza programmata (attraverso l’estensione delle garanzie e il diritto alla riparazione) e allo spreco alimentare;
- Decrescita delle industrie distruttive: compresa l’industria pubblicitaria e altre industrie distruttive (combustibili fossili, aziende produttrici di armi);
- Passare a un’economia del valore d’uso: attraverso meccanismi di condivisione ma anche l’espansione della fornitura di servizi pubblici, come il trasporto pubblico, e altri settori socialmente utili.
Queste politiche possono essere combinate in modo simbiotico con strategie più interstiziali, ma danno comunque a questi esperimenti utopici l’aiuto e il coordinamento dello Stato.
I vantaggi di una strategia statale per la decrescita
Allo stesso modo in cui il pensiero eco-socialista è completato dalla decrescita, ci sono molti vantaggi che si possono ottenere entrando nella lotta per il controllo dello Stato, molti dei quali sono necessari se vogliamo realizzare le ambiziose trasformazioni che le/i decresciste/i promettono. La teoria socialista ci insegna a trasformare lo Stato da strumento di oppressione nel nostro percorso verso la liberazione.
- Democratizzare la decrescita
In primo luogo, entrare nella lotta politica spingerebbe la decrescita a diventare più profondamente democratica, costruendo quello che Marta Harnecker chiama protagonismo popolare.[14] Al fine di lottare politicamente per il controllo dello Stato in un modo che sia fondamentalmente anticapitalista, è necessario che i sostenitori della decrescita e dell’eco-socialismo permettano al popolo di assumere un ruolo da protagonista nella lotta. Il protagonismo popolare è l’antidoto per le riforme tecnocratiche, dall’alto verso il basso ed elitarie. Come dice Marta Harnecker “Dobbiamo passare da una cultura in cui i cittadini implorano lo Stato di risolvere i loro problemi a una cultura in cui i cittadini prendono decisioni e, attraverso la lotta, ottengono risultati”.[15]
Al momento, è ancora vero che lo Stato è lo strumento oppressivo delle classi dominanti. Ma possiamo trasformarlo in un terreno di contestazione. Ritagliarsi uno spazio per l’autonomia e per costruire istituzioni alternative è il modo in cui creiamo il protagonismo e l’azione popolare.
Costruire un protagonismo popolare significherebbe creare forti percorsi di scambio tra i movimenti sociali, il mondo accademico e il processo decisionale. Significherebbe anche decentralizzare il potere statale a favore del municipalismo per favorire metodi decisionali che ci aiutino a costruire quel protagonista popolare (come, ma non solo, le assemblee dei cittadini), anche se sempre coordinate attraverso un quadro di pianificazione nazionale democratica.
- Fondare la decrescita nella politica antimperialista
In secondo luogo, prendere il controllo dello Stato ci permette di essere radicati nell’anti-imperialismo. E’ vero che la semplice riduzione della produzione ridurrebbe o bloccherebbe l’estrazione di risorse. Ma l’impegno antimperialista non significa semplicemente fermare l’estrazione delle risorse. Un programma di decrescita eco-socialista e antimperialista per lo Stato ci permetterebbe di prendere in considerazione proposte come le riparazioni e il debito climatico.[16] Un programma che include proposte simili è stato avanzato dai membri della rete degrowthuk nel rapporto del 2024 “Stop the Damage”.[17]
- Trovare l’unità nella molteplicità
In terzo luogo, una strategia statale significa muoversi contro la frammentazione della sinistra e il movimento della decrescita. Avere un programma di partito o un altro formato simile di organizzazione politica sarebbe un modo logico per organizzare la molteplicità degli approcci alla decrescita, perché ci fornirebbe un forum formale di discussione e disaccordo in cui confrontarci e coerenti sempre con le nostre varie tattiche. Ci permetterebbe di combinare strategie interstiziali, come quelle delineate in molti dei pezzi di questa serie, insieme ad altre strategie di rottura che mirano a staccarsi dal sistema imperialista/capitalista. I diversi filoni della decrescita sarebbero in grado sia di trovare il loro spazio nel percorso di transizione che di avere disaccordi, pur concordando su un insieme fondamentale di punti di unità.
- Vincere la battaglia delle idee
In quarto luogo, lottare per il controllo dello Stato attraverso un programma elettorale, conferenze di partito e azioni che ci aiutino a costruire il protagonismo popolare, sarebbe essenziale per vincere la battaglia delle idee. Legando saldamente la tirannia della crescita che ci fornisce solo le cose di cui non abbiamo bisogno per arricchire i ricchi con la scarsità artificiale di cose di cui abbiamo bisogno per sopravvivere, le/i decresciste/i potrebbero aumentare la coscienza di classe e mobilitare una base di classe che ora viene guidata a destra. Ma possiamo farlo solo all’interno di una solida organizzazione politica che assicuri l’unità nella molteplicità.
- Resilienza nella resistenza
Infine, dobbiamo anche riconoscere che la transizione richiederà molto tempo. Non è il processo rapido e istantaneo che alcuni analisti hanno immaginato. Questo non significa che dobbiamo abbandonare il senso di urgenza che caratterizza molte delle lotte della sinistra. Ma dobbiamo sempre ricordare che l’urgenza non equivale a una visione a breve termine. L’urgenza deve sempre essere accompagnata da strategie a lungo termine per un processo di transizione duraturo. Una strategia unitaria, con forum comuni in cui discutere e dibattere la decrescita, all’interno delle strutture dell’organizzazione politica, ci permetterebbe di pianificare le transizioni a lungo termine.
Quindi, cosa si deve fare?
Per concludere questo articolo, desidero porre la domanda secolare: che fare?
In primo luogo, suggerisco che sia necessario pensare al tipo di organizzazione politica che sarebbe in grado di sostenere una strategia statale eco-socialista attraverso la decrescita. Come ho già anticipato qua e là nelle sezioni precedenti, non possiamo scartare l’idea di un partito rivoluzionario.[18] Dobbiamo accettare che il partito è uno strumento estremamente efficace per politicizzare le persone, per facilitare il dibattito e le discussioni politiche, per garantire la coerenza nel discorso, la resilienza nella lotta e la democrazia nei metodi. Guardando al contesto britannico, l’attuale sistema partitico presenta un terreno piuttosto sterile per la decrescita e le idee eco-socialiste. Il sistema maggioritario ha reso il Partito Laburista uno dei maggiori ostacoli alla politica di sinistra dall’ondata del New Labour negli anni ’90. Allo stesso modo, il Partito dei Verdi, anche se si è spostato a sinistra negli ultimi tempi, è ancora lontano dall’essere il partito rivoluzionario anticapitalista di cui abbiamo bisogno. Eppure, nello stesso momento in cui i partiti centristi stanno crollando o vacillando, l’estrema destra sta iniziando la sua rapida (anche se falsa e superficiale) campagna organizzativa.
Dato questo panorama politico, il primo passo verso la creazione di un partito eco-socialista ancorato alla decrescita è unire i movimenti di sinistra in un blocco popolare. Lo ammetto, questo è un compito arduo, che potrebbe richiedere un intero altro articolo per iniziare ad esplorare. Ma alcuni punti di partenza per le riflessioni potrebbero essere pensare a come si comincia a pensare a campagne congiunte di massa fondate sulla lotta di classe[19] e al posto che la decrescita potrebbe occupare al loro interno. Un partito eco-socialista in Gran Bretagna sarebbe il veicolo per una politica fondata sull’analisi di classe e sulla lotta di classe.
Spero che, come decresciste/i ed eco-socialiste/i, smetteremo presto di discutere la necessità di questa forma di organizzazione ampia e robusta che riunisca e renda coerente il nostro pluriverso di pensiero e di azione anticapitalista e antimperialista, e inizieremo a organizzarci per portarlo effettivamente allo stesso modo. L’estrema destra ci ha preceduto e ha cominciato ad affrettarsi a fare questo tipo di lavoro. Non possiamo permettere che la riforma vada avanti.
Desidero concludere tornando ancora una volta a Max Ajl e alla sua formula “costruire sui punti di forza esistenti”.[20] In contesti al di fuori della Gran Bretagna, ci sono partiti pronti a intraprendere questa politica e alcuni stanno iniziando a considerare la decrescita come una via percorribile già percorribile. I movimenti del Buen Vivir in America Latina, che hanno molto in comune con la decrescita, si sono infiltrati nella sfera istituzionale con la Bolivia e l’Ecuador, includendo il concetto nelle loro costituzioni.[21] Sebbene il grado in cui questi due stati hanno effettivamente soddisfatto le richieste del Buen Vivir sia stato finora lungi dall’essere completo (ignorato in alcuni casi, come l’Ecuador), questa esperienza testimonia ancora la forza di quei movimenti e la resistenza di quei movimenti, specialmente in Ecuador, contro il continuo estrattivismo. In Europa, la spagnola Izquierda Unida ha assunto una posizione inequivocabile di sostegno alla decrescita, un appello che ha fatto appello anche ad altri partiti spagnoli.[22]
Se guardiamo alla Gran Bretagna, anche se potremmo non avere un equivalente di Izquierda Unida, stiamo assistendo alla fioritura di comunità di decrescita in tutto il paese. Desidero attirare l’attenzione sul gruppo di lavoro Getting Real, i cui sforzi hanno prodotto un manifesto politico completo per la decrescita in Gran Bretagna. C’è speranza negli sforzi esistenti.
*Anna è una giovane ricercatrice veneta, storica in formazione e attivista, ‘co-editor’ per la rete DegrowthUK, che vive a Londra.
[1] Schulken, M., Barlow, N., Cadiou, N., Chertkovskaya, E., Hollweg, M., Plank, C., Regen, L., Wolf, V., 2022. ‘Introduction: Strategy for the multiplicity of degrowth’, in eds. Degrowth & Strategy, Mayfly Books, p.11 https://www.degrowthstrategy.org/wp-content/uploads/2023/09/Degrowth-n-Strategy-2022.pdf
[2] Ajl, M. 2018. Degrowth Considered, The Brooklyn Rail, Field Notes.
[3] Gilbert, C. 2023. Commune or Nothing, Venezuela’s Communal Movement and Its Socialist Project, New York: Monthly Review Press.
[4] Ajl, Degrowth Considered.
[5] Bellamy Foster, J. 2023. Planned Degrowth: Ecosocialism and Sustainable Human Development, Monthly Review 75 (3).
[6] Helen Yaffe’s pioneering research in We Are Cuba!: How a Revolutionary People Have Survived in a Post-Soviet World, 2020, New Haven: Yale University Press.
[7] Why Marx?, 2024. How to Build a Marxist Party, Prometheus.
[8] see Chapter Two by Ekaterina Chertkovskaya in particular, which also offers definitions and reflections on the different types of strategy for the degrowth movement.
[9] Ecosocialism is the Horizon, Degrowth is the Way, The Trouble.
[10] Ecosocialism is the Horizon, Degrowth is the Way, The Trouble.
[11] Dean, J., Heron, K., 2022. Climate Leninism and Revolutionary Transition, Spectre Journal.
[12] Löwy, M., Akbulut, B., Fernandes, S., Kallis, G., 2022. For an Ecosocialist Degrowth, Monthly Review 73 (11).
[13] Hickel, J. 2021. Less is More, London: Penguin.
[14] Harnecker, M. 2015. A World to Build: New Paths Toward Twenty-First Century Socialism, New York: Monthly Review Press.
[15] Harnecker,A World to Build.
[16] see Max Al’s contribution in particular.
[17] see especially the section on ‘Climate justice and the Global South’ in Stop the Damage! Build a Better Future: How Britain can face ecological, social and economic perils, by Mark H. Burton and others.
[18] see Climate Vanguard’s work, in particular The Eco-Socialist Party, Brief: Climate Vanguard, 27 November 2024.
[19] as suggested by Andreas Chari in ‘Towards a Mass Communist Party’, Prometheus; and Climate Vanguard in their brief ‘The Eco-socialist Party’.’
[20] Ajl, M. 2020. Andreas Malm’s Corona, Climate, Chronic Emergency, The Brooklyn Rail, Field Notes.
[21] Acosta, A., 2016. Rethinking the World from the Perspective of Buen Vivir, Degrowth in movement(s): Buen Vivir.
[22]Interview with Alberto Garzón and Eva García on the evolution of the Spanish United Left party towards degrowth, 15/15\15, 2022. See also the 2022 Manifesto Decrecer para vivir.





